Homo Sapiens e altre catastrofi. Per una archeologia della globalizzazione – Telmo Pievani

SINTESI DEL LIBRO:
2 marzo 1972, 46 anni fa, seconda metà del XX secolo.
Dalla base di lancio di Cape Canaveral si alza il razzo
propulsore contenente la sonda spaziale Pioneer 10. La
sua missione è quella di attraversare indenne la fascia
degli asteroidi, raggiungere l’orbita di Giove e mandare
informazioni riguardanti il complesso sistema gioviano.
La navicella, che pesa poco più di due quintali e mezzo
ed è equipaggiata con una tecnologia di rilevazione per
noi oggi molto elementare, imbocca diligentemente la
fionda gravitazionale che la lancia nello spazio
interplanetario alla velocità di dodici chilometri al
secondo. Come il disco scagliato lontano da un atleta
olimpionico, dopo alcuni vigorosi volteggi Pioneer si
getta nel vuoto spinta dalle forze centrifughe. Questa
piccola creatura curiosa espulsa da un pianeta
periferico inizia la sua esplorazione e raggiunge
l’obiettivo ventuno mesi dopo, inviando regolarmente i
dati telemetrici richiesti.
A questo punto i costruttori del Pioneer si aspettano
come da programma di perderne progressivamente le
tracce, mentre il corpo esausto della navicella si spinge
verso i pianeti esterni del sistema solare. Ma le
potenzialità e la durata della pila radioattiva al plutonio
installata sul Pioneer sono state sottovalutate. Gli undici
strumenti di bordo si spengono uno dopo l’altro, mentre
il tubo di Geiger alimentato dal plutonio continua a
funzionare per mesi, per anni ancora, rispondendo
puntualmente alle richieste di informazioni inviate da
Terra. Pioneer 10, ulteriormente accelerata dalla fionda
gravitazionale generata dal gigante gioviano, si
avvicina prima a Saturno, poi a Urano, supera le insidie
dello spazio esterno, resiste a radiazioni, urti fotonici,
perturbazioni gravitazionali, viene deviata da un
oggetto non identificato all’altezza dell’orbita di
Nettuno e finalmente, nel 1983, raggiunge l’orbita di
Plutone, il pianeta più esterno del sistema: ultima
stazione conosciuta. Gli scienziati nel frattempo
continuano a raccogliere e a schedare le preziose
informazioni inviate dalla sonda, che incredibilmente
continua a rispondere alle chiamate fino all’agosto del
2000, quando anche i più ottimisti fra i suoi sostenitori
della Nasa, dopo aver perso nel frattempo il contatto
anche con la sorellina minore Pioneer 11, abbandonano
l’impresa.
Il congedo dall’efficiente e tenace pioniera era già
stato celebrato e dimenticato, quando in una stazione
radioastronomica di Madrid, il 29 marzo 2001, dal nulla
il cuore meccanico di Pioneer 10 rispose nuovamente
alla chiamata. Come una figlia prediletta di cui si erano
perse le tracce, la navicella inviò la sua voce sottile fino
a noi, dopo trent’anni dal lancio, gettando in un
commosso stupore i suoi padri invecchiati al Jet
Propulsion Laboratory di Pasadena. Le informazioni
contenute nei deboli bip inviati a casa erano molto
frammentarie e difficilmente decifrabili, ma ciò che
contava era che l’infaticabile Pioneer 10 rappresentava
al momento l’unico prodotto umano lanciato all’esterno
del sistema solare con il quale fossimo in contatto.
Oggi la sonda ha superato l’orbita di Plutone da
trentacinque anni, viaggiando costantemente a 43200
chilometri all’ora in direzione della stella Aldebaran,
costellazione del Toro. Si trova dunque a più di sette
miliardi di chilometri dall’ultimo pianeta del sistema e
si dirige verso la linea invisibile dell’eliopausa, il
confine oltre il quale non agisce più l’attrazione del
Sole. I messaggi, alla velocità della luce, le arrivano in
ventidue ore circa e ne occorrono altrettante per
ricevere la sua flebile risposta. Attualmente si trova
immersa in qualcosa di molto simile al nulla. Attorno a
lei la materia ha una densità mille miliardi di volte
inferiore alla più bassa che si possa ricreare in un
laboratorio terrestre. Le minacce più gravi alla sua
integrità fisica sono superate e nel gelido vuoto spinto in
cui si trova potrebbe viaggiare teoricamente all’infinito.
Pioneer 10 non ci appartiene più. Questo glorioso
ammasso di anticaglie aerospaziali americane giungerà
alle porte di Aldebaran fra due milioni di anni. I segnali
svaniranno ben presto e non potremo più seguirne la
traiettoria. La creatura è uscita dal nostro sistema
planetario e si dirige verso altri domini della galassia.
La sua casa sarà per sempre quello che gli scienziati
chiamano “spazio profondo interstellare” e non dovrà
obbedire più alle leggi di gravitazione imposte dal Sole.
Con un po’ di fortuna, vivrà più a lungo di sua madre, la
Terra, e sopravvivrà all’oblio delle migliaia di
generazioni di fisici e ingegneri che si succederanno nei
laboratori terrestri.
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