Tutta colpa dell’estate- Raffaella Spano

SINTESI DEL LIBRO:
Gallipoli.
L'estate qui è meravigliosa.
Io e le mie amiche non potevamo scegliere meta migliore per la
nostra vacanza insieme dopo la laurea.
Questi giorni di mare e di sole sono strameritati e voglio godermeli
tutti fino all'ultimo secondo, pensando solo a rilassarmi e a divertirmi.
«Stasera che ne dite di mangiare un panino veloce, di fare un giro
in centro e poi raggiungere il Parco Gondar? C'è David Guetta».
Propone Niki, la mia migliore amica dai tempi dell'asilo.
«Quel posto è troppo caotico e frequentato per lo più da ragazzini.
Che ne dite del Riobo? È più di classe, con gente selezionata». Ci fa
l'occhiolino Roberta.
«Al Riobo dici? Non saprei... è abbastanza lontano da casa nostra
e una di noi è costretta a non bere per poter guidare al ritorno». Ci
pensa Niki.
«Io sono disponibilissima a non bere». Mi faccio avanti.
«Ottimo!» Esclama Roby. «Direi che possiamo anche organizzare
la serata».
«Vada per il Riobo». Niki emette uno strillo e alza al cielo le mani.
«Sì, io ci sto». Rispondo, alzandomi dalla sdraio. «Così ce la
spasseremo un po'». Mi bagno i piedi a riva, sprofondando di
qualche centimetro nella sabbia morbida, dove l'acqua del mare
avanza lenta e silenziosa.
«Abbiamo tutte bisogno di spassarcela un po'. Gli ultimi esami e la
tesi ci hanno rimbambite». Interviene Roby.
«Parli tu che ogni sera riuscivi a svagarti . Io andavo a letto
distrutta dopo aver studiato per dodici ore filate».
«Beh, vuol dire che io ho la capacità di apprendimento migliore
della tua». La prende in giro Roby.
«Sì, secondo me avevi una tresca col professore...» Le faccio una
linguaccia.
«Sei sempre la solita. Vedi malizia ovunque». Ride Niki.
«Sono solo intuitiva». Alzo le spalle e Roby si alza per spingermi in
mare.
Cerco di sfuggire alla sua spinta scherzosa ma ci finisco dentro
con metà t-shirt di cotone bianco, e sono costretta a toglierla e
stenderla sulla sdraio nonostante il sole stia tramontando e non ho
troppo tempo a disposizione per farla asciugare.
«Non c'era bisogno di spingermi in acqua. Ammettilo che ti vedevi
di nascosto col prof. Non è mica così vecchio... e poi sappiamo bene
che ti piacciono quelli più grandi, o meglio, quelli più maturi». La
istigo con un sorriso sfrontato mentre con un telo mi asciugo le
gambe.
«Smettila, non è vero. Sono solo stata brava a diventare la sua
alunna preferita». Ammicca sbattendo le ciglia lunghe e portandosi
indietro i lunghi capelli castani con un gesto da diva.
Scuoto la testa e rido mentre Niki le dà una leggera spinta.
La spiaggia inizia a svuotarsi. Sul bagnasciuga il via vai di gente è
rallentato, ed è ora di ritornare nella casa che abbiamo affittato per i
prossimi dodici giorni.
Durante il tragitto per il ritorno, con la mia maglietta ancora
bagnata per metà, mi gusto un ghiacciolo a Coca-Cola mentre Niki
continua ancora a punzecchiare Roby per la storia del professore
che non vuole raccontare.
Una volta arrivate a casa, che straripa di indumenti gettati alla
rinfusa da ogni parte, occupo per prima il bagno e mi rigenero sotto il
getto d'acqua tiepida.
«Dato che non ci hai dato nemmeno il tempo di lavarci le mani,
sarai tu a scendere di sotto a comprare i panini». Mi urla Niki da
dietro la porta.
«E va bene». Grido a mia volta e riprendo a lavarmi con cura i
capelli, liberandoli da tutta la salsedine.
Poi, ci metto un'infinità per asciugare e rendere morbidi
quest'ammasso di spaghetti, che mi ritrovo in testa, che ogni estate
diventano crespi per colpa della decolorazione sfumata sulle punte.
Me li pettino dopo averci spruzzato dell'olio d'argan e finalmente
posso guardarmi allo specchio sembrando una persona normale.
Domani, non me li bagnerò per niente al mondo!
Mi infilo un semplice short di jeans e una t-shirt nera, abbinata ad
un paio di sandali bassi. Ficco qualche banconota in tasca e scendo
sotto casa per raggiungere il chiosco del paninaro sull’altro lato della
strada.
Sento litigare Niki e Roby per il diffusore quando le avviso che sto
uscendo, ma non mi danno per niente ascolto.
Il mio stomaco brontola e attraverso di corsa la strada per
raggiungere il chiosco che sta già sfornando panini per un bel po' di
gente.
Aspetto pazientemente il mio turno, assaporando l'odore di carne
arrostita nell'aria che permette alla voragine nel mio stomaco di
allargarsi sempre di più.
Bazzico un po' col cellulare, postando su Facebook le foto fatte
oggi in spiaggia e taggo le mie due amiche che di sicuro staranno
ancora litigando per il phon, e rido tra me e me non appena vedo la
notifica del tizio carino conosciuto ieri durante un happy hour in
spiaggia, che subito mette il like e mi contatta in privato.
Il paninaro dietro al bancone urla il mio numero e sono costretta a
mettere via il cellulare per pagare la cena calda e profumata di
carboidrati, e mi riavvio verso casa con la testa bassa sul display a
tentare di rispondere con disinvoltura alla sua domanda sul
programma di questa sera, senza metterci troppa enfasi nelle parole
che scelgo perché potrebbe fraintendere. Ma non mi accorgo di
stare attraversando la strada, quando uno stridio di pneumatici e il
rombo forte di un motore che scoppietta mi fa raggelare il sangue e
bloccare sul posto mentre vengo accecata da due fari bianchi.
La busta dei panini mi cade sull'asfalto e insieme ad essa anche il
cellulare. Sono pietrificata e spaventata, ma quando i fari si
spengono e vedo il conducente, ancor più spaventato di me, mi
prende un colpo nel riconoscere i tratti e le sue generalità note e
famose. E non perdo tempo che mi metto subito a strillare e a
fingere di essermi fatta male.
Beh, non capita tutti i giorni di farsi scortare in Ferrari fino
all'ospedale da un calciatore di serie A.
«Mi hai messo sotto. Ho bisogno di un’ambulanza. Sei un
criminale! Un assassino! Potevi ammazzarmi!» Resto con la testa
bassa e mi accascio, fingendo un dolore atroce alle gambe, ma
dall'altro lato non sento nessuna voce e nessun cenno di
preoccupazione. Mi starò rendendo di sicuro ridicola.
«Mi fa male. Non potrò più camminare! La mia gamba è rotta e tu
sei un criminale! Uno sporco e schifoso criminale!» Continuo ma lui
continua a non muoversi per venire ad aiutarmi.
Incuriosita alzo un occhio, senza farmi scorgere, e lo trovo poco
più distante di me con le braccia conserte. Imbarazzata riprendo a
guardare l'asfalto, stringendo i denti in una smorfia di dolore.
«Smettila di fare questa sceneggiata. Non ti ho proprio sfiorata».
La sua voce è piatta, quasi annoiata. «E poi, ti sei accasciata proprio
sotto una telecamera di video sorveglianza. Non ti daranno mai retta,
credimi», sogghigna lievemente e io sbuffo, recuperando la busta
con i panini e il cellulare per poi rimettermi in piedi.
«Okay, sto bene. Sto bene!» Borbotto.
«Oh, finalmente». Fa per tornarsene nella sua auto super costosa.
«Solo che...» trillo prima che se ne vada via, posando la busta sul
cofano dell'auto. «Stavo solo cercando un modo per farmi notare da
te. Solo con un finto investimento saresti uscito dall'auto». Abbozzo
un sorriso timido ma perspicace.
Le sue spalle larghe si rilassano e piano si volta. «Mi hai dato del
criminale»
«Ho esagerato un po'», stringo le labbra e mi gratto la nuca,
fingendo imbarazzo. «Scusa»
«Scuse accettate», alza le spalle e apre la portiera.
«Ora però me la concedi una foto?» Insisto.
«Vuoi una foto?» Rimane in bilico tra l'auto e la portiera,
squadrandomi il viso.
«Sì». Sblocco il cellulare e mi avvicino a lui. «Mio fratello è un tuo
fan e si mangerà le mani per non essere venuto qui in vacanza».
Ridacchio, stringendomi al suo fianco senza il suo permesso e metto
la telecamera in modalità selfie, e scatto la foto proprio nel momento
in cui lui gira il viso per guardarmi.
«Hai fatto tutto 'sto casino per una foto?» Aggrotta la fronte e noto
i suoi occhi chiari che spiccano sull'abbronzatura del suo viso, e
stringe la mano intorno alla mia con l'intento di rubarmi il telefono.
Stringo la presa a mia volta e cerco di tirare via la mano per
proteggere la mia foto. «So che tipo sei. Te la tiri, sei egoista e
arrogante. Non ti saresti mai fatto una foto con me se te l'avessi
chiesto con gentilezza».
Lui stringe ancora più forte «Sono un criminale, un assassino, me
la tiro, sono egoista... spiegami per quale motivo dovrei farmi una
foto con te che non hai smesso un attimo di insultarmi». Si incatena
al mio sguardo, ma nei suoi occhi non vedo l'ombra del fastidio. Bah,
forse si sta divertendo a prendermi in giro.
«Per il semplice motivo che tu sei Andrea Prezioso. Attaccante
della Roma che in questo campionato ha segnato ben ventisette reti.
Sei il calciatore più quotato e ricercato del momento e io sono solo
una comune mortale che ha avuto la botta di culo di incontrarti in
questa strada sperduta che puzza di fritto e carne arrostita. Ora
lasciami la mano, e invece di avere tante pretese dovresti essere
almeno contento di avere una fan così preparata che non si è persa
nemmeno una tua partita». Gli faccio una linguaccia e lui riesce a
strapparmi dalla mano il telefono.
«Sì, effettivamente sono poche le donne che tifano per me in
qualità di bravo calciatore, ma... non sei comunque degna di avere
una foto con me». Alza il braccio per non farmi prendere il telefono e
io comincio a saltellare.
«Non puoi: è il mio telefono. Non puoi permetterti di fare quello che
ti pare!» Mi aggrappo alla sua spalla, tastandone la forma dura,
massiccia e scolpita che la polo azzurra delinea appetitosamente,
ma cerca di allontanarmi.
«C’è la mia faccia qui dentro e posso farci quello che voglio». Mi
spiaccica una mano sul viso per ammutolirmi e per cercare di non
farmi vedere quello che sta combinando col mio telefono, ma io
continuo a protestare e a mormorare di restituirmelo sotto il suo
palmo che odora di bagnoschiuma muschiato. Ma la sua presa è
salda e riesce perfino a spingermi indietro, contro la carrozzeria blu
dell’auto.
Stringo le unghie sul suo braccio, ma non molla la presa e riesce a
tenermi la faccia in giù con una sola mano e chissà cosa starà
trafficando sul mio cellulare.
«Ridammelo, ti prego, e non cancellarla. Sarà venuta pure
sfocata», borbotto e lui, improvvisamente, si blocca, diminuendo la
presa su di me.
«Invece è venuta benissimo, cazzo», mormora e mi lascia andare
la faccia.
Noto uno strano stupore sul suo viso e lo fisso per capirci qualcosa
in più. «Fa’ vedere»
Resta a fissarmi anche lui, con il cellulare ancora lontano da me, e
dopo pochi secondi silenziosi che mi sembrano interminabili e
opprimenti, dove i nostri occhi rimangono incollati a cercare di dirsi
chissà che cosa, lui finalmente fa schioccare la lingua sotto il palato,
ficcandosi nella tasca dei jeans il cellulare.
«Ma che fai?» mi allarmo.
«Non lo riavrai il cellulare», mi sfida con un mezzo sorriso
strafottente.
«E perché?»
«Perché per questa sera sta bene qui», batte la mano sulla tasca.
«Cosa? E io come faccio? Ridammelo subito».
«No no... ma puoi venire a riprenderlo più tardi, se vuoi». Si
avvicina pericolosamente e arretro con una strana sensazione di
disagio.
Assaporo il suo odore muschiato e inghiottisco i milioni di
domande e di insulti che vorrei urlargli. Mi fisso a guardare i suoi
occhi chiari e vispi, poi mi sposto sul suo naso dritto e sottile, sul
velo di barba biondo scuro appena accennata e alle sue labbra
leggermente carnose che continuano a stendersi in un mezzo
sorriso insolente.
Il mio cuore fa inavvertitamente una capriola e quasi mi balza in
gola non appena la sua mano si posa leggiadramente sul mio
fianco.
Sussulto appena ma non mi muovo, anzi, è lui a spostarmi senza il
minimo sforzo e a guadagnarsi l’entrata in auto.
Mi riprendo nell’esatto istante in cui sbatte la portiera e io riesco ad
attaccarmi a malapena al finestrino.
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