Il Senso della Mia Vita – Romain Gary

SINTESI DEL LIBRO:
Mi chiedete di raccontare un poco la mia vita, con la scusa che ne
ho una, ma io non ne sono tanto sicuro, perché credo soprattutto
che sia la vita ad avere noi, a possederci. Dopo si ha l’impressione
di aver vissuto, ci si ricorda di una vita nostra come se l’avessimo
scelta. Personalmente so che ho avuto ben poche scelte nella vita,
che a dirigermi, in un certo qual modo ad abbindolarmi, è stata la
storia nel significato più generale e al tempo stesso più particolare e
quotidiano della parola.
Sono nato in Russia nel 1914 da genitori attori e i miei primi
ricordi sono ricordi di teatro, delle quinte del teatro. Mi ricordo della
Rivoluzione sovietica del 1917. Ero sdraiato sulla piazza Rossa,
c’erano pallottole che fischiavano, mia madre mi si è buttata
addosso per proteggermi. Ho un ricordo di me seduto sulle spalle di
un soldato, di un marinaio sovietico, perché dalla sala potessi vedere
mia madre che era in scena. Mia madre, dicevano, non era una
grandissima attrice e mi ricordo in particolare di questo momento: in
teatro, sul palcoscenico, si rappresentava un villaggio che bruciava e
i suoi abitanti venivano evacuati. C’era una donna vecchissima
interpretata da mia madre che attraversava il palcoscenico sorretta
da due uomini. E, dopo avere assistito a questa scena, ero col
marinaio tra le quinte e ho visto mia madre in lacrime. C’era stata
una scenata col regista ed ecco che cosa era successo: la parte di
mia madre consisteva soltanto nell’attraversare il palcoscenico e mia
madre non voleva attraversare il palcoscenico, vi si aggrappava,
camminava troppo lentamente, la dovevano spingere fuori dal
palcoscenico perché quella era la sua parte e lei ci teneva.
Ho cominciato a scrivere all’età di nove anni, in russo. Poi ci sono
state delle emigrazioni successive, dapprima in Polonia nel 1921,
quando avevo sette anni, subito dopo la guerra tra i polacchi e i
russi; poi, quando avevo quattordici anni, in Francia. Ma non
anticipiamo, perché sono anzitutto uno scrittore e i miei primi sforzi
letterari furono la traduzione di una poesia di Lermontov, «Il ramo di
Palestina», dal russo al polacco. Ci trovavamo già a Varsavia. Ho
dunque cambiato cultura, come vi dirò in seguito, quattro volte. Sono
passato dalla cultura russa alla cultura e alla letteratura polacche;
poi, a quattordici anni, in Francia. E ho vissuto dieci anni in America
e ho perfino scritto un romanzo in americano. E a un certo momento,
ricordo, stavo raccontando questa cosa al generale de Gaulle, gli
parlavo dei cambiamenti di cultura che ho subito e gli ho raccontato
la storia del camaleonte. Se si mette il camaleonte su un tappeto
rosso, diventa rosso. Se si mette il camaleonte su un tappeto verde,
diventa verde, se lo si è messo su un tappeto giallo, è diventato
giallo, se lo si è messo su un tappeto blu, è diventato blu, e se si è
messo il camaleonte su un tartan scozzese multicolore, il
camaleonte è impazzito. Il generale de Gaulle ha riso molto e mi ha
detto: «Nel caso suo, non è impazzito, è diventato uno scrittore
francese».
Ho descritto tutto ciò, il ruolo avuto da mia madre, che è stato
determinante nella mia vita, nella Promessa dell’alba1
, che è la
prima autobiografia che ho scritto all’età di quarantacinque anni. Mia
madre era una francofila come oggi non se ne concepiscono più,
perché la cosa risale all’Ottocento e a quel tempo, soprattutto per i
russi, la Francia era l’incarnazione stessa della grandezza, della
bellezza, della giustizia, dei diritti dell’uomo, di tutte le bellissime
storie che ci siamo raccontati su di noi. Fin dall’inizio, il suo unico
sogno è stato quello di fare di me un francese, tanto che, pur
essendo io di genitori russi, quando è rimasta incinta, aveva deciso
di partorire in Francia, ma le sono venute le doglie alla stazione di
Vilnius, oggi capitale della Lituania, allora piccola provincia russa, e
ha partorito in tutta fretta in una clinica e così sono nato a Vilnius.
Non siamo venuti immediatamente in Francia, abbiamo dovuto fare
una sosta prolungata di sette anni in Polonia. Così ho imparato il
polacco che oggi parlo correntemente, con la massima naturalezza,
come pure il russo, e ho frequentato la scuola polacca, sempre con
mia madre che mi proteggeva dalla vita e si guadagnava da vivere
con molta difficoltà. Non avevamo un centesimo e lei a Vilnius aveva
aperto una casa di moda. Aveva escogitato un trucco forse non
molto onesto: sosteneva di essere la rappresentante a Vilnius di un
grande sarto francese di allora, Paul Poiret. Confezionava dei
cappelli e dentro ci metteva delle piccole etichette «Paul Poiret». Ad
un certo punto, per dare maggiore autenticità alla sua impresa, ha
perfino ingaggiato un attore suo amico che è venuto a interpretare
nei suoi salotti la parte del grande sarto Poiret. Anche tutte queste
cose le ho scritte nella Promessa dell’alba.
Poi siamo dunque andati a Varsavia, dove ho compiuto i miei
studi alla scuola polacca e poi al liceo, e continuavo a scrivere, è
stata questa la vera vocazione. All’età di dodici anni continuavo a
scrivere e avevo una tale voglia di diventare scrittore e soprattutto di
essere pubblicato che, per crearmi l’illusione di essere pubblicato, i
miei primi sforzi letterari li ricopiavo in un quaderno in stampatello. Il
liceo, dunque, in Polonia fino al 1928 ed è stato allora che mia
madre, che era tutta presa dal suo patriottismo francese – visto che
mi ha insegnato il francese quando eravamo ancora in Russia e in
Polonia – era così stravagante che, ad esempio, mi ha risparmiato la
notizia che nel 1870 la Francia ha perso la guerra. Nelle lezioni che
mi impartiva sulla storia della Francia ha semplicemente saltato la
guerra del 1870 perché non si poteva rassegnare all’idea che la
Francia potesse perdere una guerra.
Così nel 1928 sono arrivato a Nizza, dove mia madre dapprima ha
lavorato tenendo delle vetrine di gioielli nei grandi alberghi, poi è
diventata direttrice d’albergo e sono andato al liceo di Nizza. In quel
momento avevo già quasi quattordici anni e dunque fu un nuovo
cambiamento di cultura. Ho attinto ampiamente da questi ricordi non
soltanto nell’autobiografia totalmente autentica e per nulla
romanzata che si chiama La promessa dell’alba, ma anche per il
primo romanzo che ho pubblicato, Educazione europea2
, scritto
durante la guerra. Ho attinto dai miei ricordi di Polonia, quand’ero
aviatore nella Royal Air Force, per ricostruire con autenticità – visto
che i polacchi ci si sono riconosciuti – una Polonia che non
conoscevo, cioè la Polonia della Resistenza. Ma erano
semplicemente dei ricordi geografici dei posti dove ho vissuto e, a
sentire i polacchi, sembra che la Resistenza polacca fosse
esattamente come l’avevo descritta in quel libro.
Ero dunque al liceo di Nizza dove mia madre si rallegrava
profondamente che riuscissi sempre primo in francese; la sua
grande idea era che diventassi diplomatico, che rappresentassi la
Francia all’estero, ma tutto ciò, per un giovanotto che non era ancora
naturalizzato, di origine russa, in un’epoca in cui in Francia la
xenofobia era molto forte – d’altronde non è mai scomparsa del tutto
– sembrava un sogno del tutto stravagante. Sentivo mia madre
dirmi: «Diventerai un grande scrittore, diventerai ambasciatore di
Francia». E certe volte era molto imbarazzante perché mia madre
era molto suscettibile e ogni volta che nelle scale c’era qualche
battibecco, fin da quando avevo otto anni mi trascinava nelle scale e
al vicino che era uscito diceva: «Mio figlio diventerà ambasciatore di
Francia, mio figlio diventerà un grande scrittore francese». Io morivo
di vergogna e si può immaginare l’effetto che faceva mentre
eravamo ancora in una cittadina della Polonia orientale.
Mi ritrovo dunque al liceo di Nizza, continuo gli studi, faccio sport,
molto sport, quasi professionista di tennis da tavolo, ero diventato
campione junior della Costa Azzurra dove mi pagavano, perché non
avevamo un centesimo, per dare lezioni di pingpong, come si
chiamava a quel tempo, e vado a studiare alla facoltà di Legge prima
a Aix-en-Provence e poi a Parigi. A quel punto, grande avvenimento
nella mia vita e in quella di mia madre, l’unico d’altronde di cui lei
abbia avuto conoscenza dal punto di vista letterario, la pubblicazione
del mio primo racconto in un settimanale che si chiamava Gringoire3
.
Ecco dunque che ero ancora un giovane studente e per quel
racconto avevo guadagnato, ricordo, mille franchi, cosa che ha
cambiato radicalmente la mia vita di studente e ha rinsaldato le
speranze che in qualche modo riponevo in me come scrittore.
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