Damnatus – Paolo Molinari

SINTESI DEL LIBRO:
Vagavo sola fra le strade della mia città, non avevo una meta
precisa. Camminavo guardandomi intorno senza scopo, accogliendo
ogni sensazione e percezione che l'ambiente mi offriva. Grandi
palazzi e villette a schiera si susseguivano in uno sviluppo
disomogeneo, formando profili di cime artificiali. Volantini pubblicitari
e cartacce ai lati della strada volavano in balia del vento, invisibile
annuncio di un forte temporale. Raccolsi un volantino e notai
l’immagine del Big Ben.
"Un volantino inglese qui? Che strano."
L'inverno con la sua aria gelida riusciva a infilarsi fra gli abiti con
spifferi pungenti che irrigidivano il mio corpo rendendo quasi
insopportabile la passeggiata senza meta che stavo facendo. Era
come se fossi in trance, camminavo senza fermarmi e senza
pensare a nulla, osservando le vie a cui andavo incontro.
Trascorsi l’intera giornata a camminare senza avvertire nessun
sintomo di stanchezza. Era tutto così surreale.
"Perché sono fuori casa? Cosa mi ha spinta a camminare tutto il
giorno? Perché sento che non è ancora arrivato il momento di
fermarmi? Cosa sto cercando?"
Continuai a camminare fino a quando vidi casa mia dall'altra parte
della strada. Mentre attraversavo sulle strisce pedonali, mi diedi
della sciocca per aver perso tutto quel tempo a camminare.
Improvvisamente, una luce proveniente alla mia sinistra fece
allungare sempre più le ombre che nascevano davanti a me. Mi
voltai coprendomi il viso e le mie gambe si paralizzarono.
Un’automobile si avvicinava a grande velocità mentre la paura
dentro di me cresceva a dismisura fino a farmi urlare dal terrore; il
mio cuore pulsava con vigore.
Una stridente frenata mi costrinse a guardare in direzione della luce.
Non so come riuscii in poco tempo a vedere che l'auto era una Ford
Mustang nera opaca e che la targa aveva solo tre numeri: 311.
La portiera si aprì, ma non vidi nessuno scendere. Raccolsi tutto il
coraggio che avevo per avvicinarmi all'abitacolo. Vidi che il motore
era ancora acceso e le luci interne confermarono l'assenza del
pilota.
La mia mente si perse in un vortice di pensieri e domande: "Chi era
alla guida? Dov'era finito il pilota?"
Mi voltai e dietro di me un uomo, con uno sguardo aggressivo e due
luminosi occhi gialli, mi fece sobbalzare dallo spavento. Ebbi una
fitta alla testa. Fu questione di secondi e di colpo mi trovai seduta sul
letto di camera mia.
Stavo sognando; la mia immaginazione aveva di nuovo confuso il
confine fra ciò che era reale e ciò che non lo era.
Ancora un po' stordita mi alzai dal letto e scrissi il sogno sul mio
diario riassumendo tutto ciò che ricordavo: un annuncio inglese, la
passeggiata per la mia città, una Ford Mustang con le cifre 311 e un
uomo dagli occhi gialli… Quegli occhi, purtroppo, evocavano in me
tristi ricordi.
Lavoravo in un grande centro commerciale del mio paese. Gli orari
erano pesanti, le ferie erano poche, come del resto la paga; ma il
fatto che distasse pochi metri da casa e l'ambiente tranquillo erano
elementi sufficienti a farmi restare. Inoltre dovevo racimolare un
gruzzolo adeguato per soddisfare il mio hobby: viaggiare. Londra,
Praga, Vienna, Berlino, Madrid, Barcellona. La parete della mia
stanza era colma di fotografie scattate durante i viaggi fatti col mio
ragazzo. Capodanni, ferie estive, finte malattie erano le occasioni
migliori per scoprire il mondo in cui vivevo, anche se da qualche
anno la mia visione del mondo era cambiata. I confini si erano estesi
e la linea di demarcazione che separava il reale dal fantastico si era
assottigliata notevolmente.
Da quando ero bambina ho sempre avuto sensazioni, timori e
percezioni di avvenimenti o presenze che mi mettevano in allarme.
Sognavo eventi che si concretizzavano nel giro di poco e percepivo
presenze che gli altri non riuscivano a vedere o sentire.
Inizialmente i miei genitori pensavano che i miei racconti fossero
fantasie infantili. Crescendo, però, vidi il loro sguardo diventare
pieno di paura e le loro reazioni farsi più severe, così decisi di
smettere di parlarne con loro.
Anche da grande non smisi di coltivare queste mie capacità.
Tanto intimorita quanto incuriosita, cercai di dare retta alle mie
sensazioni e alle mie strane abilità.
I sogni premonitori si moltiplicarono e la mia “fortuna” ebbe uno
slancio incredibile. Quando andai al liceo, a 16 anni, conobbi
Andrea. Ai miei occhi appariva come un ragazzo misterioso. Mentre
lui si divertiva, rideva e scherzava con gli altri, io lo studiavo, cercavo
di capire cosa avesse in più rispetto ai miei compagni. Quando era
solo, l'espressione del suo viso era diversa, come se ci fossero due
Andrea. Era fissato con il gioco delle carte; portava sempre con sé
un mazzo e faceva trucchetti di prestigio che divertivano gli altri.
Vecchi trucchi, pensavo, tuttavia ci sapeva fare.
Notai però che al di fuori della scuola e quando non era con la sua
ragazza, preferiva chiudersi nella sua stanza in cui restava per tutto
il tempo. L'anno seguente diventammo amici ed ebbi modo di
approfondire le mie indagini: conoscendolo ero sempre più convinta
che quello che mostrava fosse solo una facciata… Andrea custodiva
un segreto dentro di sé. Conobbi la sua ragazza, Anna, una persona
squisita, gentile e simpatica.
Più il tempo passava, più mi sentivo legata ad Anna e Andrea, i miei
unici, veri amici. Assistetti a molti spettacoli di prestigio di Andrea e
fui molto colpita dalla sua abilità, tanto che sospettai che i suoi non
fossero trucchi… Era un pensiero assurdo, lo sapevo fin troppo
bene.
E se Andrea fosse come me? mi chiesi.
Cercai di osservare con maggiore attenzione i suoi comportamenti e
le sue abitudini senza riuscire a ricavare nulla. Una notte, però,
mentre eravamo tutti e tre in escursione fra le montagne della
Liguria, durante una breve pausa mi appisolai ed ebbi una
premonizione. Un cinghiale ci voleva attaccare perché ci trovavamo
vicino alla sua tana. Mi svegliai di scatto, Andrea era davanti a me e
mi tappava la bocca. Poi stringendomi la mano, mi guidò nel buio
della notte lontano da quella posizione.
Come faceva a sapere che era meglio rimanere in silenzio? Come
aveva capito che eravamo in una zona pericolosa?
Dopo averlo strenuamente interrogato, alla fine lo ammise: la mia
percezione non era errata… lui era come me! Aveva avuto una
visione esattamente come la mia.
SCARICA IL LIBRO NEI VARI FORMATI :
Commento all'articolo