Il sussurro del mondo – Richard Powers

SINTESI DEL LIBRO:
È il periodo delle castagne.
La gente sta scagliando dei sassi contro i tronchi giganteschi. Le
castagne cadono tutt’intorno a loro in un diluvio divino. Quella
domenica accade in innumerevoli luoghi, dalla Georgia al Maine. Su
a Concord, Thoreau vi prende parte. Ha la sensazione di gettare
sassi a un essere senziente, con una sensibilità meno acuta della
sua, eppure un suo simile. Gli alberi antichi sono i nostri genitori, e
forse i genitori dei nostri genitori. Se si vuole conoscere i segreti
della Natura, bisogna praticare più umanità...
A Brooklyn, su Prospect Hill, il nuovo arrivato, Jørgen Hill, è
divertito dalla forte valanga che scatenano i suoi tiri. Ogni volta che i
sassi vanno a segno, il cibo cade a palate. Gli uomini scappano di
qua e di là come ladri in fuga, riempiendo bicchieri, sacchi e tasche
di pantaloni di castagne liberate dei loro ricci avvolgenti. Eccolo qui,
il mitico banchetto gratuito d’America – eppure un’altra manna in un
paese che porta via persino le sue briciole dalla tavola di Dio.
Il norvegese e i suoi amici del Brooklyn Navy Yard mangiano il
loro bottino arrostito su grossi fuochi in una radura in mezzo ai
boschi. Le castagne abbrustolite sono indescrivibilmente rinfrancanti:
dolci e saporite, ricche come patate al miele cotte al forno, grezze e
allo stesso tempo misteriose. I gusci sbavati punzecchiano, ma il
loro No è più uno scherzo che un vero ostacolo. Le castagne
vogliono scivolare via dalla loro protezione spinosa. Ognuna si offre
alle bocche, così che altre possano essere sparse lontano.
Quella notte, ubriachi di castagne abbrustolite, Hoel si dichiara a
Vi Powys, una ragazza irlandese che abita nelle case a schiera con
la struttura in legno di pino a due isolati di distanza dalla sua
abitazione in affitto, ai margini di Finn Town. Nessuno nel raggio di
tremila miglia ha il diritto di obiettare. Si sposano prima di Natale.
Entro febbraio, diventano americani. In primavera, i castagni
fioriscono di nuovo, lunghi gattini vellutati che ondeggiano al vento
come montoni sull’Hudson verdazzurro.
I cittadini arrivano carezzando il grande sogno del mondo
incorrotto. La coppia raduna i propri beni mobili e intraprende il
viaggio via terra lungo le vaste distese dei pini bianchi del
Nordamerica orientale, spingendosi nelle scure foreste di faggio
dell’Ohio, attraversando intermezzi di querce del Midwest fino
all’insediamento accanto a Fort Des Moines nel nuovo stato
dell’Iowa, dove le autorità assegnano della terra lottizzata il giorno
prima a chiunque la coltiverà. Le persone più vicine si trovano a due
miglia di distanza. Quel primo anno arano e seminano quattro
dozzine di acri. Frumento, patate e fagioli. Il lavoro è brutale, ma è
tutto loro. Meglio che costruire navi per la marina militare di un
paese qualunque.
Poi arriva l’inverno della prateria. Il freddo mette a dura prova la
loro voglia di vivere. Le notti nella capanna bucherellata gelano loro
il sangue. Ogni mattina devono rompere il ghiaccio nel catino
soltanto per sciacquarsi il viso. Però sono giovani, liberi e
determinati – gli unici garanti della loro esistenza. L’inverno non li
uccide. Non ancora. La più nera disperazione nel loro profondo
viene compressa finché non diventa dura come un diamante.
Quando è di nuovo tempo di semina, Vi è incinta. Hoel accosta
l’orecchio alla pancia. Lei ride davanti al viso del marito stordito dalla
soggezione. “Cosa sta dicendo?”
L’uomo risponde nel suo inglese brusco e martellante. “Dammi da
mangiare!”
Quel maggio, Hoel trova sei castagne nella tasca del camiciotto
che indossava il giorno in cui si era dichiarato a sua moglie. Le
conficca nel terreno dell’Iowa occidentale, sulla prateria brulla
attorno alla loro capanna. La fattoria è a centinaia di chilometri dalla
varietà indigena del castagno, a un migliaio dalle moltitudini di
castagni di Prospect Hill. Ogni mese, il ricordo di quelle foreste verdi
dell’est diventa più indistinto nella mente di Hoel.
Però siamo in America, dove gli uomini e gli alberi sono capaci
delle rivelazioni più sorprendenti. Hoel semina, innaffia, e pensa: Un
giorno, i miei bambini scuoteranno i tronchi e mangeranno gratis.
* * *
Il loro primogenito muore durante l’infanzia, ucciso da una cosa
che ancora non ha un nome. Non esistono ancora i microbi. È Dio
l’unico a portarsi via i bambini, cambiando persino il posto alle anime
da un mondo all’altro, stando a oscuri programmi.
Una delle sei castagne non germoglia. Tuttavia, Jørgen Hoel
riesce a tenere in vita le pianticelle superstiti. La vita è una battaglia
tra il Creatore e la sua creazione. Hoel diventa un abile lottatore.
Riuscire a mantenere in vita gli alberi è una cosa da nulla rispetto
alle altre guerre che deve combattere ogni giorno. Al termine della
prima stagione, i suoi campi sono tutti coltivati e le sue pianticelle
migliori sono alte più di sessanta centimetri.
Nei quattro successivi anni, gli Hoel crescono tre bambini e un
primo abbozzo di castagneto. I ramoscelli spuntano lunghi e sottili, i
loro fusti solcati di lenticelle. Le rigogliose foglie a dentelli, seghettate
e spinose, fanno sembrare piccoli i ramoscelli da cui spuntano. A
parte queste prime piante e qualche quercia macrocarpa sparsa qua
e là nelle terre pianeggianti, la fattoria è un’isola in un mare erboso.
Persino le prime, scheletriche pianticelle hanno già un loro
utilizzo:
il tè dagli alberi appena nati per disturbi cardiaci,
le foglie di giovani germogli per curare le piaghe,
freddo estratto di corteccia per fermare il sanguinamento dopo il parto,
galle riscaldate per far rientrare l’ombelico dei neonati,
foglie bollite con zucchero scuro per gli accessi di tosse,
impiastri per le scottature, foglie per imbottire un materasso rumoroso,
un estratto per la disperazione, quando l’angoscia è troppa...
Gli anni si susseguono, sia magri che floridi. Sebbene la loro
media tenda verso il basso, Jørgen rileva una tendenza al rialzo.
Ogni anno che ara, dissoda più terra. E la futura forza lavoro degli
Hoel continua ad aumentare. Di questo se ne occupa Vi.
Gli alberi si infoltiscono come per incanto. Il castagno è veloce:
Nello stesso tempo in cui un frassino impiega a fare una mazza da
baseball, un castagno ha fatto un cassettone. Se ti chini per vedere
un arboscello, ti infilzerà un occhio. Le crepe nella loro corteccia si
avvolgono come le strisce dei pali del barbiere mentre i tronchi si
attorcigliano verso l’alto. I rami al vento oscillano tra il verde scuro e
una sfumatura più chiara. Le foglie che formano un cerchio si
allargano, in cerca di sempre più sole. Ondeggiano nell’umido
agosto, allo stesso modo in cui a volte i capelli della moglie di Hoel
un tempo color ambra si agiteranno ancora, liberi. Quando si
riaffaccia la guerra nel giovane paese, i cinque tronchi hanno
superato la persona che li aveva piantati.
L’implacabile inverno del ’62 cerca di prendersi un altro bambino.
Si accontenta di uno degli alberi. Il figlio più grande, John, ne
distrugge un altro, l’estate successiva. Il bambino non si rende mai
conto che strappare metà delle foglie dell’albero per usarle come
soldi finti può ucciderlo.
Hoel tira i capelli del figlio con violenza. “Che ne dici? Eh?”
Picchia il bambino col palmo aperto. Deve intervenire Vi per porre
fine alla legnata.
La leva militare arriva nel ’63. I giovani e i celibi vanno per primi.
Jørgen Hoel, trentatré anni, una moglie, due bambini piccoli e
quattrocento acri di terreno, ottiene il rinvio. Non collabora mai alla
difesa dell’America. Ha un paese più piccolo da salvare.
A Brooklyn, un infermiere-poeta scrive per l’Unione moribonda:
Una foglia d’erba non vale meno della quotidiana fatica delle stelle.
Jørgen non legge mai quelle parole. Le parole gli sembrano una
sorta di sotterfugio. Il suo granturco e i fagioli e la zucca – soltanto le
cose che crescono rivelano la mente silenziosa di Dio.
Un’altra primavera e i tre alberi rimanenti fioriscono tingendosi di
tonalità crema. I fiori emanano un odore acre, selvatico, acido, come
quello di vecchie scarpe o indumenti intimi maleodoranti. E poi ecco
arrivare un mucchietto di dolci noci. Persino quel magro raccolto fa
tornare in mente all’uomo e alla moglie esausta la manna caduta dal
cielo che una notte li aveva fatti unire, nei boschi a est di Brooklyn.
“Ce ne saranno a staia,” disse Jørgen. La sua mente è già tutta
presa a fare pane, caffè, zuppe, torte, intingoli – tutte le squisitezze
che le persone del luogo sapevano che si potevano ricavare da
quell’albero. “Possiamo vendere quello che ci rimane in città.”
“Regali di Natale per i vicini di casa,” decide Vi. Però sono i vicini
che devono dare sostentamento agli Hoel, durante la brutale siccità
di quell’anno. Un altro castagno muore di sete in una stagione in cui
nemmeno al futuro si può risparmiare una goccia d’acqua.
Passano gli anni. I tronchi marroni cominciano a ingrigire.
Qualche fulmine in un autunno asciutto, con pochissimi bersagli
nella prateria abbastanza alti di cui preoccuparsi, colpisce uno dei
due castagni superstiti. Il legno che avrebbe potuto essere utilizzato
per costruire qualunque cosa, dalle culle alle bare, va a fuoco. Non
ne rimane abbastanza da poter costruire neppure uno sgabello con
tre gambe.
L’unico castagno sopravvissuto continua a fiorire. Ma i suoi fiori
non hanno più altri fiori in grado di soddisfarli. Nessun compagno per
innumerevoli chilometri, e un castagno, benché sia maschile che
femminile, non basterà a se stesso. Eppure, l’albero ha un segreto
riposto nel sottile cilindro vivente sotto la sua corteccia. Le sue
cellule obbediscono a una formula antica: Sta’ fermo. Aspetta.
Qualcosa nel solitario sopravvissuto sa che persino l’inflessibile
legge dell’Ora può essere superata. Ci sarà da faticare. Fatica delle
stelle, ma ugualmente terrena. Oppure, come scrive l’infermiere
dell’Unione ormai morta: Rimani fiera e composta di fronte a un
milione di universi. Fiera e composta come legno.
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