Il dolore, le ombre, la magia- Banana Yoshimoto

SINTESI DEL LIBRO:
“Oh, un’altra volta! Mi sono svegliata un’altra volta
piangendo.”
Parlai senza rendermene conto.
Come se dovessi scrollarmi di dosso qualcosa.
Nello stesso istante una lacrima calda scivolò sul
cuscino. Oltre la finestra un cielo plumbeo avvolgeva il
mondo, quando era ormai giorno inoltrato.
Stranamente non si udivano i rumori della città, il che
non voleva dire che ci fosse silenzio. Di tanto in tanto
arrivava l’eco del canto di un uccello.
Mi sembrava di sentire, indistinto, il rombo di un motore.
Ma lontano, più simile allo scorrere di un fiume. Come un
ronzio.
Voglio andarmene, voglio tornare a casa. Qui mi sento
soffocare.
Quando aprii gli occhi, nella mia testa non c’era spazio
per altri pensieri se non quello.
Da quando, in seguito alla partenza di Kaede, abitavo da
sola in casa sua, qualche volta mi capitava di fare sogni
molto realistici nei quali vivevo in montagna.
Sognavo di trovarmi ancora lassù e mi svegliava il canto
incessante degli uccelli e delle cicale. La luce trasparente
del mattino inondava la casa. Era una luce nuova ma già
forte, di quelle che asciugano bene i panni stesi e li
lasciano profumati.
Per me cominciavano i lavori di ogni giorno. Andavo a
prendere l’acqua, sistemavo il giardino, preparavo la
colazione. L’aria era frizzante, il cielo di un colore cupo
come una voragine. Intravedevo la figura della nonna di
spalle, seduta alla scrivania.
Era la mia vita normale, ma per qualche motivo mi
veniva voglia di piangere, mi prendeva un’ansia
incontrollabile. È la quotidianità, e allora perché sto così
male? Questo era ciò che pensavo da qualche parte dentro
di me.
La nonna mi parlava, mangiava gli tsukemono disposti
nei soliti piatti sul tavolo della cucina, controllava lo stato
di essiccazione delle erbe medicinali, ritirava il bucato…
Più la vedevo darsi da fare e più sentivo il cuore pesante.
Non c’era tempo, ancora un poco e mi sarei svegliata:
dovevo guardare il verde della montagna, fare in modo che
s’imprimesse nel mio cuore! Non restava molto tempo. Ma
perché? Eppure me lo sentivo…
E allora andavo alla finestra e mi mettevo a fissare il
profilo delle montagne – le mie montagne di sempre – che si
stagliava contro il cielo. Il verde fitto del fogliame, l’ombra
scura degli alberi. Le cose più insignificanti della mia vita
passata, viste e riviste, quelle che mi erano venute a noia…
Gli insetti trovati morti sulla soglia di casa, il sapore del tè
preparato con l’acqua sorgiva, i manici leggermente
anneriti del bollitore.
Nel sogno non riuscivo a darmi pace, ero sotto pressione,
sempre all’erta, sembravo… sembravo un condannato alla
pena capitale.
E poi aprivo gli occhi.
Dopo che avevo lasciato la montagna, quando la nonna
se n’era andata a Malta e io avevo cominciato a vivere per
conto mio, non mi era capitato quasi mai di fare sogni del
genere.
Né mi succedeva quando venivo a lavorare da Kaede,
occupata com’ero a stare dietro a tutti i suoi impegni.
Forse adesso avevo più tempo a disposizione, o
semplicemente mi ero resa conto dell’entità di ciò che
avevo perduto. Non si trattava soltanto dell’aria e
dell’acqua di montagna: né i piatti per gli tsukemono né
quel vecchio bollitore malandato erano più a questo mondo.
Tutto era andato perduto nell’incendio.
Ad attendermi al mio risveglio c’era solo un cielo
plumbeo incapace di suscitare in me la benché minima
emozione. Era di un colore indefinito, che di certo non
aiutava a distinguere il confine tra sogno e realtà. Lì dove
mi trovavo, nessuna forza sarebbe venuta in mio aiuto
dall’esterno.
Non c’erano tifoni tanto impetuosi da mandare in
frantumi le finestre, né albe così luminose da svegliarmi. Di
sera non c’erano uccelli che attraversavano il cielo per fare
ritorno al nido.
Una sola di queste visioni sarebbe stata sufficiente a
togliermi il fiato, spazzando via tutto il resto. E il mio stato
d’animo sarebbe cambiato totalmente. Era stato proprio
grazie a spazi aperti così pieni di vita se, per l’intero
periodo vissuto in montagna, non mi ero mai chiusa
morbosamente in me stessa.
Ma adesso, quando mi svegliavo, intorno a me tutto
restava confuso, come se il sogno perdurasse, ed ero
costretta a farmi strada in una realtà sfuggente.
Dovevo essere sempre io a mettere un punto: il mondo
degli uomini era terribilmente complicato. Se pure le
finestre dei palazzi si mettevano a brillare e la luna
sorgeva, piccola e lontana, le voci dentro di me erano
sempre troppo forti, e trasformavano qualsiasi paesaggio in
una scena banale. “È buio, è ora di dormire… Ma c’è
ancora troppa luce, non c’è un’oscurità a cui attribuire la
colpa della mia tristezza.”
Dentro di me mi lamentavo e asciugandomi le lacrime
davo inizio a una nuova giornata.
Una giornata da sola.
Ciononostante, all’ora in cui mettevo a bollire l’acqua per
il tè stavo già molto meglio. Ripassavo mentalmente il
programma della giornata e andavo in giro per casa a
spolverare fin dove arrivavo: così lo spirito, dopo le
peregrinazioni nel mondo dei sogni, si ricongiungeva
finalmente al corpo. E tornava sereno, mentre la tristezza
che avevo provato fino a poco prima si diradava.
La vita in montagna mi mancava ancora, ma non
avvertivo più la disperazione del sogno. Una volta sveglia,
iniziata la giornata, avrei potuto fare qualsiasi cosa: avevo
dei compiti da portare a termine, e non era da escludere
che qualcuno si sarebbe potuto rivelare divertente.
Era solo negli istanti immediatamente successivi al
risveglio che provavo quella sensazione di malessere e
impotenza.
Il piacere della vita in montagna, la maestosità della
natura, mi entravano attraverso il sogno e restavano vividi,
freschi come un pasto squisito, e non mi lasciavano più.
Tutto quello io l’avevo perso, e non riuscivo a pensare ad
altro. Ero come un inamovibile blocco di dolore
imprigionato in una realtà crudele e spietata. Nei sogni
sono solo le emozioni a muoverci, per questo non c’è verso
di distrarsi.
Nella realtà il corpo ci aiuta, ci dice “Ho dormito bene”,
“Ho mangiato troppo”, “Mi sento stanco e vorrei riposare”,
oppure “Ho ancora voglia di fare moto”, e questo ci
distoglie dai pensieri; nella realtà potevo lasciarmi
trasportare dal corpo e ritrovare così il mio posto nel
tempo.
Invece nei sogni siamo solo spirito. Ecco perché le
emozioni si gonfiano e poi traboccano senza ritegno.
Traboccano, e ogni stato d’animo si moltiplica all’infinito. E
il cuore inizia lentamente a farci male, come se fosse di
ritorno da un lunghissimo viaggio.
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