I pirati del lago – Mariangela Camocardi

SINTESI DEL LIBRO:
Quando sentì bussare leggermente alla porta di quercia, Cristiana
non se ne stupì: era quanto si aspettava. Le voci alterate di sua
madre e di Arrigo, intercalate da quella petulante di Clarice, erano
arrivate sino a lei, illuminandola sul motivo del loro alterco.
Ora si erano ridotte a un mormorio confuso, ma, fino a pochi istanti
prima, le parole che i tre si scambiavano erano giunte, chiarissime e
inequivocabili, alle sue orecchie, suscitandole un profondo
imbarazzo e facendole ardere le guance dalla vergogna.
Da principio, Ippolita aveva tentato di tener testa agli incalzanti
attacchi verbali del marito. Incredibilmente, si era persino provata a
zittire la degna figlia di lui, ma senza risultato. Così, mentre quelli
proseguivano nelle loro argomentazioni, incalzandola senza requie,
la donna aveva inevitabilmente cominciato a cedere; adesso si era
infine alla resa dei conti.
Il discreto battere di nocche si ripeté, e Cristiana, sospirando,
allontanò da sé il telaio e si alzò dalla panca situata nel vano della
finestra, scrollandosi di dosso ogni ulteriore indugio.
Taddea fece capolino dal battente socchiuso, la cuffia bianca un po’
sbilenca sui capelli grigi, e rimase incerta sulla soglia, quasi non
sapesse risolversi a entrare. Poi, vinta la riluttanza, si fece avanti e,
serrato con cura l’uscio alle sue spalle, rivolse alla giovinetta che le
stava davanti un deferente cenno del capo.
— Che c’è? — chiese Cristiana scrutando la faccia contratta
dell’altra.
— Vostra madre vi attende nella biblioteca — esordì la donna con un
certo impaccio, fissandola con occhi in cui era visibile il tormento
interiore. Da persona schietta qual era, non sapeva mascherare i
suoi stati d’animo, e dopo quell’occhiata penetrante abbassò di
scatto le palpebre gonfie e rugose, come se affrontare lo sguardo
fermo di Cristiana, la sua dignitosa compostezza fosse un’impresa
superiore alle sue forze.
Naturalmente, ragionò tra sé quest’ultima, anche Taddea doveva
aver sentito perfettamente ciò che i padroni di casa si erano detti
nella mezz’ora appena trascorsa. E poiché l’argomento di quella
sgradevole conversazione era lei stessa, la situazione era a dir poco
umiliante.
Ma, nonostante tutto, avvertì come una punta di acre divertimento
per la piccola farsa in atto – o sarebbe stato più appropriato definirla
un dramma che si stemperava nel grottesco? – e trovò ammirevole
lo sforzo che la domestica stava esercitando sulla propria volontà
per simulare, a suo esclusivo beneficio, un atteggiamento
indifferente.
— La raggiungo subito, Taddea — rispose con dolcezza,
increspando le labbra morbide in un vano tentativo di sorriso.
Taddea strofinò nervosamente le mani sciupate sulla gonna di rascia
nera, e, da sotto le ciglia rade, le rivolse un toccante sguardo di
scusa. Minuta di corporatura, Taddea dimostrava più anni di quanti
ne avesse in realtà; ogni giorno di quella vita ingrata e avara di
soddisfazioni aveva scavato solchi profondi nella sua pelle, così
rinsecchita che allorché mutava espressione, sembrava farlo con un
lento e meditato sforzo. Del resto, quel precoce invecchiamento era
tipico di coloro che appartenevano alla sua miserabile condizione
sociale. Quanti si trascinavano in un’esistenza faticosa, ai margini
dell’altrui esistenza, impantanati nella desolata monotonia di un
lavoro avvilente, in tutto e per tutto simili a schiavi.
— Io... io sto in pena per voi, Cristiana — riprese la donna,
incespicando nelle parole; e, non sapendo da dove cominciare per
esprimere appieno quel groviglio di emozioni contrastanti che le
ribollivano dentro, si fermò di colpo stringendo le labbra esangui in
una linea dura e risentita. E mentre malediceva mentalmente la sua
ignoranza, un lampo di furore le saettò nelle pupille slavate.
Sulla faccia scarna della domestica, Cristiana scorse maggior
compassione di quanta fosse disposta ad accettarne. Tuttavia, di
fronte a tanto spassionato affetto, si sentì in obbligo di rivolgerle
almeno un piccolo tributo di gratitudine. Tese la mano sottile in un
incerto abbozzo di carezza, memore delle innumerevoli attenzioni
che Taddea le riservava, quasi che, piuttosto che la sua padroncina,
fosse il frutto naturale delle sue viscere.
— Non ho potuto fare a meno di ascoltare — proseguì Taddea,
abbassando volutamente il tono a un sussurro complice — e devo
confessarvi, bambina, che sono costernata, ecco! Non ammetto che
una madre faccia un tale voltafaccia alla propria figlia. Non riesco a
crederci.
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