Skin Trade: Un’avventura di Anita Blake – Laurell K. Hamilton

SINTESI DEL LIBRO:
Ho indagato su parecchi serial killer, ma nessun assassino mi
aveva mai spedito per posta una testa umana. Era una novità.
La testa, avvolta in un sacchetto di plastica, aveva un aspetto
spettrale. Era sul sottomano della mia scrivania, come centinaia di
altri pacchi consegnati alla Animators Inc., il cui motto è «Dove i vivi
resuscitano i morti per mortale profitto». La testa era imballata nel
ghiaccio. Sembrava che fosse stato un impiegato postale a
provvedere, e forse era proprio così, perché i vampiri sanno essere
molto persuasivi e il pacco era stato spedito appunto da un vampiro
di nome Vittorio, con una lettera di accompagnamento e il mio nome
scritto in bella calligrafia sulla busta: Anita Blake. Voleva farmi
sapere a chi dovevo essere grata per quella sorpresina. Lui e i suoi
seguaci avevano massacrato più di dieci persone soltanto a St.
Louis prima di trasferirsi in località sconosciuta. Be’, forse non era
più sconosciuta, ormai. Il timbro postale rivelava che il pacco era
stato spedito da Las Vegas.
Ma Vittorio si trovava ancora a Las Vegas, o se n’era già andato?
Oppure se ne sarebbe andato prima che la polizia locale informata
da me avesse il tempo di andare a cercarlo? Impossibile saperlo.
Intanto Mary, la nostra segretaria diurna, era ancora in preda a
una crisi isterica nella stanza adiacente. Per fortuna non c’erano
clienti in ufficio. Mancava ancora mezz’ora all’appuntamento col mio
primo cliente, che era anche per l’Animators Inc. il primo della
giornata. Un’autentica fortuna. Così Mary poteva abbandonarsi al
suo crollo di nervi mentre Bert, il nostro direttore amministrativo,
cercava di calmarla. Forse avrei dovuto aiutarlo, ma sono marshal
federale e il lavoro ha la precedenza. Dovevo informare la polizia di
Las Vegas che forse aveva un serial killer in città. Felice
stramaledetto lunedì.
Seduta alla scrivania, con la cornetta in mano, non composi il
numero. Rimasi a fissare le fotografie dei familiari altrui. La scrivania
condivisa era sempre stata sgombra, a parte i fascicoli mescolati nei
cassetti, finché Manny Rodriguez non aveva portato il suo ritratto di
famiglia, il classico ritratto che tutti quanti sembrano avere, con
gente troppo seria e raramente sorrisi genuini. In giacca e cravatta,
Manny sembrava a disagio. Lasciato a se stesso non si sarebbe mai
preso la briga di annodarsi la cravatta, ma sua moglie Rosita, un po’
più alta e un po’ più paffuta di lui, insisteva affinché lo facesse. Di
solito l’aveva vinta lei in quel genere di cose; Manny in famiglia non
era esattamente asservito, ma non era neppure la voce del padrone.
Le due figlie, Mercedes e Consuela, detta Connie, erano alte e
diritte, snelle come il padre, belle e radiose in confronto all’ombrosa
Rosita, dal viso più vecchio e flaccido. Guardandole, capivo cosa
forse aveva visto Manny nella moglie. Forse da giovane era stata
bella come il fiore di cui portava il nome. Il figlio, Tomas, andava
ancora alle elementari. Non ricordavo se frequentasse la terza o la
quarta.
Un doppia cornice portafoto conteneva un ritratto di Larry Kirkland
e di sua moglie, la detective Tammy Reynolds, e uno della loro
figlioletta, Angelica. Marito e moglie si guardavano fulgidi e pieni di
promesse nel giorno delle nozze, come se vedessero qualcosa di
meraviglioso l’una nell’altra. La bimba aveva i capelli ricci come il
padre, che però li aveva rossi, mentre lei castani con sfumature
ramate.
Sapevo che altri risveglianti di Animators Inc. tenevano foto di
famiglia sulla scrivania, quindi mi chiedevo se fosse il caso d’imitarli
con un ritratto di Nathaniel, Micah e me. Sarebbe bastato, oppure
avrei dovuto tenere anche una mia foto con gli altri miei amanti? Di
chi bisogna tenere i ritratti quando si convive con quattro uomini,
secondo l’ultimo censimento, e se ne frequentano altri cinque o sei?
Non provavo niente per il pacco sulla scrivania, né paura, né
disgusto. Soltanto un vuoto immenso, molto simile al silenzio che
sento nella testa prima di ammazzare qualcuno. Me la stavo
cavando bene o ero sotto shock? Mmm... impossibile a dirsi, perciò
era probabilmente una versione dello shock. Grandioso.
Mi alzai e guardai la testa nel sacchetto, pensando: Niente foto
dei miei ragazzi al lavoro. Mi era capitato di avere alcuni clienti,
maschi e femmine, che si erano rivelati dei cattivi soggetti, quindi
non volevo che i clienti vedessero le foto delle persone che amo. Mai
suggerire idee ai cattivi, che già di loro ne hanno abbastanza di
orrende e spaventose.
No, niente foto di famiglia al lavoro. Pessima idea.
Composi il numero del servizio informazioni, perché non avevo
mai telefonato alla polizia di Las Vegas. Era un’occasione per farmi
nuovi amici o per fare incazzare un sacco di altra gente. Mi succede
sempre così. Non lo faccio apposta, ho semplicemente la tendenza
ad accarezzare la gente contropelo, in parte perché sono una donna
in un ambiente prevalentemente maschile, in parte semplicemente
per la mia affascinante personalità.
Mi rimisi a sedere per non guardare dentro la scatola. Avevo già
avvertito la polizia di St. Louis, perché volevo un esame della
scientifica nella speranza di trovare qualche traccia che ci aiutasse a
prendere quel bastardo. Perché aveva mandato il trofeo proprio a
me? Ce l’aveva con me perché avevo ammazzato un sacco di suoi
vampiri nel periodo in cui aveva massacrato parecchia gente nella
nostra città, oppure aveva inteso inviare un messaggio che non sarei
mai riuscita a decifrare? Di chi era la testa?
Credo che ai bravissimi profiler delle serie televisive sfugga una
cosa. Per quanto ci si provi, è semplicemente impossibile pensare
come i mostri. Si può strisciare dentro le loro menti fino a sentirsi
così sporchi da non potersi ripulire mai più, ma alla fine non si riesce
mai a capire quali siano i loro motivi, a meno di non essere dei loro. I
serial killer sono egoisti, pensano soltanto al loro piacere e alla loro
patologia, non aiutano a catturare i loro simili se non serve a
perseguire i loro scopi. Secondo qualcuno, anch’io sono una serial
killer. Tra tutti gli sterminatori di vampiri legalmente autorizzati degli
Stati Uniti, sono quella che ha ucciso più succhiasangue.
Quest’anno ho superato il centinaio. Ha importanza se ammazzare
non mi procura nessun piacere? Cambia qualcosa se non ne ricavo
godimento sessuale? Importa se all’inizio mi faceva vomitare? Gli
omicidi che ho commesso risultano forse più accettabili e meno
brutali se nella maggior parte dei casi sono stati autorizzati da
regolari mandati di eliminazione? Certi serial killer uccidono soltanto
per mezzo del veleno, senza causare sofferenza, o quasi, perciò
sono meno violenti di me. Ultimamente mi stavo chiedendo che cosa
esattamente mi differenziasse da tipi come Vittorio e se alle mie
vittime legalmente giustiziate importasse qualcosa dei miei motivi.
Da Las Vegas mi rispose una donna, avviando il processo che
avrebbe finito per permettermi di parlare con la persona che forse
avrebbe saputo dirmi a chi era appartenuta la testa nella scatola.
I
2
l vicesceriffo Rupert Shaw aveva una voce roca, o perché gridava
molto o perché fumava troppo da troppi anni. «Chi ha detto di
essere?»
Sospirai e ripetei per l’ennesima volta: «Marshal federale Anita
Blake. Ho bisogno di parlare con un responsabile, e credo che possa
essere lei, vicesceriffo Shaw».
«Prenderò a calci in culo chi ha fatto il suo nome ai media,
chiunque sia.
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