Il domatore di leoni- Camilla Läckberg

SINTESI DEL LIBRO:
Lo stallone percepì l’odore della paura ancora prima che la
ragazza uscisse dal bosco. La cavallerizza lo spronò premendo i
talloni contro il fianchi, ma non sarebbe stato necessario: erano
talmente affiatati che l’animale aveva intuito da solo il suo
desiderio.
Il silenzio fu rotto dal rumore sordo e ritmato degli zoccoli che
tracciavano solchi nello strato uniforme di neve sottile caduta
durante le notte, sollevando una nuvola impalpabile intorno alle
zampe del cavallo.
La ragazza non correva. Si muoveva a singhiozzo, seguendo un
percorso irregolare, le braccia strette al corpo.
La cavallerizza gridò, un forte richiamo che fece capire allo
stallone che qualcosa non andava. Invece di rispondere, la ragazza
continuò ad avanzare incespicando.
Le si stavano avvicinando, sempre più veloci. L’odore acre e
intenso della paura si mescolò a qualcos’altro, qualcosa di
indefinibile e talmente spaventoso da indurlo a tirare indietro le
orecchie. Voleva fermarsi, voltarsi e tornare al galoppo alla sua
posta protetta nella scuderia. Quello non era un luogo sicuro.
Ormai li separava solo la strada, deserta e spazzata dalla neve
impalpabile.
La ragazza continuò ad avanzare. Era scalza e il rosso sulle
braccia e sulle gambe nude si stagliava nitido sullo sfondo candido,
gli abeti innevati simili a una scenografia bianca alle sue spalle.
Erano vicini, ai due lati della strada. Lo stallone sentì di nuovo il
richiamo della cavallerizza, la sua voce familiare e insieme, in
qualche modo, diversa.
Di colpo la ragazza si fermò, restando in mezzo alla strada con la
neve che le vorticava intorno ai piedi. C’era qualcosa di strano nei
suoi occhi, simili a buchi neri nel volto bianco.
L’auto si materializzò dal nulla. Il rumore della frenata lacerò il
silenzio e poi si sentì il tonfo di un corpo che urtava il terreno. La
cavallerizza tirò le briglie così forte che il morso gli ferì la bocca.
Ubbidì, fermandosi di botto. Lei era lui e lui era lei. Era quanto
aveva imparato.
La ragazza giaceva a terra, immobile, quegli strani occhi rivolti
al cielo.
Erica Falck si fermò davanti al penitenziario e per la prima volta
lo osservò con una certa attenzione. In occasione delle visite
precedenti era così presa dal pensiero di chi avrebbe incontrato da
non riflettere sulla costruzione e sul circondario, ma per scrivere il
libro su Laila Kowalska, la donna che molti anni prima aveva
brutalmente assassinato il marito Vladek, le servivano tutte le
impressioni che si potevano raccogliere.
Rifletté su come avrebbe potuto trasmettere l’atmosfera che
aleggiava intorno all’edificio simile a un bunker e far percepire ai
lettori il senso di soffocamento e rassegnazione. Il penitenziario era
a poco più di mezz’ora di macchina da Fjällbacka, in posizione
isolata e protetto da recinzione e filo spinato ma senza le torrette
con le guardie armate che si vedevano nei film americani. Era stato
costruito in base alla sua funzione, cioè rinchiudere delle persone.
Dall’esterno sembrava completamente vuoto, ma Erica sapeva
che era vero il contrario. La febbre del risparmio a tutti i costi e i
tagli al bilancio facevano sì che a dividersi lo spazio dovesse essere
il numero più alto possibile di detenuti. Nessun politico comunale
sembrava particolarmente interessato a rischiare di perdere voti
investendo fondi in una nuova struttura penitenziaria, e così ci si
faceva bastare quella.
Il freddo cominciò a penetrarle sotto i vestiti. Erica si mosse
verso l’ingresso. Quando entrò, la guardia allo sportello lanciò
un’occhiata distratta al suo documento e annuì senza sollevare lo
sguardo. Poi si alzò e lei la seguì lungo il corridoio ripensando alla
sua mattinata infernale, del resto quasi uguale a tutte le altre di
quel periodo. Dire che i gemelli erano entrati nella fase dei capricci
era un eufemismo. Non ricordava che Maja fosse stata così
pestifera intorno ai due anni, e neanche in qualche altra fase, in
realtà. Noel era il più scatenato. Era sempre stato il più vivace dei
due, ma Anton lo seguiva a ruota. Se suo fratello strillava, strillava
anche lui. Con quel livello di decibel in casa, era un miracolo che lei
e Patrik avessero ancora i timpani intatti.
E il flagello della vestizione mattutina, poi, con tutti i capi che
servivano d’inverno. Si annusò discreta un’ascella. Cominciava già
a puzzare di sudore. Una volta messi tutti i vestiti ai gemelli per
portarli all’asilo con Maja, non le era rimasto il tempo per
cambiarsi. Pazienza, tanto non è che stesse propriamente andando
a una festa.
La guardia aprì facendo tintinnare il mazzo di chiavi e la fece
entrare nella sala colloqui. Sapeva un po’ di antiquato che avessero
ancora serrature tradizionali, ma naturalmente era più semplice
scoprire un codice che rubare una chiave, per cui non era forse così
strano che le vecchie soluzioni avessero la meglio su quelle più
moderne.
Laila era seduta all’unico tavolo della stanza, il viso rivolto alla
finestra e il sole invernale che le formava un’aureola intorno ai
capelli biondi. Le inferriate creavano riquadri di luce sul pavimento
e le particelle di polvere sospese nell’aria mostravano che le pulizie
non erano state troppo scrupolose.
«Ciao» disse Erica sedendosi.
In realtà si chiedeva perché Laila avesse accettato di incontrarla
di nuovo. Era la terza volta che si vedevano ed Erica non era ancora
arrivata da nessuna parte. All’inizio Laila si era categoricamente
rifiutata di riceverla, a prescindere dal numero di lettere imploranti
e di telefonate per cercare di farle cambiare idea. Qualche mese
prima, però, di colpo aveva acconsentito. Probabilmente quelle
visite rappresentavano una piacevole interruzione nella monotona
vita in carcere e, finché Laila avesse continuato a riceverla, Erica
aveva intenzione di andarci. Era passato parecchio tempo
dall’ultima volta che aveva provato una voglia così intensa di
raccontare una storia, e senza il suo aiuto non poteva farlo.
«Ciao, Erica.» Laila fissò il suo strano sguardo azzurro su di lei.
Al loro primo incontro le aveva fatto venire in mente i cani da slitta,
e dopo la visita aveva cercato il nome della razza: husky. Laila
aveva gli occhi di un husky siberiano.
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