Vendere tutto. Jeff Bezos e l’era di Amazon – Brad Stone

SINTESI DEL LIBRO:
Prima di autoproclamarsi libreria più grande del mondo, o
supernegozio leader del Web, Amazon.com era un’idea che
circolava negli uffici newyorkesi di una delle aziende più insolite di
Wall Street: D. E. Shaw & Co.
DESCO, come la chiamavano affettuosamente i dipendenti, era
un hedge fund quantitativo fondato nel 1988 da David E. Shaw, un
ex docente di informatica della Columbia University. Insieme ai
fondatori di altre rivoluzionarie «case dei quanti» dell’epoca, come
Renaissance Technologies e Tudor Investment Corporation, Shaw fu
un pioniere nell’uso dei computer e di sofisticate formule
matematiche per sfruttare le anomalie ricorrenti dei mercati finanziari
globali. Quando, per esempio, il prezzo di un titolo in Europa era
leggermente più alto che negli Stati Uniti, gli informatici di DESCO,
veri e propri guerrieri di Wall Street, programmavano un software in
grado di sfruttare la disparità portando a termine rapidamente le
transazioni.
La comunità finanziaria sapeva ben poco sul conto di D. E. Shaw,
e il suo poliedrico fondatore preferiva che le cose restassero così.
L’azienda cercava di restare sottotraccia, e impiegava i capitali
privati di ricchi investitori, come il miliardario finanziere Donald
Sussman e la famiglia Tisch, per tenere lontani dalle mani dei
competitor i suoi algoritmi di trading proprietari. Shaw era convinto
che se DESCO voleva diventare un’azienda pioniera nelle nuove
frontiere della finanza dovesse tenere nascoste le sue armi,
cercando di non far scoprire ai competitor come usare i computer
per fare affari in borsa.
David Shaw era cresciuto agli albori dell’era dei supercomputer.
Dopo un dottorato in informatica a Stanford, nel 1980, si trasferì a
New York per insegnare nel dipartimento di Informatica della
Columbia. Nei primi anni Ottanta, varie aziende high-tech cercarono
di attirarlo nel settore privato. L’inventore Danny Hillis, fondatore
dell’azienda di supercomputer Thinking Machines Corporation e in
seguito uno degli amici più stretti di Jeff Bezos, riuscì quasi a
convincere Shaw a lavorare per lui progettando computer paralleli.
Sulle prime Shaw accettò, ma poi cambiò idea: disse a Hillis che
voleva fare qualcosa di più redditizio, e poteva sempre tornare a
lavorare con i supercomputer dopo essere diventato ricco. Hillis
ribatté che, se anche Shaw fosse diventato ricco – e sembrava
improbabile – non sarebbe mai tornato all’informatica. (E invece
Shaw ci tornò, dopo essere diventato miliardario, e delegò ad altri la
gestione di D. E. Shaw.) «Mi sono sbagliato di grosso su entrambi i
fronti», ammette oggi Hillis.
Alla fine fu Morgan Stanley a strappare Shaw al mondo
accademico, nel 1986, inserendolo in un prestigioso gruppo che
lavorava sul software di arbitraggio statistico per il nuovo sistema di
trading automatizzato. Ma Shaw aveva voglia di mettersi in proprio.
Nel 1988 lasciò Morgan Stanley e, con un fondo di avviamento da 28
milioni fornito dall’investitore Donald Sussman, aprì bottega nel West
Village, a Manhattan, in un palazzo al cui piano terra aveva sede
una libreria comunista.
Fin dall’inizio D. E. Shaw si presentò come un nuovo tipo di
azienda di Wall Street. Shaw non reclutò esperti di finanza, ma
scienziati e matematici: persone di spiccata intelligenza e dal
background insolito, con prestigiose credenziali accademiche e una
certa goffaggine nei rapporti sociali. Bob Gelfond, che entrò in
DESCO dopo che l’azienda si era trasferita in un loft di Park Avenue
South, racconta: «David voleva applicare alla finanza in modo
scientifico il potere della tecnologia e dei computer; ammirava
Goldman Sachs e voleva costruire un’azienda capace di entrare
nella storia di Wall Street.»
David Shaw era molto esigente con i dipendenti. A più riprese
comunicò che era obbligatorio scrivere il nome dell’azienda con uno
spazio tra la D. e la E. Enunciò inoltre una precisa mission
aziendale: «Lo scambio di azioni, obbligazioni, futures, opzioni e vari
altri strumenti finanziari», da elencare precisamente in quest’ordine.
Il rigore di Shaw si estendeva anche a questioni più concrete:
ciascuno dei suoi informatici poteva suggerire idee per il trading, che
però dovevano essere sottoposte a rigorosi studi scientifici e analisi
statistiche per dimostrare di essere valide.
Nel 1991 D. E. Shaw era in una fase di rapida crescita, e si
trasferì agli ultimi piani di un grattacielo di Midtown a un isolato di
distanza da Times Square. Gli uffici dell’azienda, eleganti ma sobri,
progettati dall’architetto Steven Holl, comprendevano un atrio a due
piani in cui fasci di luce uscivano da fenditure praticate sulle grandi
pareti bianche. Quell’autunno, Shaw organizzò una raccolta di fondi
per il candidato alla presidenza Bill Clinton, con quote di iscrizione
da mille dollari a testa, cui partecipò tra gli altri Jacqueline Onassis.
Ai dipendenti quella sera fu chiesto di lasciare libero l’ufficio. Jeff
Bezos, uno dei vicepresidenti più giovani, se ne andò a giocare a
volley con i colleghi, ma prima si fermò a farsi scattare una foto con il
futuro presidente.
Bezos aveva ventinove anni, era alto un metro e settantatré,
stava già perdendo i capelli e aveva l’aspetto pallido e scarmigliato
di uno stakanovista di natura. Era a Wall Street da sette anni e
impressionava tutti con il suo intelletto vivace e la sconfinata
determinazione. Dopo la laurea a Princeton nel 1986, Bezos aveva
lavorato per due docenti della Columbia in un’azienda di nome Fitel,
che stava sviluppando una rete informatica privata e transatlantica
destinata agli operatori di borsa. Graciela Chichilnisky, cofondatrice
e diretto superiore di Bezos, lo ricorda come un dipendente capace e
pieno di energia, che lavorava instancabilmente e per vari periodi
diresse le attività dell’azienda a Londra e a Tokyo. «Non gli
importava delle opinioni altrui», ricorda Chichilnisky. «Se gli
presentavi un problema teorico interessante, ci rifletteva e lo
risolveva.»
Nel 1988 Bezos si trasferì alla società finanziaria Bankers Trust,
ma a quel punto, irritato dalla riluttanza dell’azienda a mettere in
questione lo status quo, era già alla ricerca di un’occasione per
fondare un’impresa propria. Tra il 1989 e il 1990 lavorò nel tempo
libero a una startup insieme a un giovane dipendente di Merrill Lynch
di nome Halsey Minor, che in seguito avrebbe fondato il network di
notizie online CNET. Il loro progetto, che puntava a inviare via fax
una newsletter personalizzata agli utenti, collassò quando Merrill
Lynch ritirò i finanziamenti promessi. Ma Bezos riuscì comunque a
fare buona impressione. Minor ricorda che Bezos aveva studiato a
fondo la storia di alcuni ricchi industriali, e ammirava in particolare un
uomo di nome Frank Meeks, un imprenditore della Virginia che
aveva fatto una fortuna con le pizzerie in franchising Domino’s.
Stimava anche il pioniere dell’informatica Alan Kay, e citava spesso
una sua frase: «Un punto di vista vale ottanta punti di quoziente
intellettivo». Quell’osservazione gli rammentava che un’ottica
innovativa può stimolare la conoscenza. «Imparava da tutti», ricorda
Minor. «Non penso che Jeff abbia mai conosciuto qualcuno senza
trarne una lezione.»
Bezos era pronto a lasciare Wall Street quando un cacciatore di
teste lo convinse a incontrare i dirigenti di un’altra società finanziaria,
un’azienda dal pedigree insolito. In seguito Bezos avrebbe detto di
aver trovato in David Shaw un’anima gemella: «Una delle poche
persone che io conosca con entrambi gli emisferi del cervello
pienamente sviluppati.»2
In DESCO, Bezos diede prova di molte delle idiosincrasie che i
suoi dipendenti avrebbero in seguito osservato in Amazon. Era
disciplinato e puntiglioso, e si appuntava continuamente le idee su
un quaderno che portava con sé, come se temesse di dimenticarle.
Era sempre pronto a scartare le vecchie idee e ad adottarne di
nuove, allorché si presentavano opzioni migliori. Aveva già lo stesso
entusiasmo infantile e la risata spiazzante che ben presto tutto il
mondo avrebbe conosciuto.
Bezos ragionava in modo analitico su qualsiasi tema, comprese
le interazioni sociali. All’epoca era single, e iniziò a frequentare un
corso di ballo calcolando che quel contesto avrebbe aumentato la
sua esposizione a «n+ donne». Con una dichiarazione rimasta
celebre, ammise di puntare a un incremento del suo «flusso di
donne»:3 un corollario al deal flow, che nel gergo di Wall Street
indica il numero di nuove proposte ricevute da un investitore. Jeff
Holden, che ha lavorato per Bezos prima in D. E. Shaw e poi in
Amazon, lo definisce «la persona più introspettiva che abbia mai
conosciuto. Era molto metodico in ogni aspetto della sua vita.»
In D. E. Shaw non c’era l’atmosfera di formalità tipica di altre
aziende di Wall Street; perlomeno in apparenza era più simile a una
startup della Silicon Valley. I dipendenti indossavano jeans o khaki
anziché giacca e cravatta, e la struttura gerarchica era orizzontale
(benché le informazioni cruciali sulle formule di trading fossero
gelosamente custodite). Bezos sembrava adorare l’idea della
giornata di lavoro non-stop: teneva un sacco a pelo arrotolato in
ufficio e del polistirolo sul davanzale, prevedendo di dover restare a
dormire in ufficio. Nicholas Lovejoy, un collega che poi l’avrebbe
seguito in Amazon, ritiene che il sacco a pelo «servisse più che altro
a fare scena, e venisse usato di rado». Bezos e i colleghi si
frequentavano anche fuori dall’ufficio: giocavano a backgammon o a
bridge fino a tarda notte, di solito per soldi.
Man mano che l’azienda cresceva, David Shaw iniziò a chiedersi
come reclutare nuovi talenti. Non si limitò a matematici e scienziati
ma andò in cerca di quelli che definiva «generalisti»: neolaureati con
il massimo dei voti e particolarmente dotati per certe discipline.
Passò in rassegna anche i ranghi del Programma Fulbright e gli
studenti con la media di voti più alta nei migliori college, e inviò
centinaia di lettere in cui presentava l’azienda e proclamava: «Il
nostro processo di selezione del personale è dichiaratamente
elitario.
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