Giochi al buio – Toni Morrison

SINTESI DEL LIBRO:
Questi capitoli si propongono di estendere lo studio della letteratura
americana a quello che sarà, mi auguro, un paesaggio più vasto. Vorrei tracciare
la mappa, per così dire, di una geografia critica e usarla per aprire nuovi spazi
alla scoperta, all'avventura intellettuale e all'esplorazione ravvicinata, simili a
quelli aperti dalla originaria cartografia del Nuovo Mondo, ma senza mandati di
conquista. Il mio intento è quello di tracciare un progetto critico affascinante,
fecondo e provocatorio, sgravato da sogni sovversivi o chiamate a raccolta
attorno ai muri della fortezza.
Vorrei fosse chiaro fin dall'inizio che non apporterò a tali questioni
unicamente o neppure principalmente gli strumenti della critica letteraria. Come
lettrice (prima di diventare una scrittrice) leggevo nel modo in cui mi era stato
insegnato. Ma come scrittrice i libri mi si sono rivelati assai diversi. In questa
veste, so di dover riporre una fiducia enorme nella mia abilità di immaginare gli
altri e nella mia buona volontà di proiettarmi coscientemente nelle aree
pericolose che questi altri possono rappresentare per me. Sono attirata dai modi
in cui lo fanno gli altri scrittori: il modo in cui Omero descrive un ciclope
mangiacuori sì che i nostri cuori si stringono per la pietà; il modo in cui
Dostoevskij ci costringe all'intimità con Svidrigailov e con il Principe Myskin.
Sono in soggezione davanti all'autorità del Benjy di Faulkner, della Maisie di
James, della Emma di Flaubert, del Pip di Melville, del Frankenstein di Mary
Shelley - chiunque può allungare l'elenco.
Mi interessa ciò che causa e rende possibile l'ingresso in ciò che ci è
estraneo, e ciò che impedisce le incursioni, per i fini della narrativa, nei meandri
della coscienza vietati all'immaginazione dello scrittore. Il mio lavoro mi
costringe a riflettere su quanto posso essere libera, come scrittrice
afroamericana, in un mondo determinato dalle categorie di genere, sesso e razza.
Pensare a tutte le implicazioni della mia situazione (e lottare contro di esse)
mi porta a riflettere su quel che accade quando altri scrittori operano in una
società altamente e storicamente multirazziale. Per loro, come per me,
immaginare non significa soltanto guardare o osservare; né significa mettersi,
intatti, nell'altro. Significa, per i fini del lavoro, divenire.
Il mio progetto nasce dal piacere, non dalla delusione. Nasce da ciò che so
sui modi in cui gli scrittori trasformano aspetti delle loro radici sociali in aspetti
linguistici, e sui modi in cui raccontano altre storie, combattono guerre segrete,
illustrano ogni tipo di dibattito racchiuso nel loro testo. E nasce dalla mia
convinzione che gli scrittori sanno sempre, a un certo livello, di fare proprio
questo.
è ormai da tempo che rifletto sulla validità o vulnerabilità di certi presupposti
convenzionalmente accettati dagli storici e dai critici letterari e divulgati come
"sapere"
In base a ciò la letteratura americana tradizionale, canonica, non risente né è
permeata o formata dai quattro secoli di presenza, sul suolo degli Stati Uniti, di
africani prima e di afroamericani poi. Si presuppone che questa presenza - che ha
plasmato il corpo politico, la costituzione e l'intera storia della cultura - non
abbia avuto un posto significativo né abbia esercitato conseguenze sull'origine e
sullo sviluppo della letteratura di quella cultura. Si presuppone altresì che le
caratteristiche della nostra letteratura nazionale provengano da una particolare
"americanità", separata da e non riconducibile a questa presenza. A quanto pare,
tra gli studiosi c'è un accordo più o meno tacito in base a cui, dal momento che la
letteratura americana è stata chiaramente appannaggio delle opinioni dei bianchi
di sesso maschile, del loro talento e potere, tali opinioni, talento e potere non
sarebbero in alcun rapporto con la massiccia presenza di neri negli Stati Uniti.
Questo accordo riguarda una popolazione che ha preceduto qualsiasi scrittore
americano di chiara fama ed è stata, ne sono convinta, una delle forze che hanno
influito in modo più furtivamente radicale sulla letteratura del Paese.
Contemplare la presenza dei neri è fondamentale per la comprensione della
nostra letteratura nazionale e non si dovrebbe permettere che essa resti ai
margini dell'immaginario letterario.
Queste congetture mi hanno portato a chiedermi se le caratteristiche più
importanti della nostra letteratura nazionale, quelle sempre portate in palmo di
mano - l'individualismo, la mascolinità, l'impegno sociale contro l'isolamento
storico; le problematiche morali acute e ambigue; la tematica dell'innocenza
associata all'ossessione di raffigurazioni della morte e dell'inferno - non siano di
fatto la risposta a una presenza africanista oscura, costante, pregnante. E ho
cominciato a credere che il modo in cui la letteratura americana si distingue,
come entità coerente, sia tale proprio a causa di questa popolazione inquietante e
senza radici. Così come la formazione della nazione necessitava di un linguaggio
codificato e di restrizioni significative per affrontare la malafede razziale e la
fragilità morale che ne costituiscono il nucleo, la stessa cosa è accaduta con la
letteratura, le cui caratteristiche fondamentali si estendono fin nel ventesimo
secolo, riproducendo la necessità di codici e restrizioni.
Grazie a omissioni significative ed evidenti, contraddizioni sorprendenti e
conflitti pesantemente sfumati, grazie al modo in cui gli scrittori hanno popolato
le loro opere con i segni e i corpi di questa presenza, è possibile vedere come
questa presenza africanista, reale o costruita, sia stata cruciale per il loro senso di
"americanità" Si vede eccome.
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