Terzo tempo per due – Miriam Tocci

SINTESI DEL LIBRO:
Appuntamento all’agriturismo di Serena!»
La voce tuonante di Marco Sarti risuonò nel pullman della Nazionale di
rugby.
«Certo, come se non andassimo tutti insieme» lo schernì Mario Todini
passandogli accanto, seguito dai suoi due amici per la pelle, James Russo e
Francesco Riva.
«Lo sai Sarti, sei davvero un tipo sveglio» rincarò James assestandogli
una sonora manata sulla schiena.
«Ehi! Vacci piano, Russo, o avrò bisogno di un fisioterapista.»
«Basta che non sia la mia Nina.»
«Stavo pensando proprio a lei, invece.»
«Bada, Sarti: già una volta hai rischiato grosso mentre ti facevi fare un
massaggio dalla mia donna.»
«Davvero?» Sulla faccia di Marco, che in campo giocava negli avanti
con il ruolo di Flanker, o terza ala, spuntò un sorriso diabolico che mandò
James in bestia. All’istante.
«Teste calde» borbottò Francesco Riva, una montagna di muscoli
dall’espressione imperturbabile, in risposta alla scazzottata che aveva
appena preso vita nel corridoio fra le due file di sedili.
La storia era nota. Alcuni mesi prima l’amico James, il donnaiolo del
terzetto, fermato da un infortunio, aveva finalmente messo la testa a posto
trovando l’amore con Anna Martini, Nina, che era riuscita ad alleviare le
sue sofferenze fisiche e a portare in alto il suo cuore.
Lei e sua figlia Laura, una vivace bambina di sei anni innamorata delle
favole, avevano cambiato il suo mondo; così era diventato molto protettivo
nei loro confronti. E geloso. In maniera irritante.
Francesco scosse la testa.
In vista dei Mondiali, a fine giugno la Nazionale di rugby si era riunita a
Roma e quella presso l’agriturismo di Serena, la compagna di Francesco
Riva, era diventata una tappa fissa.
I ragazzi si sentivano ormai di casa in quel posto pieno di ricordi che
sapeva di famiglia, e nessuno di loro avrebbe rinunciato alla cucina del caro
Giorgio, lo chef, e della dolce Stella, suo braccio destro, a volte anche
sinistro, per suggellare la buona riuscita di una serata fra amici.
L’entusiasmo era alle stelle, a tratti riusciva a eclissare il nervosismo per
la prova internazionale cui stavano per partecipare; pochi giorni di riposo
fra una sessione e l’altra di allenamenti, poi la Nazionale sarebbe scesa in
campo combattiva e agguerrita come sempre, più che mai con l’intenzione
di vincere la Rugby World Cup.
Francesco si fece spazio fra Marco e James dividendoli a spintoni, quindi
scelse di andare a sedersi accanto a Mario che si era messo vicino al
finestrino. Un gomito appoggiato al bracciolo e le dita della mano che
grattavano la barba ricresciuta sul mento, tutto intento a rimirare il
paesaggio all’esterno.
O forse no.
«Ci sei?» gli chiese Francesco notando il suo sguardo perso chissà dove.
Il compagno sorrise quando i reciproci sguardi si incontrarono.
Francesco, nonostante la mole mastodontica, era riuscito a pronunciare
quelle due parole con gentilezza infinita.
«Ci sono.»
«Hai deciso di farti crescere il pizzetto?»
Mario rise, smettendo di raschiare i polpastrelli sulle guance.
«Può essere un’idea. Resterei comunque il più affascinante della
squadra.»
«Attento, James ha le antenne lunghe. Ti sentirà e verrà qui per dirti in
faccia che è lui il più figo. Sai com’è fatto.»
«Dio ce ne scampi.» Il tono di Mario non era neanche lontanamente
allegro, mentre rispondeva.
Subito dopo il suo sguardo tornò a perdersi nel vuoto, non una parola
sull’allenamento, il club o qualcosa di personale come succedeva di solito
in momenti come quello. Mario se ne stava così, muto, perso nei suoi
dilemmi.
Facile immaginare il motivo di quel muso lungo, si disse Francesco. Di
sicuro si trattava di Benedetta, Betta, con la quale aveva condiviso un lungo
fidanzamento e che ora era diventata la sua ex.
Era convinto che il suo amico avesse superato la fase più dura e
fastidiosa della rottura con lei, ma quel comportamento raccontava ben
altro.
«Nasconderti dietro un dito non ti servirà. Scusami se te lo dico.»
«Come?» Mario si voltò distrattamente verso di lui.
«Sai di cosa sto parlando. Devi voler voltare pagina, e non lo stai
facendo.»
Seguì un silenzio abbastanza lungo, al punto che Francesco cominciò a
domandarsi se Mario avesse capito le sue parole o stesse cercando una
maniera educata per mandarlo al diavolo.
«Sarebbe più semplice se si potesse eliminare ogni contatto e
dimenticare» rispose invece. Nella voce c’era una nota di malinconia.
«Mario, tu sai bene che non puoi dimenticare. Betta è stata la tua donna
per troppo tempo, avete condiviso molto insieme e non esiste una gomma
da cancellare che vada così in profondità. Vedrai, passerà questo momento e
tornerai la testa di legno di sempre» ridacchiò Francesco sull’ultima frase,
per sdrammatizzare.
Mario curvò appena un lato della bocca. «L’ironia è che sono proprio le
cose che abbiamo condiviso a tornare alla carica, nonostante le allontani.»
«Che vuoi dire?»
«Ora si è messa in testa che vuole lei il cane.»
«Fully? Ma come, se è la tua ombra?»
«Tre telefonate in cinque giorni per parlare di questo. Benedetta sostiene
che con la mia professione non posso occuparmene in maniera costante e lei
non vuole tenerla a pensione quando mi pare e piace.» Fece una pausa, e
sbuffò. «Come se le avessi chiesto qualcosa, poi. Prima Fully rimaneva con
lei perché vivevamo insieme. Sono io il padrone del cane, chi la tiene
quando non ci sono non la riguarda, non più.»
«Continua a chiamarti tanto spesso?»
«Puntuale come la morte. Sembra che fiuti i miei momenti di relax, ed è
lì pronta a colpire.»
«Non ha senso.»
«Devi sentire cosa riesce a inventarsi. Da non credere.»
«E la casa?»
«Era mia, la sto mettendo in vendita. Betta ha già ricomprato a Siena da
mesi. Vedi, Fra, io non sto così per nostalgia di lei o della nostra storia. Io
sono incazzato a morte, soprattutto con me.»
«Ma cosa è successo, perché tanto astio?»
«Pensavo di conoscerla meglio di chiunque altro, invece mi sono
ritrovato davanti un’altra persona. Finta, bugiarda. Come ho fatto?»
Francesco cambiò posizione sul sedile, inquieto. Davvero non riusciva a
immaginare cosa potesse provare il suo amico Mario, la disillusione, il
senso di vuoto.
Pensò a Serena, a quanto aveva sofferto nel realizzare che l’ex marito,
oltre a essere un bastardo violento, era una persona completamente diversa
da quella che credeva di amare.
L’autista del pullman svoltò imboccando il viale alberato che portava
all’agriturismo della sua compagna, una donna che, nonostante le batoste
della vita, era riuscita a trasformare il dolore in energia nuova, positiva e
contagiosa.
«Resterai con noi nei prossimi giorni?» chiese a Mario sulla scia di quei
pensieri, convinto che un po’ di distrazione potesse fargli solo bene.
«Non lo so, non voglio seccarvi con i miei alti e bassi. E poi ho dei
casini da risolvere, prima di cominciare con i ritiri.»
«Come vuoi, ma ricorda che un posto per Fully c’è sempre, da noi.
Barbina sarà felice di riavere accanto la sua “cucciola” e pure il resto della
combriccola canina.»
«Magari fosse solo per la cagnolina, ma lo terrò presente, Fra.»
Appena scesero, James si avvicinò a Francesco e gli posò una mano su
una spalla per fargli segno di restare in disparte.
«Tutto okay? Ti ho visto parlare fitto con Mario, avevate delle facce
scure...»
«Ci sono altre questioni con Betta. Sembra che lo chiami continuamente
e che ora si sia impuntata sull’affido del cane, credo per fargli dispetto. Ma
Mario non me la racconta giusta, James, c’è dell’altro e non vuole parlarne.
È troppo amareggiato, troppo arrabbiato.»
«Dio santo, come sono arrivati a questo? Erano “la coppia”, capisci? Io il
farfallone, tu l’ossessionato dal campo...»
Francesco lo inchiodò con i suoi occhi grigi come piombo: «Io non sono
mai stato “ossessionato” da un bel niente, Farfallone».
James alzò un sopracciglio con un sorrisetto di scherno sulle labbra.
«Ah, no? Devo giocare, ho i miei impegni, non ho tempo per le storie
serie: parole tue, mica mie, prima che arrivasse Serena.»
Francesco finse di non raccogliere.
«Insomma “la coppia” è scoppiata. Era un bluff. Per questo lui ne sta
soffrendo» concluse.
James volse lo sguardo in direzione dell’amico Mario che, con la sacca
in spalla, si stava accovacciando per dispensare coccole silenziose alla sua
cagnolina Fully, alla madre Barbina e a Pompeo, il pastore tedesco di
Serena.
«Non sembra neppure lo stesso: è taciturno. Spento.»
Francesco annuì desolato.
«Che ha detto, Fra, resterà qui con noi?»
«Geeeisss!» li interruppe Laura, la figlia di Nina, attraversando il cortile
di corsa con le braccia aperte e un sorriso a trentadue denti.
«Piccoletta!» esclamò James prendendola al volo, ricoprendola di baci e
facendola ridere. «La mamma dov’è?»
«Ti aspetta dentro con Serena e Stella, abbiamo fatto i muffins al
cioccolato con sopra le Smarties» rispose entusiasta, «solo che Hooker ne
ha mangiati due mentre non guardavamo.»
«Brutto cagnaccio, ora sì che mi sente. Come hai osato, Hook?» inveì
James facendo finta di rincorrere il suo cane che, felice come una Pasqua, si
chinava sulle zampe anteriori incitando il padrone a giocare.
Francesco si gustò il quadretto, raggiungendo l’amico mentre faceva
scendere dal suo ampio abbraccio la bimba che ormai considerava una
figlia.
Quante cose erano cambiate in meno di due anni, pensò.
«E bravo paparino» disse, fiero di James.
«Quella bambolina mi fa impazzire, quasi più della madre.»
«Di sicuro è una bella lotta per te» commentò Francesco. «Non oso
immaginare come possa essere, vedere le espressioni della donna che ami
sul viso di una bambina così adorabile.»
«Già. Un’esperienza tutta da provare. Per me Laura è mia, anche se non
abbiamo lo stesso sangue.»
«Non serve il sangue per creare certi legami.»
James socchiuse gli occhi e guardò Francesco con sospetto.
«Vuoi sposarla?»
«Eh? Che dici?»
«Vuoi sposare Serena e mettere su famiglia con lei, non è così?»
Francesco si schiarì la voce evitando di guardarlo in faccia. «Prima o
poi» bofonchiò.
«Balle! Tu muori dalla voglia.»
«Ah, ma chiudi quella boccaccia James.»
«Non negare, fatica sprecata.»
«Ora ci sono altre priorità: la Rugby World Cup, i progetti di Serena.
Calmate le acque si vedrà. E poi dobbiamo dare una raddrizzata a Mario, mi
piange il cuore vederlo in questo stato.»
«Già. Allora che ti ha detto, si fermerà?»
«Credo proprio di no.»
«Perché? Deve distrarsi, non può restare fisso su Betta, cacchio.
Impazzirà.»
«Pensaci: io con Serena, tu con Nina e la piccola Laura. Per Mario non
siamo certo un bello specchio su cui vedersi riflesso, in questo momento.»
«Giusto. Io, tu e le ragazze non siamo d’aiuto, ma che possiamo fare
allora?»
«Stiamogli vicino e assecondiamolo, per adesso è l’unica cosa.»
Il telefono continuava a squillare nonostante fosse passata la mezzanotte,
ma lui non aveva alcuna voglia di rispondere. Per fare cosa, poi?
Per sentire gli stessi toni nevrastenici che lo tormentavano da mesi, ogni
volta che parlava con Benedetta? Per essere travolto dai suoi piagnistei da
ragazzina viziata, ora che aveva buttato alle ortiche la maschera
mostrandosi per quella che era, e che era sempre stata?
Mario scolò la quarta Ceres. Anzi, a pensarci bene doveva essere la
quinta.
Lì sulla veranda dell’agriturismo di Serena, mentre gli amici ridevano e
scherzavano rilassati nella sala ristorante, lui si stava rodendo l’anima in
uno dei tanti momenti di autocommiserazione.
Non riusciva a perdonarsi di aver riposto tanto male le sue aspettative,
consegnando il cuore e le chiavi del suo futuro nelle mani di una persona
che non meritava niente di niente. Tantomeno il suo amore.
Ma era stato davvero “amore”?
Non faceva che chiederselo, forse nella speranza che qualcuno o
qualcosa dentro di sé potesse dargli la risposta. Una risposta sicura al cento
per cento, che lo liberasse per sempre da quel peso.
«Sei qui, Lupo Solitario. Perché non vieni dentro a spassartela un po’
con noi?» disse James facendo capolino dalla porta finestra.
«Nah, me ne vado a letto. Sono stanco morto» rispose Mario lottando
contro l’equilibrio che non aveva più, mentre si scostava dalla ringhiera di
legno.
James scattò in avanti impedendogli di cadere e il suo sguardo si posò
sullo schermo del cellulare ancora illuminato, dove il nome di Benedetta e
una bella foto che la ritraeva insieme a Mario scomparvero pian piano.
«Non sei stanco, sei completamente ubriaco. Bella roba, Campione»
commentò James passandosi il braccio dell’amico dietro al collo per tirarlo
su in piedi. «Adesso entriamo dalla porta sul retro, se ti becca l’allenatore
sei fritto.»
«Sono fritto comunque» biascicò Mario.
«Ah, ma finiscila. Per una femmina? Ne trovi quante ne vuoi, comincia a
eliminare qualche foto dal telefonino, intanto. Così, per esercizio.»
«Le ho cancellate tutte.»
«Tutte tranne una.»
«Sono uno stronzo.»
«Sì che lo sei: non ci si prende una sbronza di queste dimensioni senza
avvertire gli amici. Ora ci hai fregati, vincerai tu quando racconteremo delle
nostre ubriacature da Guinnes dei primati.»
«No, sono uno stronzo illuso.»
James non disse più nulla. Raggiunse la camera di Mario portandolo
quasi in spalla e lo aiutò mentre svuotava la testa e lo stomaco dagli eccessi
prodotti dal suo cattivo umore.
«Adesso mettiti a letto.» Lo aiutò a stendersi. «Sei pronto per un mal di
testa di proporzioni epiche che ti farà compagnia fino a domani? Sta per
arrivare, amico mio, è sul tuo binario.»
Mario abbozzò un sorriso.
«Che rifiuto umano. Sono proprio patetico.»
«Ma no, hai preso una batosta, tutto qui. Però credimi: non era Benedetta
la donna della tua vita, puoi giurarci.»
«E tu che ne sai, Mephistopheles?» mormorò Mario in risposta.
James si sedette sul letto, vicino a lui.
«La donna della tua vita ti fa stare bene, sempre, anche quando non
investiresti un centesimo bucato sul futuro di una storia con lei.»
«Io avevo investito tutto sul nostro futuro. Sono stato cieco e lei
bugiarda.»
«Ulteriore conferma che quella non era la donna giusta. Te ne accorgerai,
lo saprai quando te la ritroverai davanti, e succederà quando meno te lo
aspetti, non importa cosa hai programmato: il destino si diverte con quel
pennuto di Cupido» gesticolò. «Dammi retta, zuccone, scommetti che è
così?
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