Il viaggio in Occidente – Ch’eng-en Wu

SINTESI DEL LIBRO:
Sempre un solo pensiero agita i diavoli: Nessuna contrizione li
mortifica. Senza esitar bisogna eliminarli E tenersi ben netti da ogni
polvere. Se sfuggirete a quel sudicio ostacolo, In alto volerete coi
vostri atti.
Abbiamo sentito come se l'era cavata il grande santo, sfruttando le
sue conoscenze, nella città di Cammello Leone; e come i pellegrini
la lasciarono per riprendere il viaggio a Occidente. Passarono molte
lune e ritornò l'inverno, quando si vede
L'acqua del lago stretta dolcemente Da una lama di ghiaccio. Foglie
morte Ricoprono le rive; fra gli scheletri D'alberi svetta il pino verde
giada. Passano nuvole bianche di neve Sull'erba intirizzita della
piana. Il tuo sguardo è abbagliato dalla luce Chiara e gelata, che
penetra le ossa.
Maestro e discepoli avanzavano sfidando il freddo, esponendosi alla
pioggia e bivaccando nel vento. E giunsero in vista di un'altra città
circondata da mura. "Consapevole del Vuoto, che città sarà quella?"
"Vedremo quando saremo arrivati. Se è un regno, presenteremo il
passaporto; se è soltanto prefettura o sottoprefettura, ce ne andremo
per i fatti nostri." Giunsero in breve alla porta; all'ombra del suo arco
a tutto sesto dormiva pacifico un vecchio militare. Scimmiotto lo
andò a scuotere e gridò: "Sveglia, sergente!" La guardia,
bruscamente risvegliata, sbatté gli occhi a vedersi davanti quella
faccia e si gettò in ginocchio esclamando: "Comandate,
monsignore!" "Che ti prende?" rise il Novizio. "Non sono mica un
diavolo, per essere trattato con tante cerimonie." "Non siete forse
nostro signore il duca del tuono?" balbettò il soldato prosternandosi.
"Storie! Sono soltanto un monaco in cerca di scritture. Arrivo in
questo momento, e non conosco il nome del posto. Lo chiedo a te,
con preghiera di risposta chiara e breve." La guardia balbettò: "Vi
prego di scusare. Il paese si chiamava Bhiksu, ma ultimamente ha
cambiato nome, e ora è la Città dei Bambini." "Lo avete uno straccio
di re?" "Certo, certo." "Ecco qua, maestro" espose Scimmiotto.
"Siamo arrivati nel regno di Bhiksu, che attualmente si chiama
Regno dei Bambini. Perché abbia cambiato nome, non lo so." "Se si
chiama Bhiksu, che cosa c'entrano i bambini?" chiese perplesso
Tripitaka. "Sarà morto il re e gli sarà succeduto un figlio bambino"
suggerì Porcellino. "È inverosimile: non si usa cambiare il nome al
regno, in circostanze del genere." "Giusto" approvò Sabbioso.
"Questo vecchietto sembra fuori di sé dalla paura che gli incute il
nostro condiscepolo. Entriamo in città e chiediamo ai passanti."
Superarono la triplice porta e si trovarono su un largo viale, che
offriva l'animato spettacolo di un grande mercato: gente elegante,
bei vestiti, qualche gomitata. Ecco qua:
Migliaia di negozi e magazzini Dai prosperi commerci, che ogni
strada Riempiono di ricchezze e merci in mostra. Sale da tè protette
da cortine, Affollate taverne in cui si canta E si suona e si grida
allegramente. I mercanti di seta, i trafficanti D'oro e preziosi, a caccia
di guadagni, Si affaccendan, si accalcano, si sgolano. È uno
scenario di prosperità: Anni di pace, maniere distinte, Calme l'acque
del mare, puri i fiumi.
I quattro pellegrini, tirandosi dietro il cavallo, si perdevano nelle
strade e nei mercati affollati, incantati dalla loro animazione. Si
meravigliarono specialmente di certe gabbie da oche, coperte di
stoffe dei cinque colori, che si vedevano davanti a tutte le porte.
"Discepoli" chiedeva Tripitaka, "chissà perché la gente del posto
terrà una gabbia davanti alla propria casa?" Porcellino suppose:
"Sarà un giorno particolarmente favorevole per sposarsi. Le gabbie
serviranno per portare le cibarie del banchetto." "Figuriamoci se ci
può essere un matrimonio in ogni casa" obiettò Scimmiotto.
"Evidentemente il motivo è un altro: raccoglierò informazioni."
"Attento" lo trattenne Tripitaka. "Non sarebbe la prima volta che
spaventi la gente." "Prenderò le mie precauzioni." In effetti si
trasformò in ape, e andò a vedere che cosa si nascondeva sotto
quei panni colorati. Bambini: ogni gabbia conteneva un bambino, ed
erano tutti maschietti. Alcuni giocavano, altri dormivano, o
piangevano, o rosicchiavano una mela. I più grandi non
raggiungevano sette anni, i più piccoli ne avevano quattro o cinque.
Tripitaka, informato, non sapeva che cosa pensare. Videro l'insegna
dorata di una locanda e vi si recarono a chiedere ospitalità. Li venne
a ricevere l'oste, che si informò: "Da dove venite, reverendi?"
"L'umile monaco che sono" rispose Tripitaka "è inviato dai grandi
Tang dell'Est a cercare le scritture nel Paradiso dell'Ovest. Siamo
appena arrivati nella vostra nobile città e, prima di proseguire,
vorremmo far vistare i nostri documenti." Fu offerto il tè. Quando lo
ebbero bevuto, Tripitaka domandò: "Credete che mi sarà possibile
recarmi oggi stesso a corte?" "Ormai è tardi, non è più possibile;
dovrete aspettare domattina. Intanto potrete passare la notte, spero
in modo piacevole, nel mio umile yamen." L'oste fece spazzare le
camere loro destinate e li invitò alla sua tavola per consumare un
pasto di magro. Tripitaka lo ringraziò cerimoniosamente e, a tavola,
riprese la conversazione: "Vi potrei importunare per chiarirmi un
dubbio? Mi chiedo come vengano cresciuti i bambini nel vostro
nobile paese." "La ragione umana è una sola, come il sole in cielo"
rispose l'oste. "Per crescere bambini occorre lo sperma del padre e il
mestruo della madre; la madre porta il figlio per dieci mesi prima di
partorirlo, e lo allatta per tre anni. Poi, pian piano, il corpo si forma.
Come potremmo ignorarlo?" "Vedo dalle vostre nobili parole che si
pratica qui come nel nostro umile paese. Ma entrando in città ho
visto davanti a tutte le case bambini chiusi in gabbia. Mi permettete
di chiedere perché?" L'oste si chinò verso di lui e bisbigliò: "Date
retta, reverendo, non immischiatevi di queste cose e non parlatene
con nessuno: acqua in bocca! Ora ve ne andrete tranquilli a riposare
e domattina riprenderete la vostra strada." Ma Tripitaka insisteva per
aver chiarimenti. Non riuscendo a sbarazzarsene in altro modo,
l'oste fece allontanare i camerieri e, rimasto solo al lume incerto
della lucerna, disse a bassa voce: "Non dovreste insistere. Questa
storia delle gabbie è dovuta a una decisione inumana del nostro
sovrano." "Perché dite che è inumano? Perdonatemi, ma non avrò
pace finché non verrò in chiaro di questa storia." "Tre anni fa giunse
qui un vecchio prete taoista che portava con sé una fanciulla di
sedici anni, bella come Guanyin. La offrì al re, che se ne infatuò al
punto di trascurare le dame dei tre palazzi e le concubine delle sei
corti: ha occhi solo per lei e le ha dato il titolo di Regina di Bellezza.
Fa l'amore con lei notte e giorno, non mangia più: è spossato ed
emaciato, da sembrare in punto di morte. La reale corte di medicina
ha esaurito le proprie risorse senza riuscire a guarirlo. Il daoshi, che
ha portato la ragazza e ha ricevuto il titolo di real suocero, afferma di
conoscere una ricetta segreta per prolungare la vita di mille anni, e
di avere raccolto tutti i semplici che occorrono per prepararla nei suoi
viaggi attraverso le tre isole e i dieci isolotti. Ma il farmaco, per
essere efficace, dev'essere sciolto in una terribile bevanda: il brodo
ricavato dalla bollitura del cuore e del fegato di millecentodieci
bambini. Non è forse inumano? La gente non osa lamentarsi
apertamente, per paura del re. Ma la storia è raccontata nei canti
popolari, con sentori di sedizione; ed è per questo che il paese, che
si chiamava Bhiksu, ora vien detto il Regno dei Bambini. Domattina,
quando vi recherete a corte, guardatevi dall'alludere a queste
vicende: fate vistare il passaporto e andatevene." L'oste non
aggiunse altro. Il reverendo era inorridito; versava lacrime ed
esclamava: "Sovrano fuorviato! Ti sei rovinato la salute e per guarirti
uccidi fanciulli. Mi sento morire di fronte a una simile perversità."
Perde la sua salute il re perverso, Ad orge dissolute
abbandonandosi. Per sfuggire al castigo egli non esita A uccidere i
fanciulli del paese. Questa rivelazione strappa al monaco Pianti e
sospiri: al lume della lampada L'uomo del Buddha invano si dispera.
"Che cosa vi succede, maestro?" domandò Porcellino. "Non state a
tormentarvi! Voi non fate che piangere sui guai degli altri. Dice
l'adagio: se il sovrano ordina di morire, il suddito che rifiuta manca di
lealtà; se lo ordina il padre, il figlio che rifiuta manca di pietà filiale.
Sono fatti che riguardano la gente del posto: a voi che cosa
importano? Perché non vi spogliate e non vi mettete a letto?"
"Discepolo, sei privo di compassione" si indignò Tripitaka. "Per noi
che abbiamo lasciato le nostre famiglie, il maggior merito sono le
buone azioni verso il prossimo. Come avrà potuto il sovrano cadere
in un inganno così evidente? Quando mai si prolunga la vita
mangiando viscere umane?" "Maestro, non vi affliggete" intervenne
Sabbioso. "Domani, all'udienza, ne parleremo al re. Se non basterà,
cercheremo di saperne di più sul real suocero: magari è un mostro
avido di carne umana, che ha trovato questa scusa per procurarsi il
suo cibo preferito." "Ha ragione Consapevole della Purezza" approvò
Scimmiotto. "Ora, maestro, andate a coricarvi. Domattina vi
accompagnerò a corte, e verremo in chiaro di chi sia veramente
questo suocero. Se è un uomo, è un ignorante che crede di
allungare la vita con i farmaci; in questo caso, mi incarico di
convertirlo insegnandogli i grandi principi originari. Se è un mostro lo
prenderò e lo mostrerò al re nel suo vero aspetto. Convincerò il re
che non giova alla salute della mente e del corpo dedicarsi troppo a
una donna sola (tanto meno a una mostriciattola), ma è più sano
possederne parecchie(1). In ogni caso la faremo finita con questa
persecuzione dei bambini." Tripitaka s'inchinò e rispose: "Caro
discepolo, è un'ottima idea. Ma se il sovrano, che non vuol sentire
parlare di queste cose, ci accusasse di calunniarlo con insinuazioni
sediziose?" "Non dimenticate quanti trucchi conosco" rispose
Scimmiotto sorridendo. "Per il caso che le cose si mettano in quel
modo, farò scomparire tutti i bambini rinchiusi nelle gabbie. Se il re
vorrà carne fresca, dovrà rinnovare il suo ordine; noi lo contesteremo
subito, e lui non potrà dire che facciamo insinuazioni." "Puoi davvero
togliere quei fanciulli dal pericolo?" esclamò sollevato Tripitaka. "Se
lo fai, saggio discepolo, mostrerai una virtù alta come il cielo. Fallo
presto, il danno potrebbe essere imminente." Scimmiotto affidò il
maestro ai condiscepoli: "Aspettatemi qui. Quando sentirete soffiare
il vento, vorrà dire che i bambini lasciano la città." E i tre recitarono in
coro: "Namo Buddha, signore dei farmaci e salvatore delle creature,
namo Buddha!" Il grande santo uscì all'aperto, salì in cielo con un
sibilo e convocò gli dèi delle mura e dei fossati, la divinità locale con
i suoi assistenti, i rivelatori dei cinque orienti, i quattro protettori, le
sei divinità del giorno e della notte, i difensori della fede, e molti altri.
Riuniti davanti a lui, lo salutarono: "Grande santo, quale affare
urgente vi ha indotto a buttarci giù dal letto a quest'ora?" "Il re di
Bhiksu, dove siamo giunti nel nostro viaggio, si appresta a far
strappare il cuore e il fegato ai bambini della città, per farsi preparare
un farmaco di lunga vita. Il mio maestro non lo può tollerare, e mi ha
incaricato di salvare le vite innocenti e di distruggere la creatura
perversa che ha suggerito il crimine. Vi prego di aiutarmi. Dovreste
portare tutti quei bambini, nelle loro gabbie, in un posto sicuro, sulla
montagna o nel cuore di una foresta, e dovreste custodirli per un
paio di giorni. Bisogna nutrirli di frutta e consolarli, perché non
soffrano la fame e non piangano di paura. Quando avrò ristabilito
l'ordine e ricondotto il re sulla retta via, dovreste riportarli al punto di
partenza." Gli dèi ubbidirono. La città fu percorsa da un vento gelato,
che portava con sé una fitta nebbia.
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