Il diario del vampiro: La genesi-Sete di sangue-Strane creature-Lo squartatore-Vite interrotte-L’incantesimo – Lisa Jane Smith

SINTESI DEL LIBRO:
Quando Samuel aveva trascinato via Damon, per un attimo mi
ero sentito come se l’anima mi venisse strappata dal corpo. Avevo
provato la stessa sensazione tanti anni prima, quando il proiettile di
mio padre mi aveva trapassato il petto; una frazione di secondo di
agonia, seguita da un senso di vuoto che si diffondeva dal centro del
mio essere.
Ma non ero morto. E non avrei permesso che Samuel scappasse
con Damon. Dopo essermi assicurato che Cora stava bene, avevo
fatto un profondo respiro e mi ero catapultato fuori dalla finestra della
Casa Magdalena. Il vetro era andato in frantumi e una scheggia mi
aveva lacerato la guancia. Il sangue colava sul mio volto, ma non
m’importava.
«Damon!», urlai.
L’istituto era vuoto: nessuno mi avrebbe sentito. Tutte le ragazze,
le suore e i sacerdoti erano in chiesa per la messa di mezzanotte:
non a caso io e Damon avevamo scelto quel momento per sistemare
le trappole nell’ufficio di Samuel.
Avevamo le armi. Avevamo un piano. Avevamo l’elemento
sorpresa. Eppure avevamo fallito. Sembrava quasi che Samuel ci
avesse concesso di arrivargli tanto vicino solo per lasciarci a mani
vuote, alla fine, proprio come il suo alter ego, Jack lo Squartatore,
aveva fatto con la polizia, giocando al gatto e al topo per le strade di
Londra.
Avevo attraversato la città a velocità da vampiro, cercando di
cogliere le grida, i rumori di una zuffa o anche un respiro affannoso,
qualsiasi suono che mi conducesse da mio fratello. Sapevo che era
inutile, ma dovevo fare qualcosa. Dopotutto, Damon mi aveva
salvato da Samuel. Meritava che io facessi lo stesso per lui.
Attraversai di corsa Dutfield Park, lo spiazzo di vegetazione
selvaggia in cui io e Damon avevamo capito per la prima volta che
qualcuno ci stava dando la caccia. Sarebbe stato davvero uno
scherzo del destino se Samuel fosse morto lì, davanti allo stesso
muro di pietra su cui aveva scritto un agghiacciante messaggio con il
sangue, per farci sapere che cercava vendetta. Ma il posto mi
sembrava tranquillo. Si sentivano solo gli scoiattoli che
scorrazzavano tra i cespugli e il vento che fischiava tra i rami spogli
degli alberi.
Raggiunsi il punto più alto del parco e mi guardai attorno, in tutte
le direzioni: l’elegante cupola della cattedrale di San Paolo, il Tamigi,
simile a un sinistro nastro nero che si snodava per la città, gli edifici
cadenti che circondavano il parco. Damon poteva essere ovunque.
Forse era già morto.
Mi ficcai le mani in tasca e mi voltai, avviandomi lentamente
verso la Casa Magdalena. Avevo bisogno di parlare con Cora. Forse
insieme avremmo trovato una soluzione. In fondo, non avevamo
fatto altro nelle ultime settimane: seguire Samuel, pensare di averlo
in pugno e ritrovarci alla fine in una situazione peggiore della
precedente.
Non ero ancora arrivato al cancello dell’istituto, quando udii un
basso lamento: Cora. Mi si stringeva il cuore quando pensavo a lei.
Non ero l’unico ad aver perso un membro della famiglia. Samuel
aveva preso Violet, la sorella di Cora, e l’aveva trasformata in
vampiro. Violet aveva aggredito la sua stessa sorella. Era naturale
che Cora fosse in lutto.
Rientrai nell’istituto dalla finestra che avevo rotto poco prima. Il
fetore della carne carbonizzata di Henry appestava ancora l’aria.
C’era una pozza di sangue sul pavimento e schizzi rossastri sui
muri: sembrava che l’ufficio sotterraneo si fosse improvvisamente
trasformato in una macelleria. Il che non era poi tanto lontano dalla
realtà.
Cora, in piedi in un angolo, gemette di nuovo, premendosi le
mani sulla bocca. Era una ragazza innocente finita in una rete
sempre più intricata di malvagità e disperazione. Solo due settimane
prima, Samuel aveva trasformato sua sorella in vampiro. Da allora
Cora aveva fatto tutto il possibile per salvarla, infiltrandosi persino
nella Casa Magdalena, l’istituto di cui Samuel era il noto benefattore.
Appena aveva saputo che il nostro nemico era collegato alla Casa
Magdalena, Cora si era offerta di recitare la parte della ragazza
bisognosa in cerca di un rifugio sicuro. Era stata lei a capire che
Samuel usava le ragazze dell’istituto come riserva personale di
sangue. Ed era stata lei ad aiutarci a sistemare la trappola per
Samuel. Speravamo di avvicinarci a lui, scoprire le sue debolezze e
comprendere i motivi dell’odio implacabile che nutriva nei nostri
confronti. Perché non era il sangue a motivare i delitti dello
Squartatore. Un vampiro poteva sopprimere la sua vittima in fretta e
senza lasciare tracce, ma non gli era necessario uccidere per
ottenere il nutrimento. Samuel, in particolare, non ne aveva bisogno:
come benefattore della Casa Magdalena, poteva rifornirsi di sangue
dalle ragazze quando voleva, soggiogandole perché gli offrissero il
collo e poi dimenticassero l’accaduto. Eppure aveva brutalmente
assassinato e fatto a pezzi le sue vittime sulle strade di Whitechapel,
al solo scopo di far ricadere la colpa su Damon. Le sue motivazioni
si potevano riassumere in un solo, terribile nome: Katherine.
Un tempo quel nome mi faceva accelerare i battiti. Ora, invece, il
cuore mi si stringeva per la paura. Katherine significava Samuel e
Samuel significava distruzione. L’unica domanda era: quando si
sarebbe fermato? Nel corso delle indagini, avevamo perso Damon e
assistito alla trasformazione di Violet in una spietata assassina a
sangue freddo. Non solo aveva combattuto contro Damon e me, ma
aveva ferito sua sorella. Peggio: si era nutrita di lei. Guardando Cora
che piangeva in un angolo, potevo solo immaginare quanto fosse
disperata e confusa.
Ma non potevo arrovellarmi su quanto era accaduto. Dovevo
pensare al futuro. E dovevo salvare Damon.
«Non possiamo restare qui. Andiamo a casa». La nostra
destinazione era il tunnel della metropolitana in cui avevamo passato
la notte nelle ultime settimane.
Cora annuì. Un lampo di preoccupazione le attraversò lo sguardo
quando notò il taglio che avevo sulla guancia.
«Stai sanguinando», disse.
«Sto bene», risposi brusco, pulendomi il sangue con la mano.
Era tipico di Cora preoccuparsi di me quando lei stava molto peggio.
«Lascia che ti aiuti». Cora infilò la mano nella manica del vestito
e tirò fuori un fazzoletto. Me lo strofinò sulla pelle con tenerezza.
«Sono preoccupata per te, Stefan. Devi prenderti cura di te,
perché…». Le sfumò la voce, ma sapevo che cosa stava pensando.
“Perché a questo punto, sei tutto ciò che ho”. Annuii, sapendo che
non c’era altro da aggiungere.
Aiutai Cora a scavalcare la finestra dell’istituto e con passi lenti e
pesanti ci dirigemmo verso ovest, al nostro alloggio temporaneo.
Le nuvole e la nebbia oscuravano le stelle e le strade erano
deserte. La gente aveva paura dello Squartatore e il vento spettrale
che fischiava tra i vicoli enfatizzava l’atmosfera diabolica della
serata. Udivo solo i battiti del cuore di Cora, ma sapevo dai giornali
che i poliziotti erano nascosti nell’ombra di ogni vicolo, per tendere
una trappola allo Squartatore.
Naturalmente, la presenza dei poliziotti era inutile. Mentre
aspettavano che lo Squartatore colpisse ancora, tremando di freddo
nei vicoli, l’assassino era preso da un passatempo migliore:
fantasticare su come avrebbe torturato mio fratello.
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