Un marine per sempre – Silvia Carbone

SINTESI DEL LIBRO:
Uscì dall’ufficio del rettore socchiudendo la porta, anche se avrebbe
voluto sbatterla: la notizia appena ricevuta l’aveva buttata in uno
stato di agitazione tale da doversi appoggiare al muro e iniziare a
contare per riprendere a ragionare lucidamente.
Davanti a sé, Lizzy, l’amica di sempre, la scrutava in silenzio.
Elizabeth, una bellissima donna dai lucidi capelli neri e luminosi
occhi azzurri, era cresciuta con lei a New York e poi, entrambe si
erano trasferite a San Diego. A dire il vero, dopo aver condiviso la
stessa stanza al college, si erano perse di vista per qualche anno
perché avevano scelto strade differenti: Lizzy ora stava preparando la
sua tesi in medicina mentre Joe frequentava un master sulla
programmazione di software di precisione.
Da quando si erano ritrovate, però, avevano ripreso gli antichi
rapporti e andavano ancora a ballare insieme, tornando a casa
sbronze e barcollanti sui tacchi vertiginosi che Lizzy insisteva per
fare indossare anche alla compagna.
«Sembri un mastino al quale hanno appena rubato l’osso» esordì
l’amica.
Joe alzò una mano per bloccarla. «Ti prego. Ho bisogno di una
dose massiccia di caffeina e cioccolata. E se non vuoi farmi incazzare
ulteriormente non azzardarti a dirmi che sei a dieta, perché mi farai
compagnia.» Sospirò sconfitta: «Dio che giornata di merda, Lizzy!».
Al bancone del bar attirarono l’attenzione del barista che,
sfoggiando quello che credeva essere un sorriso affascinante, si
avvicinò per prendere le ordinazioni.
«Un doppio caffè nero e un cappuccino con latte di soia.» disse
Joe mentre dava una rapida occhiata alla vetrina dei dolci. La sua
attenzione si concentrò sulla torta al cioccolato che le sembrò fare lo
spelling del suo nome come una graziosa cheerleader: datemi un J!
Datemi una O! Datemi una E…
Cristo, sono esaurita… Mi manca solo una bella diagnosi per
schizofrenia e un soggiorno gratuito in una camera con le pareti
imbottite!
«Anche due fette di torta al cioccolato» concluse indicandola.
«Che diavolo ti succede?» sussurrò Lizzy per non farsi sentire
dalle persone che le circondavano mentre raggiungevano il tavolo.
«Il rettore vuole che studi le particolarità del software dell’F-35
Lightning per l’ultimo esame del master. Ha saputo che sono
un’esperta di aerei e vuole che ne faccia un progetto.» Detto così
sembrava qualcosa che potesse gestire e, in effetti, ne aveva le
competenze ma i suoi demoni interiori si erano rianimati non appena
il direttore le aveva illustrato la sua brillante idea.
«E il problema quale sarebbe?» Lizzy voleva sentirselo dire.
«Il problema è che dovrò andare alla Miramar, la base aerea dei
Top Gun, e sai cosa penso di tutti quei palloni gonfiati» replicò
alzando lo sguardo e incrociando gli occhi indagatori dell’amica.
«Quindi vuoi dirmi che anche tu e Travis eravate palloni
gonfiati?»
Quel nome la fece trasalire. Il rapporto con lui era nato come una
semplice amicizia e poi si era trasformato in qualcosa di molto più
profondo, un legame intimo. Avevano formato un binomio perfetto,
almeno fino all’anno passato, prima che quella maledetta guerra lo
portasse via. Ogni notte sognava di passare la mano fra i suoi
morbidi capelli color dell’oro e di affogare nei suoi occhi verdi come
smeraldi, di percorrere con un dito i suoi zigomi decisi e sentire il
suo respiro mentre la teneva stretta nel suo abbraccio. Si attaccava a
quei sogni per non dimenticarlo, per ricordare il profilo del suo viso,
le espressioni che assumeva quando la guardava. Era morto e non
sarebbe tornato mai più, e questo non le dava pace. Qualche volta la
sua mancanza le toglieva il respiro.
«Questo è davvero un colpo basso, Lizzy. Travis non c’entra
niente, almeno non del tutto. Ho chiuso con quella vita e sono stanca
di sentire parlare di aerei e piloti. Voglio una vita normale.»
«Dico solo che la vita che fai non ti appartiene. Non è stata colpa
tua se Travis è morto in quell’incidente aereo.
Devi smetterla di sentirtene responsabile.»
Belle parole, ma inutili. Sarebbe dovuta partire lei con il caccia,
sarebbe dovuta morire lei al posto suo. Non un’altra persona.
E, soprattutto, non Travis.
Presa dallo sconforto, affondò la forchetta nella cioccolata e portò
un pezzo di torta alla bocca. «Se lo dici tu…» Un secondo boccone di
quel ben di Dio le si sciolse sulla lingua e lei proseguì: «Ma resta il
fatto che non mi muoverò da questa università per nessuna ragione
al mondo! Al diavolo la mia specializzazione» bofonchiò.
Sentì la posata di Lizzy sbattere nel piatto, alzò lo sguardo e
incrociò i suoi profondi occhi azzurri. Il sorriso accomodante che si
formò sul viso dell’amica non prometteva nulla di buono, anzi le
ricordò quello del Joker.
«Tu ci andrai o ti ci porterò io a calci nel culo, Josephine
Simmons!»
CAPITOLO DUE
Un colpo al finestrino la fece trasalire. Fuori dall’auto c’era un
ragazzo, a prima vista un suo coetaneo, con tuta mimetica e fucile in
mano, un M16 per la precisione. Le fece segno di abbassare il vetro e
solo in quel momento si rese conto di quanto fossero intorpidite le
sue mani, ancora strette sul volante.
«Merda!» borbottò a bassa voce, chiedendosi per quanto tempo
fosse rimasta lì, ferma immobile, accanto al muro di mattoni grigi
che delineava l’area della base.
«Signorina, qui non può sostare. Questa è una zona militare» la
redarguì brusco il ragazzo.
Come se non lo sapessi.
«Ho un appuntamento con il colonnello Lewis. È tutto scritto…»
iniziò a rovistare nella borsa ed estrasse la lettera che le aveva
consegnato il rettore, porgendola al militare «… qua sopra.»
«Attenda.»
Presa in consegna la missiva, il marine si allontanò per
raggiungere il gabbiotto posto di lato al cancello principale.
«Insegnano di tutto, ma non le buone maniere» bofonchiò irritata.
Eppure fino a undici mesi prima anche lei aveva quello stesso
atteggiamento.
Inflessibile, distaccata, da stronza all’ennesima potenza. Dio,
sembrava passato un secolo. Aveva giurato di non mettere più piede
in una base militare e invece era tornata al punto di partenza. Perché
diamine aveva ascoltato la sua amica? Chi glielo aveva fatto fare?
«Accidenti a te, Lizzy» mugugnò.
Come evocata, ecco il trillo del cellulare. Il display si illuminò
avvisandola dell’arrivo di un messaggio. La sua migliore amica le
aveva scritto.
Dimmi che non ci hai ripensato!
«Come se avessi avuto la possibilità di farlo» commentò,
nemmeno potesse sentirla. Voltò la testa verso il cortile dietro al
cancello dove era sparito il militare e, non vedendolo tornare,
approfittò per digitare in fretta una risposta.
Sono qui e me ne sono già pentita.
Ho incontrato solo un marine e avrei voluto mandarlo a quel
paese dopo due secondi. Quindi direi tutto ok!
Premette INVIO. Tentò di rilassarsi sul sedile aspettando la
risposta che non si fece attendere, stavolta sotto forma di messaggio
vocale.
Per tua informazione sto alzando gli occhi al cielo, sei troppo
nervosa. Rilassati Joe, nessuno farà di te la portata principale della
cena. Non è la prima volta che parli con un tuo superiore e smettila
di fare la bambina.
Fece la linguaccia al display quando questo si illuminò di nuovo
all’arrivo di un altro messaggio.
Il troppo stress ti rende acida.
Hai bisogno di scopare… e tanto!!
Stasera andiamo in missione con abiti succinti. Solito posto. Non
voglio sentire discussioni.
Scoppiò a ridere giocherellando con il portachiavi della sua
Mustang. Ecco chi era Lizzy. La persona più importante che le fosse
rimasta accanto dopo la morte dei suoi genitori. Con le sue sortite
riusciva a raddrizzarle anche la giornata più nera. Alzò lo sguardo
giusto in tempo per notare il militare dalla faccia burbera tornare
verso di lei.
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