Una donna può tutto. 1941: volano le Streghe della notte – Ritanna Armeni

SINTESI DEL LIBRO:
Quei maledetti piccoli aerei. Arrivano solo di notte, scendono silenziosi,
lanciano il loro carico di fuoco e tornano rapidi fra le nuvole. In una manciata
di minuti seminano terrore e distruzione. Dal campo hanno provato a
imprigionarli nella rete dei riflettori, ma loro sfuggono alla contraerea.
Quando inizia a sparare è troppo tardi, sono già risaliti in alto, oltre la coltre
di nubi.
Alfred guida un cacciabombardiere Junker ad altissima tecnologia, il
meglio della Luftwaffe. Durante il giorno sfreccia nei cieli e scende in
picchiata con una sirena che fa ancora più paura del crepitio delle
mitragliatrici, del fragore delle bombe, del boato per il crollo degli edifici
colpiti. Ora, dopo una notte insonne, guarda il cielo che lentamente si
rischiara e si accende una sigaretta.
Con l’arrivo della luce, nel campo tornerà la calma, si cureranno i feriti, si
seppelliranno i morti, si valuteranno i danni per poi riprendere i preparativi in
vista della nuova giornata. L’ordine e la disciplina non riusciranno tuttavia a
placare l’inquietudine che si respira da ogni parte. Nessuno sa chi produce
l’inferno di fuoco. Chi lancia quelle bombe? Vengono – Alfred ha fatto in
tempo a vederlo – da aerei piccoli, molto agili, che la contraerea ha difficoltà
a colpire perché silenziosi, che sfuggono ai raggi dei riflettori perché osano
manovre temerarie, virate estreme, zig-zag improvvisi. Che si tratti di un
corpo speciale?
Non sa ancora dare una risposta. Né, a quanto pare, la sanno dare gli alti
vertici. Sono giorni duri; la Wehrmacht vuole avvicinarsi al Caucaso, i soldati
combattono con il fango prima di affrontare, fra qualche settimana, la neve e
il gelo; il terreno si fa ogni giorno più insidioso, i tempi della guerra più
lunghi, gli ordini del comando contraddittori. Credevano di essere diretti al
nord a portare rinforzi alle truppe pronte a entrare a Mosca e a Leningrado. Si
sentivano sul punto di prendere la capitale che neppure Napoleone era
riuscito a farsi consegnare, invece, all’improvviso, è giunta la disposizione di
virare a sud per conquistare gli oleodotti del Caucaso. Devono rifornire il
Paese e l’esercito del petrolio di cui hanno bisogno; ne occorre molto per far
camminare gli automezzi, i carri armati, le navi, gli aerei, i sommergibili.
È andata bene fino a un certo punto, pensa Alfred, mentre butta via il
mozzicone di sigaretta; fino all’estate erano convinti di poter raggiungere
l’obiettivo, ma da un po’ di tempo qualcosa ha cominciato a non funzionare.
Il nemico è in ritirata ma non in rotta. Stalingrado, circondata, colpita,
bombardata, resiste. Raggiungere i pozzi è più difficile del previsto.
Ora si sono aggiunti quei maledetti piccoli aerei. Sono loro che alimentano
un presentimento fastidioso. La fanteria, con le sue pesanti attrezzature, deve
coprire oltre quaranta chilometri al giorno. Quando si fermano, i soldati sono
distrutti e aspettano la notte come una benedizione, per potersi finalmente
sdraiare e chiudere gli occhi qualche ora. Invece, al calare del buio, mentre
cominciano ad assaporare un po’ di quiete, quei piccoli aerei maledetti
piombano dal cielo all’improvviso e lasciano cadere su di loro una bomba
dopo l’altra. Fino all’alba, a ritmo regolare.
Quel che destabilizza le truppe, affaticate dalle lunghe marce, non sono
solo i morti e i feriti provocati dai raid notturni. A turbarli è piuttosto la
sorpresa, l’incertezza, la stanchezza per il mancato sonno, la domanda cui
nessuno è riuscito a dare una risposta: chi provoca quella pioggia di bombe?
Alfred però sa una cosa che altri non sanno e che le alte sfere del comando
hanno voluto tacere. Qualche tempo prima, uno dei piccoli aerei è caduto. A
causa della nebbia, o perché ha perso la rotta, si è schiantato al suolo. Quando
i soldati della Wehrmacht si sono avvicinati, hanno scoperto che
nell’abitacolo c’erano due donne. Morte sul colpo, ancora al posto di guida.
Hanno cercato qualcosa che le identificasse o che facesse capire da dove
venissero e a quale reggimento appartenessero. Non hanno trovato nulla. Chi
guidava doveva aver preso tutte le precauzioni perché niente d’importante
cadesse in mano al nemico. I soldati si sono allontanati, lasciando che quei
corpi fossero seppelliti dai contadini del luogo, poi hanno riferito ai
comandanti.
Possibile che quei biplani, che sembrano giocattoli ma spargono tanto
scompiglio, siano pilotati da donne? Possibile che siano loro a provocare ogni
notte tanto sconquasso? Il comando preferisce non diffondere la notizia; gli
uomini non devono sapere che sono tenuti in scacco da ragazze sovietiche
alla guida di aerei giocattolo. Per loro sarebbe insopportabile. Anche Alfred
fa fatica ad accettarlo. Possibile siano donne? Così brave, abili, precise,
spietate? Così incuranti del pericolo? Arrivano la notte all’improvviso,
seminano il terrore e poi toccano di nuovo il cielo. Misteriose, sfuggenti,
inafferrabili. Sembrano streghe. Nachthexen, streghe della notte.
Volevo conoscere una strega
Volevo conoscere una strega e – mi avevano detto – a Mosca ce n’erano
ancora.
Il primo tentativo era fallito, si era arenato in un gentile e deciso «net».
L’appuntamento era impossibile per motivi banali ma in quel momento
insormontabili: non c’era tempo, le streghe non erano sempre disponibili e
chi doveva organizzare l’incontro era a sua volta molto impegnato.
Avevo capito che era inutile insistere. Il «net» veniva dalla direttrice del
Museo della Grande guerra patriottica (così i russi chiamano la Seconda
guerra mondiale), che non è un museo qualsiasi.
Le immense sale straripanti di memorie, l’esposizione di armi, cannoni,
missili, uniformi, ritratti, manifesti, bandiere, la ricostruzione delle battaglie,
stellette e mostrine nelle teche di cristallo, e poi i volti dei generali, le riprese
delle parate sulla piazza Rossa, ovunque il profilo di Iosif Stalin, non sono lì
solo per rendere omaggio a una storia gloriosa, non esaltano soltanto l’eroica
risposta del popolo russo all’invasione tedesca. In quelle sale si celebra la
Russia di oggi, l’importanza della guerra nel suo destino, la forza del suo
passato che continua a ispirare il suo presente. Un’esposizione imponente,
che fin dalla prima volta mi ha emozionata, impressionata, e a tratti mi ha
lasciata sgomenta.
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