La balia – Petros Markaris

SINTESI DEL LIBRO:
Kostas Charìtos, commissario dal volto umano e appassionato
lettore di vocabolari, cambia i suoi consueti itinerari. In questa sua
nuova avventura approda a Istanbul per una vacanza. Almeno nelle
intenzioni, visto che il demone dell'indagine torna a visitarlo nella
persona di un greco, uno dei pochi rimasti nell'antica Costantinopoli.
Maria, una anziana conoscente dell'uomo, la sua balia, è
scomparsa, e lui non sa come districarsi nella ricerca. Così Charìtos,
solo apparentemente spaesato nei babelici scenari turchi, saprà
ricostruire con arguzia, talento investigativo e grande ironia una fitta e
complessa rete di vendette personali, soprusi, ingiustizie che faranno
luce su quella misteriosa scomparsa.
Ancora una volta Petros Márkaris riesce a dare vita a un giallo
avvincente, a una trama condotta con la precisione di un orologiaio, a
un affresco a tinte forti delle contraddizioni, dei colori, degli odori
della società mediterranea, come solo lui sa fare.
Petros Márkaris è nato a Istanbul nel 1937. Ha collaborato con
Theo Anghelopoulos a diverse sceneggiature, tra cui L'eternità e un
giorno, Palma d'Oro a Cannes nel 1998. Bompiani ha pubblicato
quattro romanzi con protagonista il commissario Kostas Charìtos,
Ultime della notte (2000), Difesa a zona (2001 ), Si è suicidato il Che
(2004), La lunga estate calda del commissario Charìtos (2007) e la
raccolta di racconti, 1 labirinti di Atene (2008).
Alla memoria
della vera Maria Hàmbena,
che ci ha cresciuti
Nota del traduttore
Ritengo utile fornire al lettore italiano, che potrebbe ignorarli,
alcuni dettagli di ordine storico che gli permetteranno di apprezzare il
contesto della narrazione.
Costantinopoli, l'odierna Istanbul, che i greci continuano a
chiamare "Costantinopoli" o "la Città" per antonomasia, fu capitale
dell'Impero romano fino alla sua caduta, il 29 maggio 1453. "Capitale
dell'Impero romano", perché, in effetti, in Oriente si ebbe sempre la
percezione di una continuità tra l'Impero romano e quello bizantino,
tanto che i greci dall'epoca bizantina si definivano "romèi", e la grecità
era detta "romiosini". Il termine rimase in auge anche sotto gli
Ottomani (e i turchi chiamano la minoranza greca rum) e sostituì
quello classico di "elleni". In questo libro Márkaris riprende la
distinzione terminologica tra i "greci di Grecia (èllines) e i "romèi",
membri della minoranza greca di Istanbul - distinzione che questi
ultimi effettivamente adottano.
Anche per quel che riguarda le dolorose vicende della minoranza
greca in Asia minore, spesso rievocate in questo romanzo, può essere
utile qualche riferimento.
Nel 1921 i greci che abitavano in Turchia erano circa 2.500.000.
Nel 1923, con lo scambio forzato di popolazione, più di due milioni di
essi furono costretti a trasferirsi nella Grecia continentale. La
popolazione greca di Istanbul, che nel 1921 ammontava ancora a oltre
500.000 persone, si ridusse a circa 200.000 unità che nel 1942, con la
tassa sui capitali (il Varlik Vergisi di cui si parla nel romanzo e che
colpì principalmente i cittadini di origini greche o armene), calarono
ancora a 100.000. Nel settembre 1955 un pogrom organizzato
dall'allora presidente-dittatore Adnan Menderes costrinse
all'emigrazione un altro grosso contingente di greci. Nel 1964, a
seguito di una recrudescenza della crisi di Cipro, la comunità greca di
Istanbul venne nuovamente colpita. Oggi, la minoranza greca in
Turchia viene valutata intorno alle 10.000 persone. A Istanbul si
calcola che i greci siano tra i 2000 e i 5000.
Infine le note di traslitterazione e pronuncia. Il dittongo "ou" si
legge "u". I cognomi delle donne vengono declinati al genitivo: per cui
Kostas Charìtos e Adriana Charitou; il signor Kourtidis e la signora
Kourtidou ecc. Secondo il sistema di traslitterazione dal greco
moderno all'italiano, sono accentate tutte le parole tranne quelle
piane.
La Madre di Dio mi guarda dall'alto con un'espressione severa,
quasi di deplorazione. Almeno, così mi sembra, ma potrebbe anche
essere autosuggestione, o il solito complesso di superiorità grecoortodosso. Perché mai la Madonna dovrebbe prendersela proprio con
me? Contempla il suo gregge che si accalca nello sconfinato nartece.
Del tutto casualmente mi ci trovo anch'io, con la mia consorte e uno
stuolo di turisti ateniesi.
"Il mosaico della Vergine con il Divino Infante risale all'867 ed è il
più antico dei mosaici superstiti." La voce della guida mi riporta al
presente. "È un'opera mirabile della fine del periodo iconoclasta."
"Gloria a te, Onnipotente, che mi hai resa degna," sussurra Adriana
facendosi il segno della croce e soggiungendo: "Vergine Madre di Dio,
ascolta la mia supplica... " So per che cosa prega, ma preferisco non
toccare l'argomento.
"La cupola di Santa Sofìa è alta cinquantacinque metri e sessanta
centimetri," continua la voce della guida. "Il suo diametro da nord a
sud è leggermente inferiore a quello da est a ovest. Nel punto in cui
vedete le scritte in arabo, al centro della raggiera, c'era un mosaico di
Cristo Pantocratore. La scritta in arabo è stata aggiunta nel XVIII
secolo ed è il primo versetto del Corano."
In effetti, nella cupola centrale, nel punto indicato dalla guida, i
mosaici si estendono a raggiera, come grandi fasce, e finiscono su certe
finestrelle illuminate dal sole.
"Vuoi dire che se grattiamo via le scritte sotto c'è Gesù? Che ganzo
sarebbe!" commenta Stelaras, e la sua risata incontenibile si diffonde
per il luogo sacro, mentre la madre gli sibila "Silenzio!" nell'orecchio.
"Non è sicuro che sotto ci sia ancora il Pantocratore," spiega la
guida. "Molti archeologi e restauratori sostengono che gran parte del
mosaico sia andata distrutta."
"Col tempo e con i secoli, di nuovo sarà nostra!" E Despotòpoulos
che accenna una delle lamentazioni sulla caduta di Costantinopoli, ma
poi aggiunge con aria sconsolata: "Però, che cosa ci avranno lasciato?"
Faccio finta di perdermi nella grandiosità del luogo e mi allontano
dal gruppo con lo sguardo assorto in ciò che mi circonda, perché
Despotòpoulos è un generale di brigata in pensione, sostenitore della
santa alleanza tra le forze armate e le forze di polizia. E per questo, a
ognuna delle sue esternazioni patriottiche mi fa sempre la stessa
domanda: "E lei come la vede, signor commissario?" E io mi trattengo
a malapena dal dirgli che, dal momento che gli albanesi hanno
conquistato Atene, è ormai tempo che anche noi conquistiamo la Città:
sarà uno scambio di popolazioni a rovescio.
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