Il ritorno di Puck – Rudyard Kipling

SINTESI DEL LIBRO:
Dan e Una, dimentichi che era la notte di San Giovanni, si
erano prefissi di uscire prima di colazione; e questo
unicamente per veder la lontra che, a detta del vecchio
Hobden, da settimane andava pescando nel loro ruscello:
se volevano coglierla in castagna dovevano farlo di
buon’ora. Mentre in punta di piedi lasciavano la casa per
immergersi in una quiete magica, l’orologio della chiesa
batté le cinque. Dan mosse qualche passo sul prato
guazzoso, e guardò le impronte nere lasciate dai piedi.
«Dovremmo avere un po’ di riguardo per le nostre povere
scarpe» disse. «Così finiranno per fradiciarsi».
Era la prima estate che portavano le scarpe, e le
odiavano; perciò se le tolsero e, con quelle appese al collo,
proseguirono sciaguattando allegramente sull’erba pregna,
dove le ombre si allungavano dalla parte sbagliata, come la
sera in Oriente.
Il sole era già alto e caldo ma, presso il ruscello, la
foschia notturna finiva di sfumare su dall’acqua. Scovarono
le peste della lontra nella fanghiglia a riva, e si misero sulla
scia in mezzo alle erbacce e al grano zuppo, fra le strida di
stupore degli uccelli. Poi le tracce, lasciato il ruscello,
formavano una striscia, come di un tronco trascinato.
La seguirono dentro al pascolo di Tre Mucche, oltre la
chiusa del mulino fino alla Forgia, intorno al giardino di
Hobden e poi su per il pendio, finché non si perse fra l’erba
corta e le felci della Collina di Pook; nei boschi, alle loro
spalle, sentivano i fagiani strepitare.
«Inutile!» disse Dan, cercando in giro come un cane da
caccia disorientato. «La rugiada si sta asciugando, e il
vecchio Hobden dice che le lontre percorrono chilometri».
«Noi di chilometri ne abbiamo fatti tanti» disse Una
sventolando il cappello. «Non si muove una foglia! Fra non
molto sarà come arrostire su una graticola». Portò lo
sguardo sulla valle sottostante dove, dai camini, non si
levava ancora ombra di fumo.
«Hobden si è alzato!». Dan puntò il dito verso la casupola
della Forgia: la porta era aperta. «Secondo te che cosa
mangia per colazione?».
«Uno di quelli. Dice che sono buoni da mangiare tutto
l’anno». Con un cenno della testa Una indicò dei fagiani
che scendevano maestosi ad abbeverarsi giù al ruscello.
Poco più in là una volpe sbucò quasi sotto i loro piedi
scalzi e, uggiolando, trotterellò via.
«Ah, Volpone... volpacchiotto» – Dan citava il vecchio
Hobden – «se io sapessi quel che sai, saprei qualcosa».1
«Di’ un po’,» fece Una abbassando la voce «hai presente
quella strana sensazione, come di una cosa già successa.
L’ho provata quando hai detto Volpone volpacchiotto».
«Anch’io» cominciò Dan. «Che cos’è?».
Uno di fronte all’altro balbettavano per l’emozione.
«Aspetta un attimo e vedrai che mi torna in mente. Non
c’entrava per caso una volpe... l’anno scorso? Oh, c’ero
quasi!» esclamò Dan.
«Sta’ zitto!» fece Una, zompettando eccitata. «L’anno
scorso... non era successo qualcosa prima d’incontrare la
volpe? Ma sì, le colline! L’arcano svelato... la recita al
teatro... vedrete quel che vedrete...».
«Ora ricordo» gridò Dan. «Più chiaro di così si muore...
La Collina di Pook... la Collina di Puck... Puck!».
«Ricordo anch’io» disse Una. «Ed è di nuovo la festa di
San Giovanni».
A un brusio di felci giovani su un poggio, ecco sbucar
fuori Puck mordicchiando la cima verde di un giunco.
«Buon mattino di mezz’estate! Che piacere rivedervi»
disse il folletto. E poi, dopo una stretta di mano,
attaccarono con le domande.
«Avete svernato bene» disse, dopo averli squadrati da
capo a piedi. «Non ve la passate male, si direbbe».
«Ci hanno fatto mettere le scarpe» disse Una. «Guarda
che piedi: sono pallidi pallidi, e le dita sono tutte
accartocciate».
«Eh sì... con le scarpe cambia tutto». E contraendo il
piede scuro, squadrato e villoso, Puck spiccò un dente di
leone che aveva afferrato fra l’alluce e il dito accanto.
«L’anno scorso ci sarei riuscito» disse Dan sconsolato,
mentre tentava inutilmente di emularlo. «E poi come fai a
rampicarti, con le scarpe ai piedi?».
«Qualche vantaggio ci dovrà pur essere,» disse Puck
«sennò la gente non le porterebbe. Volete seguirmi per di
qua?».
Fianco a fianco si avviarono fino alla barriera all’altro
capo della collina. Una volta lì, si fermarono proprio come
fa il bestiame, lasciandosi scaldare la schiena dal sole
mentre prestavano orecchio alle mosche nel bosco.
«Alla Fattoria dei Tigli sono in piedi» disse Una,
appoggiando il mento alla sbarra più alta. «Vedete che il
camino fuma?».
«Oggi è giovedì, vero?». Puck spostò lo sguardo sulla
vecchia fattoria rosa sul versante opposto della valle. «La
signora Vincey fa il pane. Con questo tempo la pasta
dovrebbe lievitare bene». E sbadigliò, provocando una
reazione a catena.
Frusciame, scricchiolii e sommovimenti in ogni direzione
tra le felci li avvertivano del transito furtivo di minute
frotte.
«Non sembra di sentire... ehm... il Popolo delle Colline?»
chiese Una.
«Sono gli uccelli e le bestiole selvatiche che si radunano
nei boschi prima che cominci a circolare la gente» disse
Puck, come se fosse stato Ridley il guardiacaccia.
«Oh, lo sappiamo. Ho detto solo che sembrava».
«Se ben ricordo, gli Spiriti delle Colline facevano più
rumore. Di giorno se ne stavano buoni buoni, come gli
uccellini che si vanno a posare per la notte. Ma questo ai
tempi in cui spadroneggiavano. Oh, le imprese che mi
hanno visto partecipe e protagonista, da non crederci!».
«Questa poi!» disse Dan. «Dopo tutto quello che ci hai
raccontato l’anno scorso!».
«A parte il fatto che, non appena te ne andavi, ci facevi
scordare tutto» disse Una.
Puck rise e scosse il capo. «Lo farò anche quest’anno. Vi
ho dato l’investitura sulla Vecchia Inghilterra e vi ho tolto il
Dubbio e la Paura, nel frattempo tuttavia terrò la vostra
memoria e i vostri ricordi dove il vecchio Billy Trott teneva
le lenze per la pesca notturna... e cioè dove all’occorrenza
poteva sempre radunarle e nasconderle. Vi sta bene?». E
ammiccò malizioso.
«Per forza» disse Una, ridendo. «Non possiamo ripagarti
con la stessa magia». Incrociò le braccia e si appoggiò al
cancello. «Se ora tu volessi trasformarmi in qualcosa... in
una lontra, mettiamo, potresti farlo?».
«Non con quelle scarpe appese al collo».
«Le tolgo subito». E le gettò sull’erba. Dan fece lo stesso
con le sue, un istante dopo. «Ecco!» disse Una.
«Ora che avete riposto fiducia in me, sarebbe ancora più
difficile. Dove la fiducia è assoluta, non c’è posto per la
magia». Il sorriso di Puck si diffuse a rilento su tutta la
faccia.
«Ma le scarpe cosa c’entrano?» disse Una, appollaiandosi
sul cancello.
«C’è del Ferro Freddo» disse Puck, andandosi a piazzare
accanto a lei. «Mi riferisco ai chiodi nella suola. Questo
cambia tutto».
«E come?».
«Non te ne accorgi da sola? Non ti piacerebbe tornare a
camminare a piedi scalzi, come l’anno scorso? Sii sincera».
«No. Mi sa che non dovrei... non per sempre. Sai, sto
diventando grande» disse Una.
«Ma l’anno scorso sulla Lunga Striscia – al teatro – ci
avevi detto che tu non facevi caso al Ferro Freddo» disse
Dan.
«Il sottoscritto no; ma gli abitanti delle case, come li
chiamano gli Spiriti delle Colline, devono sottostare al
Ferro Freddo. Gli abitanti delle case sono nati all’ombra del
Ferro Freddo... c’è ferro in ogni casa, no? Non c’è giorno
che il Ferro Freddo non passi per le loro mani e, a dettare
la buona come la cattiva sorte, sotto una forma o l’altra è
sempre il Ferro Freddo. Così stanno le cose per quelli in
carne e ossa, non c’è scampo».
«Non capisco bene. Che vuoi dire?» disse Dan.
«Ci vorrebbe troppo tempo per spiegarvelo».
«Ma la colazione è ancora tanto lontana» disse Dan.
«Prima di uscire abbiamo fatto una puntata in dispensa». E
cacciò fuori un grosso pezzo di pane, Una fece altrettanto,
e lo divisero con Puck.
«Viene dal forno dei Tigli» disse il folletto, affondando i
denti bianchi. «Riconosco la mano della signora Vincey».
Masticava lentamente, da una parte, proprio come il
vecchio Hobden, e come Hobden non lasciava cadere
neanche una briciola. Il sole brillava sulle finestre della
fattoria e, nella valle, il cielo terso si faceva sempre più
immoto e più rovente.
«Ah... il Ferro Freddo» disse infine ai bambini impazienti.
«Gli abitanti delle case, come li chiamano gli Spiriti delle
Colline, hanno finito per trascurare il Ferro Freddo. Sono
capaci di inchiodare il ferro di cavallo sul portone
d’ingresso e dimenticano di metterlo sul retro. E così, una
volta o l’altra, gli Spiriti delle Colline s’intrufolano in casa,
trovano il neonato in un cantuccio, e...».
«Oh, lo so. Lo rapiscono e lasciano un sostituto» esclamò
Una.
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