Su nella stanza di Honey – Elmore Leonard

SINTESI DEL LIBRO:
Honey telefonò a sua cognata Muriel, che viveva ancora nella Harlan
County, Kentucky, per dirle che aveva mollato Walter Schoen, anzi Valter, e
che era ormai a buon punto per trasformarsi di nuovo in Honey Deal. - Sul
serio, ero sicura di poterlo rivoltare come un calzino, ma quello si comporta
ancora da nazista. Non c'è stato verso di smuoverlo.
- E tu l'hai piantato così, in questo modo? - disse Muriel.
- In kvesto modo, - disse Honey. - Libera come un fringuello. E la sai una
cosa? Almeno non devo più riprendere il colore ogni due settimane. Pensa
com'ero stupida. Ho passato un anno intero a cercare di convincerlo che ero
una bionda naturale.
- E non poteva accorgersene in qualche altra maniera?
- Quando gli prendeva la fregola, a Walter, prima di togliersi il pigiama
spegneva sempre la luce. Da quanto era pelle e ossa si vergognava di quelle
costole sporgenti, così lo facevamo sempre al buio più completo. Diceva che
il cibo americano gli riempiva lo stomaco di gas. M'è toccato imparare a
cucinare alla tedesca, certi pranzi micidiali da quant'erano pesanti,
sauerbraten con cavolo rosso, bratwurst. Per la prima volta in vita mia ho
dovuto stare attenta alla linea, ma lui non ha messo su un etto. Continuava a
scoreggiare come un dannato, solo che adesso gli andava bene perché erano
scoregge tedesche. Ogni volta che ne sparava una, mi puntava contro un dito,
capisci, neanche fosse una pistola. E io a fingere che mi aveva colpito.
- E magari anche cadere, eh?
- Se ero nei pressi del divano, certo. O barcollare qua e là per la stanza,
aggrappandomi a quel che c'era sottomano. La prima volta è stata una mia
idea, così tanto per scherzare. Ma da allora, ogni volta che ne sparava una e io
ero a tiro d'orecchio, mi toccava fingere in quel modo.
- Bello spasso, col tuo maritino.
- Solo che lui neanche sorrideva, figuriamoci mettersi a ridere. E quando
mi prendeva di mira… - Honey lasciò la frase a mezz'aria. - Dimmi un po'
come se la passa mio fratello. Lavora?
- Darcy? È tornato in galera. L'hanno coinvolto in una rissa che non è stato
lui a cominciare. Giura e spergiura. Comunque ha fracassato la mascella al
suo caposquadra, e questo è bastato a togliergli la libertà vigilata. Così adesso
deve scontare tutta quanta la vecchia pena, quella per distillazione
clandestina, e in più ha anche 'sta faccenda dell'aggressione. L'hanno messo
nelle cucine a fare il macellaio e gli danno cinque centesimi l'ora, mentre a
me tocca campare con le mance. - Mise su una voce imbronciata. - «Cosa mi
tocca fare, ragazzi, per farvi ordinare un altro giro». E tutti 'sti fenomeni pieni
di polvere di carbone che non fanno altro che dirmi: «Ehi, bellezza, perché
non ci mostri la mercanzia?» Io spalanco gli occhi e cerco di fare la
disinvolta, e mi becco più o meno un dollaro e mezzo. Però, scusa, volevo
sapere come te la passi tu. Com'è, Walter ti ha riempito di botte e ti sei
finalmente decisa, o cosa? Quanto siete stati sposati, un anno?
- Un anno esatto, proprio il giorno che me ne sono andata, - disse Honey. -
Il 9 novembre. Gli porto un piatto di Limburger e un po' di cracker, visto che
lui non lo tocca, il formaggio americano. «Non è che ti sei ricordato che
giorno è oggi?», gli dico. Lui è lì che ascolta il notiziario alla radio, l'armata
tedesca che sbaraglia la Polonia come un lassativo preso a stomaco vuoto. La
prossima è la Francia, e l'Inghilterra è lì che si prepara. Così glielo chiedo di
nuovo: «Walter, non è che ti ricordi che anniversario cade il 9 novembre?»
Insomma, neanche gli avessi acceso una lampadina in testa. «Quello del
Blutzeuge», mi fa, «razza di idiota». Il Giorno del Sangue. Si riferisce a
quando Hitler ha tentato di prendere il potere nel 1923 e gli è andata buca, la
volta che è finito in galera. Ma quel giorno, il 9 novembre, è diventato sacro
per i nazisti. Per questo si era voluto sposare proprio allora. Il Giorno del
Sangue. Solo che lui l'aveva ribattezzata La Notte del Sangue, visto che era la
prima volta che andavamo a letto assieme. Io gli avevo fatto credere di essere
ancora vergine, t'immagini, a venticinque anni. Lui mi era montato sopra, una
vera e propria Blitzkrieg. Sarà durata massimo un minuto, dall'inizio alla fine.
Mi avesse almeno chiesto se stavo bene, o dato un'occhiata alle lenzuola. Era
arrivato in fondo, e tanto bastava. Va be', comunque me ne sto lì accanto alla
radio, col suo piatto di formaggio e cracker, e gli faccio: «Che sciocca che
sono, a pensare che ti eri ricordato del nostro anniversario». Lui neanche alza
la testa per guardarmi e mi fa un gesto con la mano come a dirmi di togliermi
dai piedi, di smetterla di rompergli le scatole. Ho colto la palla al balzo e l'ho
piantato per sempre.
- E neanche gliel'hai fracassato in testa, quel piatto? - disse Muriel.
- Ci ho pensato, sì, ma poi sono salita di sopra e gli ho fregato
milleduecento dollari, metà dei soldi che teneva nascosti nello sgabuzzino
della camera da letto. Mica lo sapeva che lo sapevo anch'io.
- E ti sta cercando?
- Perché mai? Perché gli manco? Perché ce la spassavamo alla grande?
Poi raccontò a Muriel che adesso, visto che non doveva più mandare avanti
la casa per il Kaiser, si era trovata un appartamento a Highland Park ed era
tornata da J. L. Hudson a fare quello che definiva «lavoro di tette», ovvero
sistemare i reggiseni delle donnone straniere che venivano lì a lavorare. - Con
certe di quelle bisogna trattenere il respiro, da quanto puzzano, o si rischia di
perdere i sensi. - Perché non vieni a Detroit a stare un po' da me, disse a
Muriel, a trovarti un lavoro come si deve mentre Darcy finisce di scontare la
sua pena? - E doveva anche chiederle di sua madre. - Lei, invece, come se la
passa a casa?
- Secondo me, neanche si rende conto di dove sta, disse Muriel. - Quando
entro e le dò un bacio, mi guarda con quest'aria attonita… E davvero triste,
'sta cosa. Mica è così vecchia, tua madre.
- Sicura che non finge, che non sta lì a piangersi addosso? Ti ricordi di
quando sono venuta a chiederle di trasferirsi da me? Cos'è che mi ha
risposto? «Figurati, è troppo freddo lassù al Nord». Aveva paura di scivolare
sul ghiaccio e magari rompersi un'anca.
- L'altra sera, - disse Muriel, - hanno fatto vedere un film con Errol Flynn e
tua madre è andata tutta su di giri perché l'ha scambiato per Darcy -. Mutò
tono di voce, adesso molto lento e placido, imitando la madre di Honey. -
«Cos'è che ci fa, Darcy, sul cinematografo? Com'è che adesso si è fatto
crescere i baffi?» Ma ogni volta che lui veniva a trovarla, l'unico suo figlio
maschio ancora in vita, tua madre non lo riconosceva neanche per sbaglio.
Quando gliel'ho raccontato, a Darcy, che l'aveva scambiato per Errol Flynn,
lui mi ha detto: «Sì, e allora?» Tipo: «Sai che novità». Già ne era convinto
prima, di essere il sosia di Errol Flynn, a parte i baffi. Quanto ci scommetti
che adesso che è in galera se li sta facendo crescere, eh? Ma tu ce la vedi una
somiglianza, tra Darcy ed Errol Flynn?
- Un po', forse, - disse Honey, e le tornò in mente che Walter Schoen le
aveva fatto la stessa domanda il primo giorno che si erano incontrati, vale a
dire se le ricordava qualcuno. Mentre Muriel era già passata a dirle che
doveva prepararsi per andare al lavoro, cotonarsi i capelli e imbottire il
reggiseno. - Ci sentiamo presto, - disse Honey.
Tutto questo nel novembre 1939.
Rimise a posto la cornetta pensando ancora al Walter di un anno prima,
che la aspettava davanti alla cattedrale del Santissimo Sacramento. Lei che
stava uscendo dalla messa delle undici. Lui che acquistava «Social Justice»
da un ragazzino coi giornali in una sacca a tracolla, lui che si voltava e la
vedeva arrivare, che restava immobile tra la gente che gli passava accanto,
che si decideva a muoversi per tagliarle la strada e lei che gli si fermava
davanti. Si era messo a fissarla, togliendosi finalmente il cappello.
- Il suo nome è Honey Deal, sì?
- Già… - rispose lei, senza avere la minima idea di cosa volesse quel tipo.
Lui le prese la mano e si presentò, Valter Schoen, con quell'accento e un
lievissimo inchino e, almeno così parve a Honey, sbattendo i tacchi, anche se
non era proprio sicura.
- Scorsa domenica, - disse Walter, - io la ho osservata parlare con una
donna che so essere di Germania e ho chiesto a lei il suo nome. Mi ha
risposto Honey Deal. Che tipo di nome è Honey? le ho detto io. Potrebbe
essere nordica, con quei capelli biondi.
- Sono di origine tedesca, - disse Honey, - ma nata e cresciuta nella Harlan
County, Kentucky.
Rimasero a guardarsi, Walter Schoen che portava degli occhialetti rotondi
a pince-nez, capelli rasati dalle parti e pettinati piatti sul cocuzzolo. A Honey
parve un taglio da esercito tedesco, a giudicare dalle foto di Adolf Hitler e
della sua banda che aveva visto su «Life». E Walter sembrava proprio uno di
quelli. Lui si rimise il cappello in testa, toccandone la tesa con i palmi delle
mani così da inclinarla verso l'alto da una parte e verso il basso dall'altra.
Come vederlo davanti a uno specchio, intento a scegliere il look migliore:
Walter Schoen in un completo a quattro bottoni, quasi certamente di sartoria,
nero e ben aderente al suo fisico ossuto; lui che la guardava come a voler
prendere una decisione sul suo conto, col giornale che aveva appena
comprato dal ragazzo, «Social Justice», piegato sottobraccio.
- Devo confessare a lei, - disse Walter, - che ormai sono settimane che ogni
domenica passo tutta la messa a fissare suoi capelli d'oro -. Pareva serio, per
come annuiva, e lei stava quasi per dire «I miei capelli?» Ma lui le stava già
raccontando che i capelli biondi non è che si vedono così spesso. - Naturali,
intendo, eccetto che nei Paesi nordici e ovviamente in Germania -. Honey si
toccò il cappellino che aveva in testa, tondo e piatto e a tesa rigida, che
ancora le copriva le radici scure, mentre Walter continuava: - Io conoscevo
una famiglia dal nome Diehl, a Monaco.
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