Il duca del peccato- Adele Ashworth

SINTESI DEL LIBRO:
Vivian guardò il biglietto manoscritto: "Sua grazia desidera…".
Con un sorriso ironico, decise che le sarebbe piaciuto che così
fosse. Ma in fin dei conti lo aveva visto soltanto a distanza, e non le
sembrava il caso di accettare.
Ripiegò il biglietto senza altre sciocche considerazioni e lo ripose
nella grande tasca del grembiule da lavoro. Le orchidee le regine dei
fiori che coltivava sarebbero state pronte per l'indomani pomeriggio,
come chiedeva il suo maggiordomo. Sarebbe stato un lavoro, o
meglio una consulenza a pagamento, esattamente come ogni anno in
quell'epoca. Ancora una volta, avrebbe esaudito il solito ordine
formale di fiori freschi del solitario duca di Trent, destinati ad
abbellire le stanze della sua residenza nella proprietà costiera che si
estendeva per miglia sul pendio occidentale della Lizard Peninsula, la
"Penisola della Lucertola". Anche quell'anno Vivian avrebbe fatto del
suo meglio per dare un'occhiata all'enigmatico personaggio che era
riuscito a sfuggire alla forca per l'assassinio di sua moglie.
— Signora Rael-Lamont?
Vivian sussultò e si volse verso l'uscio che metteva in
comunicazione la casa con il giardino, e vide la sua governante
dall'anziano volto impassibile, abbronzato dal sole, nient'affatto
preoccupata che la sua padrona perdesse tempo a fantasticare
piuttosto che a invasare i fiori.
— Sì, Harriet, che c'è? — rispose.
La governante esitò, asciugandosi le mani nel grembiule. — C'è
una… persona che vuole vedervi. Un'uomo. Il… ehm… attore della
Compagnia scespiriana che quest'estate recita a Cosgroves.
Vivian restò a bocca aperta. Un attore?
Harriet abbassò la voce. — Dice di chiamarsi Gilbert Montague.
Non ha un biglietto da visita e naturalmente non l'ho fatto Entrare.
Ma lui ha insistito per aspettare. Dice che è urgente.
Incuriosita, Vivian precedette la governante, entrò nell'ombra dei
rampicanti del portico e prese un tovagliolo da una panca del
giardino. — Ha detto cosa desidera? — Non riusciva a immaginare
cosa volesse da lei un attore sul piano personale o professionale.
— No, non ha spiegato il motivo della sua visita — rispose concisa
Harriet che sembrava disapprovare. — Ha detto soltanto che voleva
rubarvi qualche minuto, così gli ho risposto che. mi sarei accertata
che foste in casa.
Vivian sorrise tra sé. Certo che era in casa, ma il protocollo
imponeva ad Harriet di far finta di controllare e di non permettere a
una persona di umile estrazione sociale di metter piede nella sua
dimora privata.
Si scostò i capelli dalla fronte; per il calore pomeridiano i capelli
raccolti sulla sommità del capo si disfacevano e un ciuffo di ricci
ricadendo le incorniciava guance e fronte, impedendole di essere
inappuntabile. Dopo due ore passate a lavorare con la terra, sotto il
sole e nell'aria umida, si sentiva uno spaventapasseri, ma concluse
che poco importava. Essendo uomo di teatro, il signor Montague
doveva aver visto ben altro sul palcoscenico o per la strada.
— Benissimo. Lo riceverò — disse alla governante, slacciandosi il
grembiule da lavoro insudiciato. Siccome Harriet appariva sorpresa,
soggiunse: — Ma non fatelo entrare in casa, ditegli che mi troverà sul
retro e che entri dal cancello.
Hairiet annuì, e la sua aria di disapprovazione cedette il posto a
sollievo per quella saggia decisione.
Rimasta sola nell'ombra del patio isolato, Vivian gettò il
grembiule sulla panca e si riassettò la gonna di mussola marrone
scuro. Aveva scelto questo, tra i suoi tre abiti da lavoro, perché non la
stringeva al petto e alla vita e non metteva in risalto la sua figura. Per
quanto adorasse il teatro, mai in vita sua aveva accolto un attore
quindi non si curò troppo dell'aspetto che aveva.
Uscendo alla luce del sole, assetata si versò un bicchiere d'acqua
da una brocca sul tavolo da lavoro e, mentre beveva, udì il cigolio del
pesante cancello di legno sul lato occidentale della casa.
Si tamponò le labbra e si volse al suono di pesanti passi sul
vialetto selciato. Assumendo la posa più adatta alla circostanza, con
le mani dietro la schiena, volse lo sguardo alla piccola palma fronzuta
che sporgeva dall'angolo della proprietà, e vide apparire prima le
gambe e poi l'intero corpo.
Fece un passo indietro all'avvicinarsi dell'uomo. Si aspettava che
fosse grande e grosso, l'aveva già visto esibirsi con una certa
maestosità sul palcoscenico, ma non era preparata a quell'uomo dalle
spalle ampie, lunghe gambe, altezzosa eleganza che le stava di fronte,
tra due orchidee di specie rara, con il sole esattamente dietro la testa.
Il suo aspetto, per quanto fosse abbigliato perfettamente alla
moda, non bastava a nascondere la durezza dei suoi tratti; la fissava,
aspettandosi forse che lei distogliesse gli occhi per timidezza o
imbarazzo. Ma Vivian non poteva certo permettersi un gesto di
sottomissione. Un'improvvisa sensazione d'imbarazzo la mise in
allarme persuadendola ad assumere un'aria d'indifferenza,
addirittura di arroganza. Non aveva intenzione di lasciarsi intimidire
dalla statura di quel tale. E poi, non era affatto spaventata.
— Signora Rael-Lamont — esordì l'attore con un lieve inchino. La
voce era profonda, l'accento perfetto.
Lei rispose con un cenno di saluto. — Il signor Montague? In cosa
posso esservi utile?
L'uomo sorrise scrutandola senza farsi più vicino.
— Che bel giardino avete, signora!
A dire il vero non aveva dato neppure un'occhiata ai fiori, ma
Vivian non glielo fece notare. Sembrava molto interessato a lei, o
forse soltanto alla sua reazione. — È bello, sì — replicò lei con
gentilezza — anche se in verità non è un giardino bensì un vivaio.
Sulla bocca del signor Montague si disegnò un sorriso. — Grazie
per la precisazione.
— Cosa posso fare per voi, signor Montague? — tornò a ripetere
Vivian. Il calore pomeridiano cominciava a farle pulsare le tempie.
Dopo un'altra attenta occhiata, l'uomo fece due passi avanti. — Vi
ho notata un paio di volte a teatro. — Si grattò con le lunghe dita le
scure basette, come se riflettesse sulla domanda. — Se non sbaglio,
sabato scorso eravate alla recita della Dodicesima notte.
Vivian restò sorpresa. Sì, aveva assistito alla recita e forse a un
paio d'altre nel corso dell'estate, ma certamente non poteva aver dato
nell'occhio tra i numerosi spettatori. Davvero strana quella
circostanza, e Vivian fece del suo meglio per non mostrare
imbarazzo. — Infatti — confermò asciutta. Con le braccia conserte in
atteggiamento difensivo, soggiunse: — Ma questo non spiega la
vostra presenza. Come posso esservi d'aiuto, signor Montague? Sono
molto occupata.
— Ah. Ma avete detto aiuto, se non sbaglio, signora RaelLamont?
Vivian aggrottò la fronte. — Aiuto, signor Montague?
Lui si fece più vicino, abbassando gli occhi e accarezzando le
foglie di un'orchidea rosa pallidore Vivian represse l'irritazione che le
suscitava quel ge sto. Evidentemente la sua freddezza non l'aveva
intimidito.
Con voce pacata, l'uomo chiese: — Che ne è del signor RaelLamont?
In un attimo calò un silenzio irreale, frammenti di un'altra
esistenza, un turbine di indescrivibili emozioni, che le era costata
molta fatica reprimere, le invasero la memoria con la rapidità di un
incendio. Vivian si sentì serrare la gola, il sangue le salì al volto e il
suo corpo fu invaso da un calore che non si spiegava solo con la
temperatura esterna.
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