Intoccabili – Cecy Robson

SINTESI DEL LIBRO:
LASCIAI LO SPOGLIATOIO DI CORSA. AVEVO A STENTO RIVOLTO LA PAROLA A
chiunque del mio team, e anche se nessuno mi aveva detto alcunché in modo
diretto, colsi ogni singolo sguardo e sussurro. Nonostante gli sforzi
volenterosi della preside, si era sparsa la voce che l’uomo arrestato il giorno
prima era mio padre. Avevo voglia di urlare. Carlos voleva mortificarmi e
c’era riuscito. L’umiliazione era la sua arma preferita, insieme ai suoi pugni.
Il borsone mi rimbalzò sulla schiena mentre attraversavo in fretta il centro
fitness, rallentando l’andatura mentre oltrepassavo un gruppo di giocatrici di
calcio. «Quella non è Lety Tres Santos?» chiese alle compagne la ragazza al
centro. «Quella con il padre drogato che ha ammazzato di botte le guardie del
campus?»
Mi voltai di scatto. «Esatto. Sono proprio io.» Loro si scambiarono
un’occhiata spiazzata. Non si aspettavano che rispondessi e non erano
preparate alla mia reazione. «C’è altro che volete sapere?»
Il trio chiuse il becco. Per loro era facile parlare. I loro padri non si erano
presentati a scuola fuori dalla grazia di Dio. I loro padri non erano excarcerati che entravano e uscivano di prigione. E i loro padri non avevano
passato una vita intera a far loro del male. Io non potevo dire lo stesso.
Carlos si era presentato al campus solo un’altra volta, pretendendo del
denaro per la droga. Se non ci fossero stati dei testimoni mi avrebbe picchiata
per avergli opposto un rifiuto. Mio padre era molte cose: un
tossicodipendente, un bipolare e uno stronzo su tutta la linea. La stupidità
però non era tra le sue caratteristiche, quindi se n’era andato, ma non prima di
avermi dato della puttana davanti ai miei amici.
Una delle altre ragazze fece spallucce. «Melody non intendeva dire nulla
di male,» disse. «Ha solo fatto una domanda.»
«Ci sono cose migliori da chiedere,» risposi.
Me ne andai a passo di marcia. La mia mente insisteva che avrei dovuto
scrollarmi di dosso i commenti e l’attenzione. Il Saint Jude era un piccolo
college privato, con poco più di duemila studenti che vivevano nel campus.
Le voci si diffondevano in fretta e quando il resto degli studenti sarebbe
arrivato, nel giro di due giorni, si sarebbero sparse ancora più in fretta. Prima
o poi, però, tutti se ne sarebbero scordati.
A parte me, forse.
Aprii con una spinta le porte a vetri che davano sull’uscita del centro
fitness. Due ragazze che camminavano verso l’edificio con dei palloni da
volley sotto le braccia mi videro mentre uscivo. Una di loro mi indicò con un
cenno del mento e disse qualcosa alla sua amica, sottovoce.
Mah, mi chiedo di che cosa stiano parlando.
Proseguii senza degnarle di un altro sguardo. Non potevo combattere
contro il mondo intero, era troppo spossante, così me la svignai a sinistra, in
direzione del campo di calcio, dov’erano rimasti alcuni giocatori. Non mi ero
ancora avvicinata, ma loro smisero di prendere a calci la palla per guardarmi
passare. La vergogna mi fece venire voglia di tremare e abbassare la testa. Mi
costrinsi invece a sollevare il mento. Ero una dura ragazza di Philadelphia,
dopotutto, anche se dentro di me stavo singhiozzando.
Tenni lo sguardo fisso davanti a me, verso il punto dove i campi di
atletica terminavano e lasciavano spazio ai sentieri dedicati al cross-country,
che conducevano nei boschi. Se fossi riuscita a raggiungerli avrei potuto
avere un po’ di tregua dai sussurri e dagli sguardi moralisti. Almeno, questo
era quello che speravo.
La brezza di fine agosto fece frusciare le foglie sui rami proprio mentre
mettevo piede sul sentiero, sparpagliandomi i lunghi capelli scuri attorno al
viso. Respirai a fondo, godendomi l’aria fresca e i dintorni tranquilli.
Nonostante i problemi del giorno prima e le attenzioni negative che mi
avevano attirato addosso, amavo quel luogo e preferivo la località isolata del
campus alle strade chiassose e al trambusto tremendo di Philadelphia.
Saint Jude, ubicato com’era in una piccola cittadina appena fuori
Allentown, era circondato da acri e acri di due sole cose: boschi o campi di
mais. I sentieri da cross-country che si snodavano nelle foreste fornivano agli
atleti una pista da corsa di resistenza davvero tosta e un posto per organizzare
i loro festini illegali ai minorenni che volevano sbronzarsi. Potevi essere del
tutto fuori di testa, ma se ti mettevi a seguire un sentiero qualunque ti avrebbe
sempre guidato ai campi sportivi o sulla strada principale. I campi di mais
erano sfruttati principalmente per appartarsi o per le iniziazioni delle nuove
matricole, in cui gli studenti del primo anno si infilavano tra i filari di
pannocchie in cambio di magliette da cinque dollari.
Non avrei dovuto sorridere, considerata la mia giornata, ma lo feci. Io e
Brody ci eravamo visti nudi per la prima volta tra quegli stessi filari. E sì,
indossavamo ancora le nostre magliette scadenti.
Il mio sorriso evaporò. Brody, Dio, Brody. Che cosa dovevo fare con lui?
Era dolce e intelligente, l’uomo giusto per me. Io però non andavo bene per
lui, per quanto lo desiderassi.
I miei passi ansiosi rallentarono mentre pensavo a lui. Ci eravamo
incontrati a lezione di chimica all’inizio del nostro anno da matricole. Brody
si era presentato come solo lui avrebbe potuto: tirandomi una pallina di carta
in testa. Gli avevo lanciato un’occhiataccia da sopra la spalla. «Fallo di nuovo
e ti faccio il culo, fighetto,» lo avevo avvertito.
Lui mi aveva rivolto un sogghigno. «Mi trovi fico?»
Non gli avevo detto che lo trovavo più sexy di Alex Pettyfer in piedi nel
bel mezzo dello Stige. La mia risposta invece era stata: «Un bel fico, sì. Un
fico secco.» Mi ero voltata quando il professore era entrato in aula,
irrigidendomi quando avevo sentito il suono della carta accartocciata dietro di
me. Avevo acceso il portatile, sicura che Brody non avrebbe avuto le palle di
farlo, quando un altro proiettile di carta mi era rimbalzato in testa. D’istinto
gli avevo lanciato addosso il mio libro di chimica. Brody lo aveva afferrato
prima di essere colpito alle costole. Invece di arrabbiarsi aveva riso e mi
aveva offerto uno strappo dopo la lezione.
Eravamo stati inseparabili per il resto dell’anno, ma non eravamo passati
a essere qualcosa di più di un’amicizia affiatata prima dell’inizio del semestre
successivo. Il fatto che la cosa non fosse durata faceva schifo.
Sempre grazie a Carlos, di nuovo.
Le mie due ore di lezione pratica di gruppo erano state pesanti, ma fu il
pensiero della mia famiglia che mi fece sentire d’improvviso esausta. Dopo
altri cinque minuti di passeggiata abbandonai il sentiero e attraversai la
strada. Non ero pronta a tornare nella mia camera, così mi spostai verso il
piccolo giardino in cima alla collina. Presi posto su una delle panche di legno,
lasciando cadere il borsone sul sentiero di ghiaia. Quel posto mi piaceva e lo
visitavo spesso. Mi dava quella calma che avevo sempre desiderato da
bambina. Un sentimento semplice e facile, non qualcosa a cui dovevo dare la
caccia sotto il letto quando avevo paura.
Stavolta la pace non durò e non rimasi sola a lungo. Una serie di passi
rimbombò alla mia sinistra. Alzai gli occhi e vidi i membri della nostra
squadra di lacrosse che correvano verso di me, diretti ai sentieri. Erano tutti
senza maglietta a parte Brody. In qualità di vicecapitano, correva in testa al
gruppo a fianco del suo amico, Logan.
Le attività di lacrosse non sarebbero iniziate prima del semestre
successivo, ma il Saint Jude aveva vinto il campionato il Campionato delle
Università Americane, terza Divisione, per due anni consecutivi. L’allenatore
aveva intenzione di mantenere il titolo e faceva allenare la squadra ben prima
che affrontasse la prima partita.
Lo sguardo di Brody sfarfallò quando mi vide. Il mio corpo si irrigidì.
Non ero preparata a vederlo, ma non avrei dovuto essere così spiazzata. La
squadra correva lungo il perimetro del campus alla fine di ogni sessione di
allenamento e terminava la corsa nel punto dove i sentieri da cross-country si
aprivano sui campi sportivi.
Brody rallentò fino a fermarsi. La maggior parte dei suoi compagni di
squadra proseguì senza di lui, gettandomi un’occhiata prima di attraversare la
strada e sparire verso i sentieri. I pochi rimasti mi guardarono con diffidenza.
«Andiamo, amico,» insistette Isaac Parker.
«Vi raggiungo più tardi.» Brody si avvicinò alla mia panchina, posando
un piede sulla seduta per fare stretching. «Ehi, Lety.»
Isaac si rivolse direttamente a lui, come se io non ci fossi nemmeno. «Sei
sicuro di volerlo fare? Suo padre è davvero fuori di testa.»
Brody si raddrizzò. «Fuori di testa quanto uno che si masturba davanti ai
cartoni animati mentre indossa biancheria rosa.» Fece spallucce. «Però con te
continuo a uscirci.»
Un paio di ragazzi scoppiarono a ridere mentre il volto di Isaac diventava
rosso. Brody sogghignò. «Non preoccuparti, Isaac. Non sei il primo ragazzo
che… no, aspetta, non importa. Forse lo sei eccome. Comunque non c’è nulla
di cui vergognarsi, amico. Continua così… magari la prossima volta prova
con i vecchi episodi di Baywatch invece che con i cartoni animati. Potrebbe
essere giusto un po’ meno agghiacciante.»
Isaac si fece indietro con una smorfia, prima di ripartire con il resto della
squadra alle calcagna. «A più tardi, Lety,» mi salutò Logan, agitando la
mano.
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