Il Dono del Mare – Laura Fiamenghi

SINTESI DEL LIBRO:
Il mare s’infrangeva impetuoso contro la barriera corallina e le
onde stemperavano le loro schiume nell’acqua più calma, quasi
trasparente, dietro quella roccaforte sommersa di rocce, piante e
pesci colorati.
Un mare rigoglioso, vivo, dai colori limpidi, che si riversava
ritmicamente su spiagge candide e calette rocciose, con acqua tanto
brillante da sembrare fatta di zaffiri e smeraldi.
Lì sorgeva The Pearl, una cittadina dai ritmi vacanzieri, annidata
lungo una costa di palme e piante dai fiori esotici.
A The Pearl c’erano poche strade asfaltate, per lo più nella zona
più turistica della città, tutte le altre erano in terra battuta e si
snodavano lungo la baia tra le abitazioni di legno, strutture riparate
dal sole tropicale da palme frondose e rampicanti.
Banchine di legno e ponticelli galleggianti si protendevano dalla
riva alla barriera corallina, cosicché le imbarcazioni potessero far
smontare i loro passeggeri anche lontano dal piccolo porto della
città.
In quel momento, per tutta The Pearl, dai portici e dalle finestre
svolazzavano tendaggi candidi gonfiati dalla brezza e le banderuole
tintinnavano, segno che la marea si stava per alzare.
Due volte al giorno il vento arrivava, soffiando verso terra e il mare
si gonfiava, preparandosi ad assaltare la riva con onde violente.
Erano quelli i momenti in cui, a The Pearl, il tempo sembrava
accelerare rispetto al suo normale scorrere placido e sonnolento. I
surfisti abbandonavano l’ozio riversandosi in mare e, quando
finalmente la marea si innalzava in tutta la sua potenza, erano pronti
a salutare l’arrivo delle onde come cavallucci marini festanti.
Le spiagge di The Pearl erano molto rinomate per il surf e
numerosi curiosi si radunavano a vedere gli atleti che uscivano in
mare. Quel giorno, a meno di un mese dai Campionati Mondiali di
Surf che si sarebbero disputati proprio a The Pearl, gli spot migliori -
le spiagge, dove arrivavano le onde più belle, le più grosse e ambite
- erano stati letteralmente presi d’assalto.
Spettatori provvisti di binocoli e macchine fotografiche con
obbiettivi mastodontici, erano dispiegati su moli e torrette. Già tre
degli atleti maschili del mondiale e due donne, se non si contava
Kate, che già viveva a The Pearl, avevano raggiunto proprio quelle
spiagge per allenarsi in vista della gara.
Kate era a bordo della sua Jeep, diretta come una furia verso il
negozio di Valentin. Mancava meno di mezz’ora prima che la marea
si alzasse del tutto e lei smaniava di ritirare la sua nuova tavola da
surf, inviata dal suo sponsor, per testarla subito.
Valentin era il migliore, conosceva tutte le tavole come delle figlie
e sapeva sempre consigliarle i migliori set-up: la sciolina perfetta per
ottenere la massima aderenza, la lunghezza delle pinnette posteriori
per sfruttare al massimo ogni tipo di onda. Kate non sarebbe mai
diventata la surfista che era, se quel lupo di mare, perennemente in
infradito, non le avesse insegnato tutti i suoi segreti.
Parcheggiò la Jeep sgangherata e balzò giù, slanciando le lunghe
gambe abbronzate oltre lo sportello, senza curarsi di aprire la
portiera. Entrando nel negozio si schiantò quasi contro Valentin,
nascosto dietro una tavola con una grafica di orchidee viola e rosse.
In un angolino c’era la scritta in oro: ‘K. Cinning Pro Model’.
Kate Cinning era lei.
«Questa è mia!» esclamò esultante, strappando dalle mani di
Valentin il suo nuovo giocattolo. La soppesò, rimirandola a bocca
aperta. «È perfetta! Fatta per me, come voglio io.»
Valentin aveva un sorriso da un orecchio all’altro, le diede una
pacca sulla spalla, complimentandosi.
«È proprio bella, Kate. Su, va’ a provarla. Non è da tutti avere una
tavola con su scritto il proprio nome. Lo sponsor dice che puoi
suggerire tutte le modifiche che vuoi, la metteranno in produzione
solo dopo la gara.»
Kate gli strizzò l’occhio, Valentin era più agitato di lei in vista del
campionato.
«Vado subito a giocare con questa bambina» gli promise,
cominciando ad arretrare come un gambero verso la porta.
«A quale spiaggia vai?» domandò Valentin, lanciando un’occhiata
all’orologio dietro il bancone di legno. «Santa Clara? La Fossa?»
«Assolutamente no!» lo corresse inorridita Kate. «Hai visto quanti
paparazzi ci sono in giro oggi? Vado in un posto tranquillo.»
«La Martinica?» tirò a indovinare Valentin. «Se il vento rimane
così, si schianteranno delle bombe più a nord.»
Kate gli strizzò l’occhio. «È proprio quello che spero, solo noi local
sappiamo come arrivare lì. Non ci saranno paparazzi mentre mi
alleno.»
Valentin avrebbe sconsigliato a qualsiasi surfista di andare su
quella spiaggia da solo, ma conosceva bene la sua giovane amica e
non sprecò fiato per raccomandarle di non farlo. Già arreso in
partenza, lanciò un’altra occhiata all’orologio alle sue spalle. «Fra
un’ora arriva Sarah a darmi il cambio in negozio, vedi di non farti
trovare affogata.»
Kate inorridì sbuffando. «Ma che cavolo, Val, smettila di portare
scalogna con le tue uscite da iettatore! Ci vediamo là! A dopo.»
La marea si stava alzando. Kate era già in mare, seduta a
cavalcioni della sua nuova tavola, con le gambe immerse in acqua. Il
mare sotto di lei era profondissimo, tanto che l’acqua trasparente
sembrava blu cobalto. La spiaggia a riva era piccola e indistinta, il
punto in cui la marea s’infrangeva contro la barriera corallina da lì
appariva solo una lineetta bianca.
C’era un altro gruppetto di surfisti in spiaggia, che s’approntava a
entrare in acqua, ma erano solo puntini in lontananza, così piccoli
che Kate non riusciva neppure a contarli.
Degli altri, però, non le importava. C’erano solo lei e il mare.
Nessuna pressione per la gara. Nessuna euforia per la tavola
appena ricevuta dallo sponsor. Non esisteva più nulla se non l’arrivo
delle onde.
Kate era tesa ad ascoltare lo sciabordio sotto di lei, la corrente che
ruggiva sottovoce, annunciando tutta la forza che stava arrivando da
lontano. Era solo in momenti come quello che Kate si sentiva
davvero viva.
C’erano solo lei e il mare, e il mare era un amico giocoso e
terribile. Immenso e pericoloso, non da sfidare: ma da ascoltare.
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