Il trionfo dell’impero – La caduta della Britannia – K.M. Ashman

SINTESI DEL LIBRO:
“Finalmente”, pensò Gwenno nel vedere la carovana emergere
dal bosco in lontananza. Terminò la sua collana di margherite e se la
posò sulla fronte, ma poi, ripensandoci, aggiunse un altro ranuncolo
dietro l’orecchio. Balzata in piedi, si lisciò le pieghe del bianco abito
di lino.
Aveva brontolato tutta la mattina per riuscire a ottenere il
permesso di indossarlo per il ritorno di suo padre, e alla fine la
madre aveva ceduto. Gwenno sapeva di essere molto fortunata a
possedere due abiti: uno di lana, come ogni altra donna della tribù, e
quello, una toga di lino più fine che suo padre aveva barattato con
uno dei mercanti della costa orientale.
La ragazza adorava quel vestito e, nonostante sapesse che
probabilmente era stato indossato da qualcun altro prima di lei, era il
suo ben più prezioso. Solo i ricchi potevano permettersi un
indumento del genere, e quando suo padre le aveva detto che gli era
costato un coltello nuovo di zecca, Gwenno era rimasta sbalordita
dalla generosità del genitore. Era un capo estivo molto semplice, e la
tredicenne aveva un aspetto meraviglioso, anche se forse l’avrebbe
avuto con qualsiasi altro abito. I lunghi capelli biondi splendevano
alla luce del sole, abbinandosi alla torque di bronzo lucido attorno al
collo e ai braccialetti d’argento che le adornavano entrambi i polsi.
«Un giorno», aveva giurato diverse volte a sua madre crescendo,
«la mia torque diventerà d’oro!».
La madre le aveva sorriso dolcemente. Tutte le ragazze
sognavano di sposare uno dei principi delle tribù, ma la semplice
verità era che c’erano tantissime ragazze e non abbastanza principi.
Gwenno attese paziente accanto al ponte di legno dalla parte
opposta del fossato scavato a mano che circondava il villaggio,
finché infine non riuscì più a trattenere l’entusiasmo.
«Padre», urlò a gran voce prima di fiondarsi verso gli uomini a
cavallo.
«Salve, bambina mia», tuonò la voce di suo padre. «Che ti avevo
detto di quel vestito? È troppo corto per essere indossato in
presenza di uomini».
«Oh, papà», sorrise, «smettila di fare il vecchio». Lanciò uno
sguardo di sottecchi lungo la fila dei soldati a cavallo, domandandosi
se un giovane in particolare avesse notato il suo bel vestito.
Erwyn smontò accompagnando il suo cavallo dalla briglia.
Gwenno gli afferrò un braccio, trotterellando allegramente al suo
fianco.
«Sei stato via tanto a lungo», disse, «quasi iniziavo a credere che
non saresti più tornato».
«Negli ultimi tempi i Cornovi sono diventati molto più abili a
nascondere le loro mandrie», scoppiò a ridere suo padre. «Imparano
in fretta».
Gwenno lanciò un’occhiata alle sue spalle, verso la parte finale
della colonna di cavalli, notando i capi di bestiame al seguito dei
giovani a cavallo che avevano accompagnato il gruppo.
«Hai ucciso qualcuno?», sussurrò la ragazza con gli occhi
sgranati.
«No, bambina mia, non c’è stato alcun bisogno di uccidere
nessuno».
«Ma come hai fatto a tornare con tanto bestiame?»
«Diciamo solo che sono stati molto comprensivi nei confronti
delle nostre richieste».
Gwenno lanciò un’altra occhiata ai guerrieri ben armati. Aveva
sentito svariate voci sul potere persuasivo del padre nel corso di
quelle missioni commerciali.
«Mi hai portato qualcosa?», chiese timidamente.
«Nel nome di Ocelus, bambina mia», scoppiò a ridere, «lasciami
almeno rientrare a casa, prima».
«Smettila di chiamarmi bambina», sibilò Gwenno, guardandosi
intorno per controllare se qualcuno avesse sentito. «Ho quasi
quattordici anni».
«Ne hai appena compiuti tredici e sei ancora la mia bambina», la
rimproverò con dolcezza il padre. Poi la sollevò, facendola oscillare
con le braccia muscolose mentre il suo cavallo, ormai libero, trottava
oltre i cancelli d’ingresso, impaziente di tornare in un ambiente più
familiare.
«Papà», urlò la giovane fingendosi adirata, ma in segreto
deliziata dall’affetto del padre, «smettila».
Erwyn sorrise e la adagiò a terra.
«Aspetta qui, arriverà a breve».
«Non so assolutamente di cosa tu stia parlando», sbuffò con un
cenno altezzoso del capo.
«Vuoi farmi credere che tutte queste smancerie sono solo per
me?», domandò con lo sguardo rivolto ai fiori tra i capelli della figlia.
«No», scoppiò a ridere lei, «la mamma ha fiori a sufficienza per
te». Lisciò il vestito scompigliato e dopo aver baciato il padre sulla
guancia attraversò di corsa i cancelli per attendere il resto del
gruppo nei pressi del ponte.
Erwyn superò le casupole circolari periferiche del villaggio
fortificato. Negli ultimi anni l’insediamento si era espanso, soprattutto
perché gli attacchi dalle tribù vicine erano diminuiti e il clan aveva
acquisito maggiore sicurezza nella forza dei propri guerrieri.
All’aumentare della popolazione, erano state costruite altre capanne,
e dall’anno precedente era stato necessario raddoppiare le
dimensioni della palizzata di legno che garantiva la protezione del
villaggio dalle tribù nemiche. Nuvole di fumo salivano dai tetti conici
in paglia mentre le donne preparavano i pasti serali per le proprie
famiglie e i bambini sudici giocavano nel fango in attesa dell’ora di
cena.
La struttura delle capanne era realizzata a partire da un cerchio
di pali conficcati a fondo nel terreno e intrecciati con muri di nocciolo
o betulla. I tetti di paglia calavano dall’alto fino a terra e ricoprivano
le pareti fatte con fango, steli e feci di animali, tenendo l’interno
dell’abitazione fresco d’estate e incredibilmente caldo d’inverno.
Erigevano le abitazioni in quel modo da quando ne avevano
memoria, e in tutto il paese veniva usato lo stesso tipo di
costruzione.
Era un periodo florido per il clan dei Blaidd, e per i Deceangli in
generale. L’asperità del paesaggio, la decisione con cui difendevano
il proprio territorio dagli attacchi delle altre tribù e la posizione tattica
della loro fortezza rendevano estremamente rari gli attacchi da parte
degli invasori. Inoltre, a causa del ruolo che giocavano nella
protezione della vicina isola sacra di Mona, godevano anche del
patrocinio spirituale degli onnipotenti druidi, e il rischio di innervosire
la setta religiosa spingeva ben pochi assalitori a sfidare la loro ira.
La maggior parte delle tribù confinanti si accontentava di
commerciare con i vicini o di coltivare le proprie terre. Era più
probabile che scoppiassero conflitti tra i diversi clan di una stessa
tribù, che perlopiù venivano risolti nelle riunioni tra anziani tenute
ogni luna allo scopo di appianare le reciproche differenze.
Le missioni commerciali erano frequenti, e di rado si
concludevano con soluzioni violente. Tuttavia, di tanto in tanto
l’onore richiedeva soddisfazione, e i campioni di ciascuna fazione si
battevano l’uno contro l’altro all’ultimo sangue. Non c’era onore nel
perdere un duello, contava solamente vincere.
Nell’intera Britannia, le diverse tribù interagivano tra loro con
regolarità, anche se nessuno sapeva granché dei Siluri che vivevano
a sud – una feroce tribù di guerrieri di montagna che non
scendevano mai a compromessi e che di rado si allontanavano dalle
loro colline – e pochissimi avevano il permesso di accedere ai loro
territori.
Gwydion cavalcava il suo destriero alla fine della carovana, la
briglia sciolta attorno al collo dell’animale. Il ragazzo conduceva il
cavallo con la pressione delle cosce, e quello rispondeva al minimo
tocco del suo abile cavaliere. Indossava un paio di pantaloni in tartan
di lana grezza e una tunica di lino lunga fino alle cosce. Un pesante
mantello in plaid fermato con una spilla di bronzo gli copriva le
spalle. Le sue armi consistevano in una spada appesa alla cintura in
pelle e un arco in tasso che portava in grembo, già incordato e
pronto all’uso.
Vista l’abilità con l’arco di Gwydion, Erwyn gli aveva assegnato il
titolo di cefn, un importante ruolo che prevedeva la difesa del retro
della carovana. Un manipolo di guerrieri esperti aveva deviato dal
percorso un’ora prima, accerchiando il gruppo a miglia di distanza
senza mai perdere d’occhio il sentiero, sempre all’erta. Qualsiasi
incauto inseguitore abbastanza sciocco da pensare di poter cogliere
di sorpresa i Deceangli si sarebbe ritrovato intrappolato in un inferno
di acciaio e salici, ancora prima di riuscire ad avvicinarsi al villaggio.
Il ruolo di cefn era un onore per Gwydion, che prendeva l’incarico
molto sul serio. Se avessero subìto un attacco, lui sarebbe stato il
primo a saperlo, e avrebbe dovuto suonare l’allarme per avvertire il
resto del clan. Ogni venti passi circa, faceva voltare il cavallo per
osservare il tratto di sentiero che il gruppo si era lasciato alle spalle,
attento a qualsiasi cosa fuori dall’ordinario.
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