The messenger Terrore al Vaticano – Daniel Silva

SINTESI DEL LIBRO:
Fu Ali Massoudi a strappare senza volerlo Gabriel Allon dal suo
breve e tormentato ritiro: Massoudi, il grande intellettuale e libero
pensatore eurofilo che, in un momento di cieco panico, aveva
dimenticato che gli inglesi guidano sul lato sinistro della strada.
Sfondo della sua morte: Bloombury, una sera tempestosa di
ottobre. Occasione: la sessione finale del primo Forum Politico
annuale per la Pace e la Sicurezza in Palestina, Iraq e Oltre. La
conferenza era stata inaugurata quella mattina presto fra grandi
speranze e fanfare, ma in breve s'era ridotta a somigliare piuttosto
alla mediocre messinscena di una compagnia ambulante. Nemmeno
ai dimostranti, che erano accorsi nella speranza di godere delle
tremule luci della ribalta, sembrò sfuggire che non si faceva che
leggere dal solito vecchio copione. Le effigi del presidente
americano erano state bruciate alle dieci. Il primo ministro israeliano,
invece, era stato dato alle fiamme della purificazione alle undici.
All'ora di pranzo, nel bel mezzo di un diluvio che aveva rapidamente
trasformato Russell Square in uno stagno, si era scatenato un
putiferio a proposito dei diritti delle donne in Arabia Saudita.
Alle otto e mezza di sera, mentre il martelletto segnava la fine del
dibattito conclusivo, le due dozzine di stoici che avevano resistito
fino alla fine sfilarono impassibili verso le uscite. Gli organizzatori
dell'evento non erano molto allettati all'idea di rivedersi il prossimo
autunno.
Un operaio avanzò di soppiatto e rimosse dal podio un cartellone
con la scritta: GAZA È LIBERA - E ADESSO? Il primo oratore della
fila era stato Sayyid, della facoltà di Economia di Londra, difensore
dei kamikaze e apologeta di al-Qaeda. Era seguito l'austero
Chamberlain di Cambridge, che aveva parlato della Palestina e degli
ebrei come se si trattasse ancora di un dilemma degli uomini in
grigio dell'Ufficio Stranieri. Dall'inizio alla fine della discussione,
l'anziano Chamberlain aveva fatto da Barriera di Separazione tra
l'incendiario Sayyid e una povera anima dell'ambasciata israeliana di
nome Rachel, che aveva raccolto urla e fischi di disapprovazione
ogni volta che aveva aperto bocca. Chamberlain aveva anche
tentato di assumere il ruolo del pacificatore mentre Sayyid,
inseguendo Rachel diretta verso la porta, ironizzava sul fatto che i
suoi giorni da colonizzatrice sarebbero presto giunti alla fine.
Ali Massoudi, professore di Governo Globale e Teoria Sociale
all'Università di Brema, era stato l'ultimo ad alzarsi. Niente di cui
stupirsi, come certi suoi malevoli colleghi avrebbero potuto
commentare. Nel mondo incestuoso degli studi mediorientali
Massoudi aveva fama di uno che non abbandona mai la scena di
sua iniziativa.
Palestinese di nascita, cittadino giordano ma europeo per
educazione e istruzione, il professor Massoudi era a tutti noto come
uomo di grande moderazione. Il futuro luminoso dell'Arabia, così lo
chiamavano. Il vero volto del progresso. Era conosciuto per la sua
diffidenza nei confronti della religione in generale e dell'Islam
militante in particolare. Che si trattasse dell'editoriale di un giornale,
di una sala conferenza, o di una trasmissione televisiva, si poteva
star certi che Massoudi non avrebbe perso occasione di lamentarsi
delle disfunzioni interne al mondo arabo. Del fallimento culturale
della sua gente, che non faceva altro che incolpare americani e
sionisti d'ogni problema. Il suo ultimo libro era di fatto un fervido
appello a che si mettesse mano ad una vera riforma islamica. Gli
jihadisti lo avevano denunciato come eretico. I moderati gli
riconoscevano un coraggio pari a quello di Martin Luther King. Quel
pomeriggio aveva argomentato, con grande sgomento di Sayyid, che
era venuto il turno dei palestinesi di mollare la presa. Finché la parte
palestinese fosse rimasta legata alla cultura del terrore, aveva detto
Massoudi, non ci si poteva aspettare che gli israeliani cedessero un
solo centimetro della West Bank. Anzi, non avrebbero dovuto farlo.
Sacrilegio, aveva urlato Sayyid. Apostasia.
Il professor Massoudi era di statura alta, poco più di un metro e
ottanta, e fin troppo bello, in verità, per lavorare a stretto contatto
con giovani donne facilmente impressionabili.
Aveva capelli ricci e scuri, zigomi ampi e imponenti, una profonda
fossetta al centro del mento quadrato. Gli occhi, marroni e piuttosto
incavati, conferivano al suo viso un'aria di profonda e rassicurante
intelligenza. Vestito com'era in quell'occasione, con una giacca
sportiva di cashmere e un maglione girocollo color crema, sembrava
l'archetipo stesso dell'intellettuale europeo. O almeno quella era
l'immagine che si sforzava di trasmettere di sé agli altri.
Di natura misurato anche nei movimenti, Massoudi aveva
sistemato scrupolosamente fogli e penne nella sua valigetta, fedele
compagna di viaggio, poi aveva sceso i gradini del palco e
imboccato il corridoio centrale verso l'uscita.
Diversi membri dell'uditorio si erano fermati nell'atrio. In piedi da
un lato, isola tempestosa in mezzo a un mare altrimenti tranquillo,
c'era una ragazza. Indossava jeans sbiaditi, una giacca di pelle,
intorno al collo una kefiah palestinese a quadri. I capelli neri le
luccicavano come ali di un corvo.
Anche i suoi occhi erano quasi neri, ma brillavano di una luce
diversa. Si chiamava Hamida ai-Tatari. Una rifugiata, come lei stessa
si era definita. Nata ad Hamman, cresciuta ad Amburgo, aveva
acquisito la cittadinanza canadese e ora risiedeva nella zona nord di
Londra. Massoudi l'aveva conosciuta quel pomeriggio a un
ricevimento nel college. Durante il caffè la giovane lo aveva
accusato, piena di fervore, di non indignarsi abbastanza di fronte ai
crimini di americani ed ebrei. A Massoudi era piaciuta. Avevano
stabilito di andare a bere qualcosa insieme quella sera, nel wine bar
vicino al teatro di Sloane Square. Le intenzioni dell'uomo non erano
però di tipo romantico. Non desiderava il corpo di Hamida, bensì il
suo zelo e la sua faccia pulita. L'inglese perfetto e il passaporto
canadese. La ragazza gli lanciò un'occhiata furtiva quando
attraversò l'atrio, ma non tentò nemmeno di parlargli. Tieni le
distanze dopo il simposio, l'aveva istruita lui quel pomeriggio.
Un uomo nella mia posizione deve prestare attenzione alle
persone con cui si fa vedere. Fuori si riparò un istante sotto il portico
e osservò il traffico che avanzava lento lungo la strada bagnata.
Sentì qualcuno sfiorargli il gomito, poi vide Hamida che si
immergeva silenziosa nel nubifragio. Aspettò che si fosse
allontanata, si mise la valigetta in spalla e si incamminò in direzione
opposta, verso il suo hotel di Russell Square.
A quel punto, Ali Massoudi cambiò. Cambiò come sempre gli
succedeva passando dall'una all'altra delle sue vite. Il polso
accelerava, i sensi si acuivano, all'improvviso anche il più piccolo
dettaglio diventava importante.
Per esempio, quel giovane quasi calvo che gli veniva incontro
riparandosi sotto un ombrello, il cui sguardo sembrò indugiare su di
lui un istante di troppo. O il giornalaio che lo fissò sfacciatamente
negli occhi mentre comprava una copia dell'"Evening Standard". O il
tassista che lo guardò gettare, trenta secondi dopo, quello stesso
giornale dentro un secchio della spazzatura di Upper Woburn Place.
Uno dei tipici autobus londinesi gli passò accanto. Mentre il
mezzo procedeva sobbalzando nel traffico, Massoudi vi scrutò
dentro attraverso i finestrini annebbiati e vide una dozzina di visi
dall'aspetto stanco, quasi tutti neri o comunque scuri di pelle. I nuovi
londinesi, pensò, e per un momento il professore di Governo Globale
prese a riflettere sulle possibili implicazioni della cosa. Quanti
simpatizzavano, segretamente, con la sua causa? Quanti, se gli
avesse messo davanti un contratto di morte, avrebbero apposto la
loro firma sopra la linea tratteggiata? Sulla scia dell'autobus,
dall'altra parte della strada, un solo passante: giacca impermeabile,
capelli legati in una coda ispida, due linee dritte come sopracciglia.
Massoudi lo riconobbe all'istante. Quel giovane era stato alla
conferenza, sedeva nella stessa fila di Hamida, ma sul lato opposto
dell'auditorium. Lo aveva visto occupare lo stesso posto anche la
mattina, quando la sua era stata l'unica voce di dissenso durante
una discussione di gruppo sul vantaggio di interdire gli accademici
israeliani dai Paesi europei.
Massoudi abbassò lo sguardo e continuò a camminare, mentre
con la mano sinistra toccava inconsapevolmente la cinghia della
valigetta che portava in spalla. Lo stavano seguendo? Se sì, chi era?
L'MI5 era la spiegazione più probabile.
La più probabile, ricordò a se stesso, ma non certo l'unica. Forse
la BND tedesca l'aveva seguito a Londra da Brema. O forse era
sotto la sorveglianza della CIA.
Ma fu la quarta possibilità a far sobbalzare all'improvviso il cuore
di Massoudi. E se quell'uomo non fosse stato né inglese né tedesco
e neanche americano? Se invece avesse lavorato per uno di quei
servizi segreti del tutto privi di scrupoli quando si tratta di far fuori un
nemico, fosse anche per le strade di una capitale straniera? Servizi
segreti che di solito usano le donne come esche. Pensò a ciò che
Hamida gli aveva detto quel pomeriggio.
«Sono cresciuta a Toronto, soprattutto».
«E prima?».
«Amman quando ero molto piccola. Poi un anno ad Amburgo.
Sono una palestinese, professore. Come casa ho una valigia».
Massoudi svoltò di colpo su Woburn Place, nel viluppo di stradine
secondarie di St. Paneras. Fece qualche passo e poi rallentò, si
guardò dietro le spalle. L'uomo in impermeabile aveva attraversato
la strada e lo stava seguendo.
Accelerò il passo, fece un po' di svolte a destra e a sinistra.
Una schiera di casette, un palazzo con tanti appartamenti, una
piazza vuota ricoperta di foglie secche. Massoudi però era cieco a
tutto. Stava solo cercando di orientarsi.
Conosceva abbastanza bene le vie principali di Londra, ma le
stradine interne erano per lui un mistero. Gettò all'aria tutte le
astuzie dello spionaggio e continuò a guardarsi costantemente alle
spalle. A ogni occhiata gli sembrava che l'uomo si fosse avvicinato di
uno o due passi.
Arrivò a un incrocio, guardò a sinistra e vide il traffico sfrecciare
lungo Euston Road. Sul lato opposto, lo sapeva, c'erano le stazioni
di King Cross e St. Paneras. Quindi girò in quella direzione. Pochi
secondi dopo, guardò di nuovo dietro di sé. L'uomo aveva svoltato
l'angolo e gli stava alle calcagna.
Allora, cominciò a correre. Non era mai stato un grande atleta, e
anni di carriera accademica lo avevano privato di una buona forma
fisica. Il peso del computer portatile nella valigetta gli faceva da
ancora. A ogni passo la custodia gli sbatteva contro un fianco. Cercò
di fermarla con il gomito mentre con l'altra mano teneva la cinghia,
ma questo dava al suo passo un goffo ritmo galoppante che lo
rallentava ancor di più. Considerò perfino l'idea di liberarsene, ma
no. A quel pensiero finì per stringerla con più forza di prima. Il suo
portatile, se fosse finito in mani sbagliate, sarebbe stato un tesoro
d'informazioni. L'organigramma completo del suo gruppo, e poi
ancora fotografie di sorveglianza, canali di comunicazione, conti
bancari.
A uno stop di Euston Road si fermò. Vide ancora il suo
inseguitore che gli arrancava dietro, ostinatamente, con le mani in
tasca e lo sguardo rivolto in basso. Guardò a sinistra, la strada gli
apparve deserta e scese dal marciapiede.
Il gemito del clacson del camion fu l'ultimo suono che Ali
Massoudi udì. L'impatto gli strappò la valigetta, che prese il volo,
roteò più volte sospesa in aria e poi, con un potente tonfo, piombò
sul selciato. All'uomo in impermeabile fu sufficiente rallentare un
poco l'andatura, appena il tempo di piegarsi e afferrare la cinghia.
Quindi, se la fece scivolare con destrezza sulla spalla, attraversò
Euston Road, e seguì i pendolari della sera nella stazione di King's
Cross.
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