Il fabbricante di eco – Richard Powers

SINTESI DEL LIBRO:
Le gru atterrano al calare della sera. Si srotolano a nastri, penduli contro il
cielo. Affluiscono da tutti i punti cardinali, dozzine a stormo, declinando con
le tenebre. Le gru canadesi si posano a frotte sul fiume in disgelo. Si adunano
sulle spianate dell'isola a brucare, a sbattere le ali, a strombazzare: la prima
ondata di un'evacuazione in massa. Ogni minuto atterrano altri uccelli, l'aria
rovente di richiami.
Un collo si protende; le zampe un drappeggio sulla scia. Le ali, lunghe
quanto una persona, s'arricciolano in avanti. Aperte come dita, le penne
maestre convogliano l'uccello nel piano dell'aria. China la testa rosso sangue,
le ali sferzano l'aria giungendosi: un prete intonacato che impartisce la
benedizione. La coda s'incava e il ventre si spiaccica, sorpresi dall'impatto
con il suolo. Le zampe scalciano, le ginocchia ritratte sbatacchiano come
carrelli d'atterraggio sconquassati. Un altro uccello cade a piombo, incede
incespicando e lotta per guadagnarsi un posto nell'affollata area di scalo
lungo i pochi chilometri di acque ancora estese e limpide quel tanto da
ispirare sicurezza.
Il crepuscolo arriva presto, sarà così per qualche settimana ancora. Il cielo
azzurro ghiaccio violato da salici e pioppi s'incendia, un rosa breve, poi
sprofonda nell'indaco. Fine febbraio sul Platte, e la gelida bruma serotina
sospesa sul fiume ghiaccia le stoppie del precedente autunno che ancora
intasano i campi limitrofi. Gli uccelli nervosi, alti come bambini, si accalcano
ala contro ala su quel tratto di fiume che hanno imparato a ritrovare a
memoria.
Confluiscono sul fiume a fine inverno come fanno ormai da un'eternità,
tappetando il terreno paludoso. Con quella luce hanno ancora un che di
sauriano: le creature volanti più antiche della terra, a un impacciato passo
appena dagli pterodattili. Il buio cala, e torna il mondo degli albori, la stessa
sera di quel giorno di sessanta milioni di anni fa, quando la migrazione ebbe
inizio.
Mezzo milione di uccelli, i quattro quinti di tutte le gru canadesi della terra,
ha questo fiume come punto di riferimento. Segue il percorso di corrente
migratoria centrale, una clessidra poggiata sul continente. Avanza
strenuamente dal Nuovo Messico, dal Texas e dal Messico, centinaia di
chilometri al giorno, e altre migliaia ad attenderlo prima di raggiungere il
nido che serba nel ricordo. Per alcune settimane lo stuolo chilometrico trova
riparo su quel tratto di fiume. Poi, a inizio primavera, s'invola e punta altrove,
dirigendo a tentoni verso il Saskatchewan, l'Alaska, e oltre.
Il volo di quest'anno c'è da sempre. Qualcosa negli uccelli ripercorre una
rotta tracciata secoli prima che i genitori la indicassero. E ogni gru rammenta
la rotta che l'attende.
Le gru di stasera tornano a mestare nel reticolo di acque. L'aria si svuota
trasportando la massa dei richiami per un'altra ora. Esagitati aleggiano i
pennuti, la migrazione dà sui nervi. Uno strappa un arbusto congelato e lo
scaglia in aria. La tensione sfocia nella rissa. Alla fine, le gru canadesi si
rassegnano a un sonno guardingo sui trampoli delle zampe; quasi tutte
nell'acqua, alcune un po' più in là, nei campi di stoppie.
Uno stridore di freni, il crepitio del metallo sull'asfalto, un urlo strozzato e
poi un altro destano lo stormo. Il furgone s'inarca, avvitandosi su se stesso in
mezzo al campo. Scocca una piuma tra gli uccelli. Che sbattono le ali, hanno
un sobbalzo. Il tappeto terrorizzato si solleva, descrive un cerchio e ricade.
Richiami che sembrano provenire da creature grandi il doppio coprono
chilometri prima di svanire.
Al mattino quel suono non c'è mai stato. Torna a imporsi soltanto il qui,
l'ora, il reticolo fiumano, un banchetto imbandito con grano di scarto che
condurrà gli stormi a nord, oltre il Circolo polare artico. Allo spuntare della
prima luce, i fossili riprendono vita, saggiando le zampe, assaggiando l'aria
gelida, a balzi sciolti, il becco volto al cielo e la gola spalancata. E poi, come
se la notte fosse durata un niente, dimentiche di tutto fuorché di quell'istante,
le gru dell'alba attaccano una danza. Danzano come fanno da prima che il
fiume cominciasse.
Suo fratello aveva bisogno di lei. Il pensiero protesse Karin per tutto il
corso di quella notte assurda. Guidò in trance, seguendo la lunga strada che
da Siouxland conduceva a sud sulla Nebraska 77 e poi, a ovest, sulla 30,
costeggiando il fiume. Impensabile prendere vie secondarie, nelle sue
condizioni. Era ancora sconvolta dalla pugnalata telefonica ricevuta alle due
di notte: Karin Schluter? Qui è il Good Samaritan Hospital di Kearney. Suo
fratello ha avuto un incidente.
Non avevano voluto dirle niente per telefono. Solo che Mark era uscito di
strada sulla North Line Road restando intrappolato nell'abitacolo e che,
quando i paramedici l'avevano liberato, mostrava un principio di
assideramento. Dopo aver riattaccato, Karin non aveva più sentito le dita per
molto tempo, ma poi si era accorta che le teneva premute contro le guance.
Aveva il viso intorpidito, neanche fosse lei quella rimasta al gelo della notte
di febbraio.
Scivolò tra le riserve con le mani, rigide e cianotiche, artigliate al volante.
Prima il Winnebago, poi l'altalenante Omaha. Gli alberelli stenti lungo la
strada accidentata si piegavano sotto il peso della neve. Il raccordo di
Winnebago, i campi che facevano da sfondo ai Pow Wow, il tribunale tribale
e il corpo dei vigili del fuoco volontari, il distributore dove lei faceva benzina
esentasse, l'insegna di legno con la scritta a mano ARTIGIANATO LOCALE -
ARTICOLI DA REGALO, la scuola superiore - La patria degli indiani - dove
aveva insegnato come volontaria prima di andarsene per la disperazione: uno
scenario ostile, che allontanò dai ricordi. Sul lungo tratto vuoto a est di
Rosalie, un maschio solitario dell'età di suo fratello con una giacca troppo
leggera e il berretto - Go Big Red - avanzava tra i cumuli di neve sul ciglio
della strada. Al suo passaggio si volse e cacciò un ringhio per contrastare
l'intrusione.
La sutura della superficie stradale ingurgitò Karin nel nero innevato. Non
aveva senso: Mark, un guidatore provetto, finito fuori da una strada di
campagna dritta come una freccia che conosceva come le sue tasche. Uscire
di strada nel Nebraska centrale è come cadere da un cavallo di legno. Karin si
gingillò con la data: 20/02/02. Significava qualcosa? Batté i palmi sul volante
facendo vibrare l'auto. Suo fratello ha avuto un incidente. In effetti, era tanto
che Mark prendeva tutte le direzioni sbagliate che si possono prendere nella
vita, e a partire dalla strada sbagliata. Era una vita che le arrivavano
telefonate, e alle ore meno opportune. Mai, però, una come questa.
Usò la radio per tenersi sveglia. Si sintonizzò su uno stralunato talk show
dove parlavano del modo migliore per salvaguardare gli animali domestici
dall'avvelenamento delle fonti idriche a opera dei terroristi. Il subisso
disturbato di voci nel buio le penetrò nel sangue, sussurrandole quello che
era: una persona sola su una strada deserta, a meno di un chilometro dalla
propria catastrofe.
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