Jared: Urban Wolves – Leona Windwalker

SINTESI DEL LIBRO:
«Mi dispiace. Mi dispiace. Vi prego, basta.»
Jared non riusciva a credere che la sua giornata fosse andata
a rotoli così velocemente. Un attimo prima stava trascorrendo un
giorno perfetto e ora eccolo che implorava, molto probabilmente, per
la sua stessa vita.
Come sono giunto a questo? Vi prego, basta…
****
Steve annusò l’aria. Odiava davvero quando i suoi amici lo
trascinavano fuori casa per condurlo in posti come quello. Sapeva
che avevano buone intenzioni, ma sapeva anche che quella serata
sarebbe stata un altro fallimento per lui. I loro odori erano
opprimenti, un miasma di sudori mescolati tra loro, deodoranti e
colonie con note di eccitazione sessuale, ma ancor meno piacevole
era quello dei detergenti industriali.
Bleah.
Fece una smorfia quando le esalazioni assalirono i suoi sensi,
un mal di testa martellante cominciava a farsi sentire. La musica non
era di grande aiuto. Un incalzante ritmo dance gli percuoteva i
timpani, aggiungendosi al frastuono che iniziava a riverberare nel
suo cranio.
Onestamente non so come facciano a sopportarlo. Guardò i
suoi amici. Sicuramente questo è un assalto ai loro sensi di
mutaforma tanto quanto lo è ai miei. Guardali. Sorrisi enormi, Jeff
che sta già sollevando le mani in aria e si sta dirigendo verso la pista
da ballo, mentre Tim sembra aver adocchiato un buffet.
«Non essere così scontroso, Steve. Ti farà bene lasciarti
andare un po’. Fatti un paio di drink, magari vai a ballare. Diamine,
guarda se c’è un ragazzo con cui puoi andare a divertirti un po’.
Lascia che te lo dica, hai bisogno di scopare, amico.»
Steve lo guardò inacidito. «Ho bisogno di scopare, eh? E se
invece mi dimenticassi di restare qui, di farmi venire l’emicrania e di
trovare un umano con cui gingillarmi? Potrò scopare la prossima
settimana alla corsa del branco. Nel frattempo, posso bere qualche
birra a casa, fare buon uso della mia mano e fingere che né i miei
migliori amici né i miei genitori siano ossessionati dalla mia vita
sessuale, okay?»
Tim fece una smorfia. «Continuano a insistere sul fatto che non
ti sei ancora unito?» Si sedette al bancone del bar. Steve sospirò e
gli fece compagnia, accettando la birra che l’amico gli aveva ordinato
non appena il barista si era avvicinato.
«Già. Mio padre non si dimetterà e non andrà in pensione
come Alpha fino a che non sarò accoppiato, e la mamma è più che
pronta a sottrarsi alle loro responsabilità. Non vede l’ora di poter
viaggiare, quando lui sarà pensionato, e dice di essere preoccupata
per me. Dice che le Anime Gemelle, come lei e papà, si trovano solo
di rado e che, dopo una cinquantina d’anni, se a me non è ancora
successo, devo scegliere qualcuno che possa svolgere il ruolo di
Compagno dell’Alpha. Ovviamente qualcuno che mi sembri
compatibile, solo che non riesco a trovarne uno con cui mi veda a
trascorrere i prossimi cento anni, capisci?»
Tim annuì. «Lo capisco. Il tempo da trascorrere con la persona
a cui unisci la tua anima è lungo, specialmente se poi la cosa va a
rotoli. Il ruolo di Compagno dell’Alpha è troppo importante per
sceglierne uno qualsiasi. Inoltre, vedo i tuoi genitori e, per me, vorrei
un legame profondo quanto il loro, in qualità di predestinati. Hanno
un qualcosa in più, che non vedi nei legami semplici. Qualcosa che
ho sentito stando vicino a due Anime Gemelle, il che capita di rado.
Ma non lasciare che ciò ti impedisca di divertirti un po’ stasera.»
«Non ti dà fastidio il rumore?»
«Non hai i tappi?» chiese Tim incredulo.
«Tappi?»
L’amico si frugò dentro un orecchio e tirò fuori della discreta
gommapiuma color carne. «Questi attutiscono il suono. Posso
sentire ugualmente, grazie alle nostre capacità, ma sicuramente
attenuano i rumori.»
«Merda. Perché nessuno me lo ha detto?»
«Amico, pensavo lo sapessero tutti» disse Tim, scuotendo il
capo.
«Suppongo che tu non ne abbia qualcuno in più, vero?» chiese
Steve, prendendo un sorso dal suo bicchiere.
«Sì, ne ho in macchina. Li tengo nel portaoggetti, nel caso io e
Jeff decidiamo di fare un giro nelle discoteche. Ha una pessima
memoria quando deve ricordarsi di metterli. Posso andare a
prenderteli, non c’è problema. Aspetta qui un attimo, okay?»
Steve gli mise una mano sul braccio quando cercò di alzarsi
dallo sgabello. «No, va bene così. Dammi le chiavi e vado a
prenderli io. Così le mie orecchie potranno smettere di ronzare.» Gli
rivolse un sorriso sardonico.
Tim rise. «Sì, d’accordo.» Pescò le chiavi dalla tasca. «Ecco
qui. Sai qual è la mia macchina.»
Lui le prese con la mano destra e batté la sinistra sulla spalla
dell’amico. «Come se potessi scambiare il tuo rottame per un’altra
cosiddetta auto.»
«Ehi» protestò Tim. L’amico gli fece solamente un altro sorriso,
poi si voltò per uscire dal club. Il bracciale rosso al polso gli avrebbe
permesso di rientrare.
Beh, se vorrò. Già, meglio che torni dentro dopo. Però mi
occorrerà del tempo per schiarirmi le idee, dopo aver trovato e
messo i tappi.
Il buttafuori gli fece a malapena un cenno del capo, mentre
varcava la porta. Il parcheggio era illuminato sul davanti, ai lati
meno, ma la cosa non gli importava granché. Il suo lupo era dotato
di una vista acuta che gli consentiva di vedere bene anche al buio.
Camminò con disinvoltura verso la vettura parcheggiata di fianco al
club. L’aveva appena raggiunta, quando lo sentì: un suono soffocato
ma inconfondibile. Un uomo stava piangendo, mentre un altro
sembrava imprecare, in un tono di voce basso, gutturale. Si stappò
le orecchie, costringendo il ronzio a fermarsi, in modo da poter
intercettare meglio il suono. Inclinò la testa di lato. Eccolo. Le voci
parevano provenire dal vicolo dietro al club, che si incrociava con la
strada alle spalle del parcheggio. Si avviò a grandi passi in quella
direzione. Se qualcuno stava davvero singhiozzando, non stava
accadendo niente di buono laggiù.
Svoltò l’angolo proprio mentre due uomini saltavano fuori dalla
stradina. Distolsero lo sguardo quando si accorsero della sua
presenza. Si affrettarono verso il parcheggio. Lui si voltò per seguirli.
Il pianto giunse più forte dal vicolo alle sue spalle. Steve ruotò sui
tacchi e si precipitò verso il suono. Guardò nella penombra.
Laggiù, all’angolo del cassonetto.
Un giovane di sesso maschile giaceva rannicchiato a terra,
tenendosi chiusa la camicia con le mani, il corpo devastato dai
singhiozzi.
«Mi dispiace. Mi dispiace. Vi prego, basta.»
Si inginocchiò accanto a lui. «Ehi, va tutto bene, amico. Non
sono uno di loro, chiunque siano. Fammi vedere se stai bene, per
favore.»
L’uomo puzzava di paura e, inconfondibilmente, di umano.
Emanava inoltre due diversi fetori di urina e le chiazze bagnate sui
suoi vestiti raccontavano fin troppo bene quello che i due uomini gli
avevano fatto. Si sentiva anche un forte odore di sperma su di lui, e
quello pungente e metallico del sangue.
Il giovane lo scrutò. «Pensavo fossero quei tizi. Se ne sono
andati? Ti prego, devo tornare a casa.»
Steve riuscì a distinguere due occhi azzurri, sotto una massa di
capelli rosso scuro, che brillavano umidi nella sua direzione. La pelle
chiara era segnata laddove era stato colpito, il sangue gli imbrattava
il viso nel punto in cui il labbro era stato spaccato e impronte di dita
violacee erano visibili sulle guance e sulla mascella. Un senso di
comprensione lo invase quando realizzò perché i singhiozzi del
giovane erano soffocati. La rabbia cominciò a riempirlo,
intensificandosi mentre gli si avvicinava per vedere meglio le lesioni.
Più accorciava la distanza e più forte diventava l’odore del sangue,
dello sperma e dell’urina, corrompendo l’aroma dolce e molto più
delicato di caprifoglio e cannella. Sentì il suo lupo camminare avanti
e indietro dentro di sé, desideroso di liberarsi e rintracciare i
responsabili dell’accaduto. La rabbia era più giustificata, visto il torto
commesso. Il suo lupo avrebbe voluto mutilare, uccidere, squarciare
le loro gole e abbuffarsi dei loro cuori.
L’uomo, invece, chiese: «Come ti chiami?»
«J… Jared» balbettò con voce roca.
Lui allungò delicatamente una mano e gliela posò sul viso.
«Sono Steve. Non ho intenzione di farti del male, Jared, ma lascia
che ti dia un’occhiata, poi ti accompagnerò a darti una ripulita,
okay?»
Quegli annuì, i suoi occhi mostravano che lo shock stava
prendendo il sopravvento.
«Mi hanno strappato la camicia e mi hanno spinto per terra.
Loro… loro mi hanno schiaffeggiato e uno aveva un anello. Poi,
loro… loro… loro…»
«Shhh… So quello che hanno fatto. Fatti guardare. I denti sono
a posto?»
Lui vi passò sopra la lingua per controllare. «Sì, credo di sì.
Non sembrano allentati» sussurrò.
«Lascia andare la camicia, okay?» gli disse in tono
rassicurante. «Voglio esaminarti le costole.»
«Non le hanno colpite. Non ho reagito. Loro hanno detto…
detto…»
I denti di Jared cominciarono a battere per lo shock che lo
stava sopraffacendo sempre più.
«Hanno detto che non ti avrebbero fatto del male se avessi
fatto quello che ti ordinavano?» tirò a indovinare lui, ribollendo.
Il ragazzo annuì in silenzio, distogliendo lo sguardo.
Lui lo studiò. Doveva portarlo via da lì. Doveva portarlo in un
posto caldo, fargli bere un tè dolce e bollente, e farlo ripulire,
affinché si togliesse di dosso quegli odori oltraggiosi. Un posto in cui
gli unici profumi su di lui fossero il proprio e quello di Steve. Il suo
lupo saltò dentro di lui.
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