Infinity – Love in a mystery – A quali oscuri compromessi scenderai per amore? – Alessandra Cigalino

SINTESI DEL LIBRO:
La strada verso l’aeroporto sembrava più lunga del solito. Gli alberi
allineati ai bordi della via erano stati spogliati dall’Autunno. La nebbia
persistente che, invadeva le campagne della pianura, rendeva più difficile il
tragitto dell’autobus. Ecco perché avevo scelto quello che mi avrebbe fatta
arrivare con largo anticipo all’aeroporto.
Era ormai giunto il momento di godermi un po’ di svago, o almeno così
avevo promesso a mia madre. Mi aveva convinta. Stavo partendo per il mio
mese sabbatico verso la meta a me più ambita: Londra. Adoravo quella
città. Ma il morale per gioire veniva a mancare. Lasciando l’Italia, cercavo
di allontanare il dolore per la scomparsa di mio padre, il mio scudo.
Sapevo benissimo che, pur prendendo quell’aereo, non avrei risolto nulla,
ma almeno avrei provato ad affrontare ancora il mio cammino di vita, dove,
nel caso in cui fossi caduta, stavolta mi sarei dovuta risollevare con le mie
sole forze.
Dovevo provare. Dovevo allontanare il ricordo malvagio della malattia
crudele che si era portata via ogni briciolo di potere vitale dal corpo non più
possente di quell’uomo, il cui volto era sempre stato intriso di sorrisi.
E poi era l’unica possibilità che avevo per dimostrare a mia sorella che
potevo farcela. Già perché il patto fu chiaro: un mese di tempo per far
valere ciò che credevo possibile nelle mie capacità.
Avevo fissato colloqui di lavoro in alcune Società londinesi. E anche se
non avevo una laurea al mio attivo, contavo su me stessa. Sentivo che
potevo farcela!
«Ho sempre avuto un’ottima capacità di apprendimento», le dissi prima
di partire, «Fidati, Caroline! Un solo tentativo, un mese e poi, se le cose
non andranno come credo, tornerò e mi troverò un qualsiasi lavoro qui,
vicino alla mamma».
Essendo sorella maggiore doveva intervenire in ogni decisione. Stavolta,
però, le feci capire che non doveva intromettersi. Avevo il diritto di
scegliere e dire la mia ora. Soprattutto dopo che per troppo tempo rimasi in
silenzio a osservare lei che si sposava, lei che se ne andava di casa, lei che
quando papà stava male la notte non c’era… Basta! Ora toccava a me
parlare.
Tuttavia, non volevo lasciare la mamma per molto a casa da sola, ma
l’avrei chiamata sicuramente almeno dieci volte al giorno, o l’avrebbe
comunque fatto lei.
Ma soprattutto le promisi che per Natale sarei senz’altro tornata.
***
Riflettendo su ciò che dall’oblò dell’aereo si stava allontanando,
diventando sempre più piccolo, non mi ero accorta di quanto fosse vuoto
quel volo di novembre.
Mentre lottavo con la mia borsa, per trovare l’iPod, a un tratto, mi sentii
osservata. Mi voltai lentamente e li vidi: due occhi che, con il loro verde
smeraldo, mi scrutavano dalla sinistra, quattro posti dietro di me. Per un
breve istante, mi si bloccò il respiro. Rimasi sbalordita dalla bellezza
disarmante di quello sguardo e sentii le mie guance infuocarsi.
Mi rigirai di scatto. Con il fiato corto, riuscii finalmente a trovare ciò di
cui avevo maggiormente bisogno in quel momento: note addolcite da
melodie in grado di cullare la mia anima.
All’improvviso, sentii nascere in me la voglia di voltarmi ancora. Volevo
provare a vedere meglio il volto di quel ragazzo. Mi incuriosiva. Ma in quel
preciso momento fui obbligata a rinunciare. Ero stata costretta a provare
troppe emozioni in quegli ultimi mesi. E poi per quale motivo mi stavo
comportando in quel modo?
Ora come ora, non avevo abbastanza forza per controllare in modo
regolare i battiti del mio cuore. Dovevo riposare.
Appoggiai la nuca al sedile, infilai gli auricolari, chiusi gli occhi e,
rannicchiata su me stessa e le mie angosce, abbracciai ancor di più il
cappotto.
Rapita da quell’attimo di pace apparente, mi ricordai della telefonata che
feci prima di partire a colui che negli ultimi due anni era stato sempre al
mio fianco. Fabrizio era un grande amico, ma sapevo che per lui era
diverso. Conoscevo i suoi sentimenti nei miei confronti.
Agli occhi degli altri la nostra amicizia poteva addirittura apparire
qualcosa di più, ma per me era il migliore amico che si potesse avere.
Nient’altro. Era sempre stato paziente e dolce, ma non avevo mai sentito
dentro quella scintilla capace di darmi la scossa (almeno avevo sempre
pensato potesse essere così), per poter ricambiare tutte le sue attenzioni. Ora
più che mai, non volevo avere ulteriori pressioni.
A quasi diciannove anni di età non avevo mai avuto un ragazzo. Ma
neanche avevo intenzione di stare con qualcuno, come tutte quelle ragazze
che vedevano nella conquista di un “boyfriend” una sorta di privilegio, di
“dovere sociale” per poter trovare una posizione nel mondo. Il mio posto
ero in grado di trovarmelo da sola, senza qualcuno che dovesse
obbligatoriamente stare al mio fianco, accarezzandomi di tanto in tanto o
passeggiando con me, tenendomi il braccio sulle spalle. Anche se questo
poteva sembrare cinico e glaciale, era ciò che più fermamente credevo in
quel momento.
Ecco perché, quando decisi di chiamarlo, stavo facendo il check-in.
Sentii la sua voce preoccupata. «Ma perché me lo dici solamente ora?
Sarei venuto con te. Ti sarei potuto stare accanto. Vuoi che venga il
prossimo week-end? Così...»
Lo bloccai subito. «No, no Fabri, ti prego! Non ti chiedo di capire la mia
decisione, perché sarebbe egoista da parte mia, dato che nemmeno io
riesco a comprendere me stessa in questo periodo. Ti chiedo solo di
accettarla. Sai che ti voglio bene, ma è una cosa che devo fare da sola. Ho
bisogno di trovare uno spazio tutto mio».
Dopo un istante di silenzio, dove molto probabilmente stava elaborando
meglio le mie parole o, magari, stava cercando di trovarne altre per
provare a dissuadermi, conclusi dicendo: «Fabri, ti voglio bene e per me
sei davvero importante, ma ti prego non preoccuparti. Ti chiamerò io. Ok?»
Con il timbro di voce di un bambino che aveva paura del buio, ma ora
doveva provare ad addormentarsi da solo e senza luce, rispose: «Mi
mancherai. Fai comunque buon viaggio. Se vorrai quando tornerai… Sai
dove trovarmi! Chiama, ogni tanto!».
Quando disse quelle parole, una lacrima provò a sgorgare dai miei
occhi. In quell’istante, capii che era ora di lasciarci. «Grazie, lo farò.
Ciao».
Il ricordo di quella telefonata mi rattristì talmente tanto che scivolai
lentamente sul sedile. Strinsi ancora più forte il mio cappotto, trattenendo le
lacrime.
Era stato così difficile, ma sentivo che doveva andare così. Dovevo avere
la mente libera. Era ora di scrivere le pagine della mia vita senza più
chiedere la penna in prestito agli altri.
***
L’atterraggio non fu dei migliori, forse per il poco peso dell’aereo che, a
causa del forte temporale abbattutosi su Heathrow, oscillava continuamente.
Ma anche se il mio stomaco era riuscito a scamparla, non vedevo l’ora di
appoggiare i piedi al suolo, per bere un verot tè inglese.
In attesa della mia unica valigia, preparata con scrupolosità e precisione,
mi accorsi nuovamente di quegli occhi dall’altra parte del rullo bagagli. Mi
stavano fissando e io iniziai a sprofondare dentro il loro splendore.
Sembrava mi stessi perdendo in una dimensione parallela.
All’improvviso, mi sentii avvolta da vertigini e da un senso di smarrimento.
Tutto il corpo incominciò a tremare e il fiato di colpo mi si fermò alla gola.
Chi era? Per quale ancestrale motivo mi sentivo così rapita da quegli
occhi potenzialmente scioccanti? Chi era quel ragazzo così bello, che solo
quell’aggettivo non gli donava giustizia? Era una meraviglia della natura in
grado di avvolgermi con il suo sguardo senza permettermi di chiudere le
palpebre. Mi sembrava un angelo con il biondo dei suoi incantevoli capelli
che circondavano un viso così raffinato. Era forse il principe delle favole
che fin da piccola ti imponevano di sognare a occhi chiusi? Beh, io li avevo
aperti e lui era lì… Era fino a pochi istanti prima.
Ma dov’era finito?
A un tratto, ritornai padrona dei miei sensi e il fiato ricominciò a gonfiare
il mio petto, ma, voltandomi a ogni angolo del lungo corridoio, non riuscivo
più a vederlo.
La sensazione provata pochi istanti prima era reale! Mi lasciò talmente
fiacca che, a stento, riuscii a prendere la mia valigia. Ma, raccogliendo tutte
le mie poche forze, intimai me stessa ad andare.
Mi voltai un’ultima volta verso il rullo bagagli con una piccola speranza
nel cuore. Scrollai la testa, dandomi della sciocca e mi esortai a raggiungere
il taxi il prima possibile.
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