Karma city – Massimo Bisotti

SINTESI DEL LIBRO:
Mi chiamo Andrea Kairos e questo non è il mio vero nome.
Non è importante parlare di me, né sapere chi io sia, da dove
venga e per quale ragione mi trovi qui, a Karma City. Di cosa mi
occupo? Scrivo un libro senza fine. Metto a soqquadro l’equilibrio.
Solo questo mi fa stare bene. A volte mi fermo e lo riprendo, a volte
perdo l’ispirazione per molto tempo e faccio i conti con ciò che so di
essere e con ciò che non so di essere, perché ancora non l’ho
capito. Scrivo, delineo, mi avvicino, mi allontano, poi cancello. Sono
una persona sinestetica, i miei racconti sono verde menta ma molti li
vedono neri. Sarò io l’unico essere responsabile di ciò che scrivo,
devo assumermene interamente colpe e desideri? O sono gli altri a
chiedere, a volere, a intrecciarsi a ciò che vedo e a tirar fuori ciò che
vogliono?
Lo stato di karma esiste già, è possibile abitarlo in ogni posto. C’è
un posto per tutte le cose, ma non è detto che tutte le cose siano al
loro posto. Il posto non è il luogo e tutte le persone che al mondo ho
incontrato e che ho minuziosamente descritto mi sembrano libri.
Siamo o non siamo tutti dei potenziali bellissimi romanzi sempre in
attesa della storia giusta? C’è un posto senza età che non invecchia
mai, lo abiti con la testa incastrata nel collo di chi ami, è un posto
caldo, composto da quella fragile saldatura di anime salve. Sto con
te perché ci sei tu, se ci sei tu io sono sempre dove voglio essere.
Sarebbe abbastanza e non è mai abbastanza, poi torna a esserlo
tutte le volte che ti sposti per cercare un luogo che non c’è.
Hai sempre in mente un viaggio per un luogo inaspettato e poi ti
accorgi di essere tu stesso il luogo e forse non è lui a cambiare
veramente, a strapparti dal cuore le radici primordiali. Tu cambi e
cambiano gli occhi con cui ti guardi, ogni volta che ritorni in quel
luogo che sei tu. Dovresti provare a lasciarlo sempre più accogliente
ogni volta che te ne rivai, ogni volta che riparti e questo per chi
arriverà, non solo per te. Probabilmente è qui il senso del viaggio,
questo è ciò che ho capito, con la lentezza inesorabile del tempo che
come un lampo folgora tutto e il sorriso di chi ami diventa per
sempre il tuo paesaggio. Ti fai domande a cui rispondi e poi la vita te
le mescola di nuovo. Ma se ti occorre una risposta che non sia fuori
tempo ne esiste solo una, alla fine. Si rischia sempre per ciò che
conta. Ecco, è tutto. Il karma lo porti con te ovunque tu vada. È la
tua valigia di ogni momento, contiene lo spettacolo emotivo della tua
vita e probabilmente non solo della tua.
Bado più all’intensità che alla durata delle cose. Lascia le cose
prima che le cose lascino te, è ciò che da sempre sostengo. Il mio è
un punto di vista. D’altronde conosco solo il mio e ci faccio i conti
ogni giorno. Esploro e indago, sia l’abisso, sia la superficie. Il
passato non è un regalo che puoi mettere per sempre in soffitta, né
tantomeno riciclarlo a qualcuno, mentre il futuro non realizzato
equivale al passato, non ha alcun valore. A volte passato e futuro
combaciano e le persone non sanno che chiamano destino uno
strano amico con il quale non hanno alcuna familiarità. Si ostinano a
dargli un nome, una personalità, una parte da protagonista. Non c’è
peggior sconosciuto di quello che conosci da tantissimo tempo.
Siamo vittime degli oroscopi oppure calcoliamo tutto alla
precisione. Sembra essere un paradosso ma il risultato è lo stesso:
un fallimento.
Soffro il silenzio, la solitudine e la vittoria. Soffro d’insonnia; la mia
insonnia è gialla. Gialla e calda, come una bella giornata che inizia
sapendo che arriverò già con una stanchezza infinita al mio primo
appuntamento. A volte sono prevedibile, a volte arrivo all’improvviso,
come un ospite inatteso, ma senza lasciare nessuna libera uscita
alle interpretazioni della mia presenza.
Nessuno mi ha mai invitato alla sua festa. Non ho mai ricevuto un
vero invito. Nessuno mi ha mai prestato i suoi giochi. Però, le volte
che ho scelto di accomodarmi, prima magari curiosando dalla
finestra e poi aspettando il momento giusto per presentarmi con un
pretesto, non tutti mi hanno chiuso la porta in faccia, anzi spesso mi
hanno aperto volontariamente, mi hanno permesso di prendere
molto spazio nelle loro vite. Accanto a me non hai bisogno di essere
niente, niente di diverso da quel che sei. Con quanti ti senti così?
Oh, certo, ho anche molti nemici, ma non ne parlo mai. Ci sono
molte persone delle quali gli altri non avrebbero neppure conosciuto
l’esistenza, se non fossero state nostre acerrime detrattrici. Perciò
ho imparato a ignorare sempre, è la miglior vendetta possibile. Basta
semplicemente questo per non dare alcuna sostanza al nulla.
Ognuno di noi ogni mattina al risveglio si veste di un ruolo. Vuole
dimostrare di esistere, in ogni modo possibile. Vuole scioccare. A
sua volta ha un bimbo interiore, vivo e innocente, rimasto scioccato
e desideroso di liberarsi del suo shock. Ogni bambino ha desiderio di
appartenere a qualcosa, di formare dei legami e allo stesso tempo,
per tutta la vita, crescendo, proverà a spezzarli e a riprendersi il suo
spazio necessario, con l’unico fine di diventare ciò che vuole essere.
Se questo meccanismo per qualche ragione si rompe, non sarà
felice. Non avrà alcun senso andare nella direzione opposta ai suoi
veri desideri. Anche se proverà a fuggire, lo ritroveranno ogni volta,
proprio nel punto esatto in cui si sarà fermato per nascondersi. Da
una sciocchezza ne farà nascere due. Nel tentativo di dileguarsi,
diventerà vittima e carnefice di se stesso. Scappare da se stessi è
come avere la pretesa di fuggire dalle proprie impronte digitali. Al
giorno d’oggi le impronte digitali sembrano importanti perché ci
permettono di accedere a un telefono, non perché rivelano una parte
del nostro DNA. Ma è proprio questo il loro senso. Si può tentare di
nasconderle ma esse riaffiorano.
Ho ficcato il naso in tantissime famiglie, famiglie di ogni genere,
perché il concetto di famiglia l’ho visto da mille angolature. Per molti
ne esiste una soltanto, per me famiglia è un concetto allargato, non
si basa sulla mera classificazione dei soggetti che si prendono cura
di noi, significa liberarsi dallo scafandro dei legami di sangue.
Mi piacerebbe dare a tutti la possibilità di vedere il mondo dalla
videocamera di un ragazzino e permettere loro di riguardare più
volte la registrazione. Con gli occhi del folle, del visionario, con le
ciglia ancora nude, spoglie di disincanto, intrise dei colori che hanno
in sé il vizio del tentativo, rainbow, come gli unicorni. Una volta ho
assistito a una conversazione avvenuta fra due ragazzi di quinto
ginnasio… eh sì, fino a qualche anno fa esisteva ancora. Li vidi nel
bel mezzo di una versione di greco antico, seduti a un tavolino
rococò, nel giardino di un graziosissimo bar dove erano soliti riunirsi.
Lei aveva un quaderno con la testa di un cavallo sulla copertina.
D’improvviso aveva appoggiato un cono vuoto sulla fronte del
cavallo e aveva detto a lui: «Se ti sembra solo un cono caduto su un
quaderno, non potremo mai stare insieme, io e te!». Lui le aveva
risposto con una dolce strafottenza: «Gli unicorni non esistono!» ma
le aveva sorriso. Anche lei allora aveva sorriso, perché lui, negando
l’esistenza degli unicorni, si era comunque intromesso nel senso
della sua immaginazione, aveva potuto incontrare la bambina che lei
aveva dentro.
Ma forse ora vi sto sviando dal nocciolo della questione. La
questione è un’altra. Perché si approda a Karma City?
Faccio una piccola premessa.
Non uso i social e spesso le persone mi allontanano dalle loro
fotografie, dagli scatti che credono migliori, chissà perché… Io sono
senza titoli eppure per loro esisto, a volte provano a seguirmi, ad
aggiungermi. Comunque li ho sperimentati tutti, annoiandomi
rapidamente. Ritengo che le fotografie ci rubino i segreti, perciò non
me le lascerei scattare da nessuno, neppure se insistessero senza
sosta.
Le persone care non costano, valgono. Eppure ormai il nuovo
sogno mondiale è quello di vendere tutto al miglior offerente, anche
la propria anima. Ormai buttiamo via la maggior parte del nostro
tempo sui social network, con le teste chine sui nostri cellulari, senza
quasi più accorgerci delle espressioni di vita sul volto della gente.
Ma lo fareste lo stesso se vi rimanessero pochi mesi da
spendere? Se per voi il futuro fosse tutto ciò che resta e non ciò che
sarà? Sicuramente no, sicuramente le vostre priorità sarebbero
diverse e vi dedichereste a godervi tutto quel che rimane in
compagnia di chi amate, nei posti che adorate e che avete desiderio
di vedere ancora, raccogliendo pezzetti di vera essenza, quella che
è sempre esistita ma che per troppo tempo avete trascurato
volutamente.
Trovo sia una pratica particolarmente diffusa, ormai, quella di
parlare con qualcuno che nemmeno mi guarda mentre gli sto vicino,
continua ad avere lo sguardo incollato al suo cellulare, piuttosto che
prestare attenzione alle mie parole. Ah, già. Oggi si chiama essere
multitasking. In questo sono un po’ all’antica, mi pare ancora un
miscuglio di mancanza di rispetto e maleducazione. La tecnologia ha
sradicato in toto la magia della comunicazione reale. Ci rende tutti
un po’ più connessi ma sempre più soli. In mezzo a questa
moltitudine di persone sempre più sole in compagnia, fingendo di
non accorgersene o non accorgendosene veramente, qualcuno ha
maturato l’esigenza di un altro tipo di ossigeno.
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