Come fuoco sulla pelle – Debora C. Tepes

SINTESI DEL LIBRO:
Calpesto scattante il cemento con le mie nuove Adidas, i battiti del
cuore monitorati dall’iPhone. C’è un'app utilissima che ho scaricato
qualche giorno fa e si collega alla playlist di canzoni latine e dance
che ho scelto per fare jogging. Ora nelle mie orecchie risuona One
dance di Drake. Mi dà la carica giusta per continuare a correre,
dovrò farlo per un’altra ora se voglio vincere la partita che si terrà la
settimana prossima.
Il lungomare di Santa Monica si staglia spettacolare davanti ai miei
occhi: anche se lo attraverso ogni mattina da anni, non mi stancherò
mai di guardarlo perché mi ricorda quanto sia fortunato a essere qui.
La luce del sole è già calda e abbagliante, anche se è appena l’alba;
l’oceano questa mattina è calmo. Inspiro l’odore salmastro e
aumento il passo, canticchiando e muovendo la testa al ritmo della
canzone. Mi piace correre, sgombro la mente da qualsiasi tipo di
preoccupazione, mi sento più spensierato e ne approfitto per
gustarmi ciò che mi circonda. Non mi riferisco solo alle belle ragazze
con shorts inguinali, parlo anche del luogo in cui vivo. Los Angeles
per molti è una città infernale, un luogo di perdizione, l’emblema del
caos più assurdo; per me, invece, è stata l’unica fonte di salvezza.
Vivo nella città degli Angeli da quando avevo dodici anni: io e la
mia famiglia siamo arrivati in California clandestinamente, abbiamo
attraversato il muro dentro un camioncino di frutta e ne siamo usciti
illesi. Ogni volta che i messicani tentano di oltrepassare il confine i
rischi sono enormi: o sono rimandati indietro o, ancora peggio,
muoiono senza dignità. Sono pochi i fortunati che riescono a
scappare e ad avere la meglio. Anzi sono pochissimi.
Noi Gomez siamo stati miracolati, forse abbiamo avuto l’aggancio
giusto per oltrepassare el bordo, o forse Dio è stato clemente con
noi. Non scorderò mai i volti disperati di chi non ce l’ha fatta, di chi
ha combattuto fino alla fine per una vita migliore. Non dimenticherò
mai i suoi occhi grandi, scuri e colmi di lacrime, che mi urlavano di
non lasciarla. Tornerò a prenderti, te lo prometto, le avevo detto
nell’ingenuità della fanciullezza, mentre mi allontanavano da lei.
Nonostante fossi solo un bambino, ci credevo. Peccato che non sia
andata così. A Tijuana, la mia città natale, non sono mai più
ritornato.
Continuo a macinare miglia, il battito sempre più accelerato, le
gambe sempre più veloci. Sono uscito all’alba dopo che il solito
sogno mi ha fatto trasalire e svegliare di colpo, tutto sudato e
turbato. Non succede tutte le notti, ma si è ripetuto troppe volte in
questi anni. Maledizione, la scena è sempre la stessa: il deserto, la
notte, il freddo, io che mi protendo per afferrare le mani della
bambina. Quando riesco a prenderle, qualcuno la trascina via da
me, coprendole la bocca per non farla urlare. Io cerco di
acchiapparla, ma lei è risucchiata nel buio e lancia un disperato
grido di paura.
Purtroppo sono consapevole che non si tratti solo di un sogno o di
uno scherzo della mia mente post sbronza: ciò che mi appare nel
sonno è un ricordo. Scene che mi hanno segnato e che non sono
riuscito a rimuovere. La mia vita è andata avanti, certo. Sono
successe tante cose belle da allora, e tutto sembra
straordinariamente perfetto. Eppure quell’esperienza è marchiata a
fuoco nella mia memoria. Lei è impressa nei miei ricordi, anche se
sono trascorsi anni, anche se sono cresciuto. Non ho saputo
dimenticarla, forse perché non ho mai voluto farlo. E quando mi
viene a trovare nei sogni, capita che pensi a lei tutto il giorno,
sentendomi dannatamente in colpa per non aver mantenuto la mia
promessa.
Dopo aver corso per un’ora o poco più, salgo sul mio quad Buggy
650 e ripercorro il lungomare, sfrecciando a tutto gas verso il mio
appartamento. La mia famiglia vive nei pressi di Beverly Hills, io ho
preferito prendere casa a Santa Monica: quando mi sveglio voglio
vedere e sentire l’oceano, quella stessa infinita distesa di acqua in
cui giocavo quando ero solo un bambino e vivevo ancora in Messico.
Ho acquistato una casa di fronte alla spiaggia e ho sborsato
tantissimi dollari per abitare in un palazzetto vetrato a due piani, ma
per una vista del genere avrei speso anche il triplo.
Giro le chiavi nella toppa ed entro nel mio appartamento. Non è
grandissimo, ma nemmeno angusto come un monolocale. L’ho
arredato alla perfezione, scegliendo mobili di qualità; il bianco è il
colore che predomina, dando quel tocco minimal chic. Lo so, sono
messicano e dovrei avere una casa coloratissima, piena zeppa di
suppellettili che ricordano il mio paese, e invece no. Ormai è come
se avessi abbandonato la mia cultura, cancellato dalla testa le mie
origini; ho perfino dimenticato lo spagnolo, lo parlo davvero
raramente.
Sono un figlio di papà californiano a tutti gli effetti. Un bastardo
pieno di soldi, donne e divertimento. I miei genitori sono benestanti:
hanno la loro villona, le loro macchine lussuose e vivono la loro vita
dorata. E sono felice per loro. Dopo tutto ciò che hanno passato,
meritano la beatitudine. Eppure a volte mi sento insoddisfatto, è
come se tutto questo non mi appartenesse davvero.
Sfilo gli auricolari e appoggio il cellulare sul comodino.
«Ehi, finalmente sei ritornato» biascica Danielle, rotolandosi tra le
lenzuola del mio letto.
Tolgo il berretto e sfilo la canottiera, sono sudatissimo. Lancio uno
sguardo alla rossa sexy, mi catapulto su di lei e bacio le sue labbra.
«E tu finalmente sei sveglia» le dico, assaporando la sua bocca
calda.
Danielle e io ci siamo conosciuti a una festa il primo anno di
college, mi è piaciuta da subito perché con quella chioma rossa e il
corpo sinuoso sembra una sirena sexy. Siamo scopamici da ben
quattro anni: lei non ha resistito al mio fascino latino e io non ho
potuto fare a meno di prendermi il suo bel corpo. Fino al mese
scorso la nostra relazione era esclusivamente fisica, ci incontravamo
e scopavamo. Punto. Poi, anche grazie ai consigli di Indiana, una
mia amica dell’Alabama, ho capito che Danielle mi piaceva davvero
e ora stiamo provando a essere una coppia.
Questa notte ha dormito da me, ma io non voglio correre, non
sono pronto a vedere una donna gironzolare per casa mia. Voglio i
miei spazi, voglio sentirmi libero; le relazioni appiccicose non fanno
proprio per me. Potrei soffocare.
«Vado a fare la doccia» annuncio sulle sue labbra.
Danielle arriccia il naso pieno di lentiggini e annuisce.
«Io preparo la colazione» mormora.
Diamine, vuole mettere le mani nei miei mobili e cassetti: odio
questa cosa.
La mia roba non si tocca!
Scuoto la testa.
«No, niña, ci penso io. Rilassati ancora un po’».
Danielle sospira, mi prende il viso tra le mani, stampandomi un
bacio focoso sulle labbra.
Mmh, che buon sapore.
«Ti aspetto qui, tesoro».
Tesoro?
Con un cenno del viso le dico di sì e mi avvio verso il bagno.
Faccio una doccia bella lunga per scaricare lo stress: ultimamente
sono un po’ sotto pressione per gli allenamenti di basket e la laurea
in sociologia. Ho scelto questo percorso di studi perché sento il
bisogno di aiutare il prossimo, immedesimarmi nei problemi altrui
non mi risulta difficile. Sono sempre stato il confidente dei miei amici,
so come rincuorare gli altri e sono piuttosto bravo a farlo. Peccato
che non sia riuscito a farlo con la persona che ne aveva più bisogno.
Chissà come sta, chissà se si ricorda ancora di me...
Mentre mi insapono e rimugino, sento la porta del box doccia
aprirsi: Danielle è nuda e bellissima davanti ai miei occhi. Abbozzo
un sorriso e le porgo la mano.
«Accomodati, chica».
Si morde le labbra e mi guarda, appoggia la sua mano nella mia
ed entra. Si alza sulle punte, circonda il mio collo con le braccia e mi
bacia con passione, premendo il suo corpo morbido contro il mio. I
suoi seni abbondanti si schiacciano contro i miei pettorali bagnati;
con le mani le accarezzo la schiena e poi scivolo sul suo sedere
pieno, lo stringo e risalgo tenendole stretti i fianchi. Ci baciamo
profondamente, assaggio la sua lingua in modo lento, ci strusciamo
ed esploriamo a vicenda. La prendo in braccio e lei mi circonda i
fianchi con le gambe, la appoggio delicatamente contro le
mattonelle, mi faccio spazio e affondo in lei.
Fare sesso con Danielle è appagante e divertente. Questa rossa
sa come muoversi, è davvero brava, ma mai quanto me: è
sicuramente lei quella che raggiunge più orgasmi. Mi muovo in lei
con ritmo, sfiorando il suo corpo caldo e bagnato; lei mi infila le mani
tra i capelli e ansima schiudendo le labbra. È così sexy, mi piace, ma
mi chiedo se riuscirò mai ad amarla.
«Dio, Tiago, sei fantastico» farfuglia tra i gemiti, con i capelli rossi
che le ricadono umidi sulle guance.
«Anche tu» mormoro eccitato.
Continuo a sostenerla per i glutei, affondando in lei più volte;
l’acqua tiepida mi colpisce la schiena, mentre Danielle geme
desiderosa. Inizio a leccarle il collo, poi scendo giù, arrivando ai suoi
seni prosperosi. Prendo in bocca un capezzolo e lo succhio con
avidità; le mani della rossa mi graffiano la schiena, inducendomi ad
accelerare il ritmo. La mia lingua continua a giocherellare con i suoi
seni perfetti e i nostri corpi si amalgamano, sbattendo contro la
parete della doccia con violenza. Danielle fa risalire le sue mani tra i
miei capelli, me li tira provocandomi un leggero fastidio. Le mordo un
capezzolo, urla il mio nome; forse le ho fatto male, ma non
m’importa. Continuo a penetrarla rapidamente, con il dito le stuzzico
il clitoride gonfio, e lei viene subito dopo, strillando e dimenandosi
sotto di me, preda di un potente orgasmo. Non la lascio fino a
quando non raggiungo anche io il climax. Basta poco. Altre due
potenti spinte e vengo, uscendo giusto in tempo.
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