Se hai bisogno, chiama – Raymond Carver

SINTESI DEL LIBRO:
Era la metà di agosto e Myers era sospeso a metà tra una vita e l’altra.
L’unica differenza, rispetto alle altre volte, era che questa volta era sobrio.
Aveva appena passato ventotto giorni in un centro di disintossicazione. Ma
proprio in quel periodo a sua moglie era saltato il ticchio di mettersi insieme a
un altro ubriacone, un loro amico. Il tizio era da poco riuscito a procurarsi dei
soldi e andava dicendo che voleva investirli in un barristorante nella parte
orientale dello stato.
Myers aveva telefonato alla moglie, ma lei gli aveva attaccato il telefono in
faccia. Non gli voleva neanche parlare, figuriamoci lasciarlo avvicinare a
casa. Aveva messo di mezzo un avvocato e ottenuto dal tribunale una diffida
nei confronti del marito. E cosí lui si prese un po’ di cose, salí su un autobus
e se ne andò a vivere vicino al mare in una casa di proprietà di un tale di
nome Sol che aveva messo un annuncio sul giornale.
Quando gli aprí la porta, Sol indossava un paio di jeans e una maglietta
rossa. Erano piú o meno le dieci di sera e Myers era appena sceso da un taxi.
Sotto la luce della veranda Myers notò che Sol aveva il braccio destro piú
corto dell’altro, con la mano e le dita come avvizziti. Non gli offrí la mano
avvizzita da stringere e nemmeno quella buona, e Myers non trovò niente da
ridire. Era già abbastanza sconvolto per conto suo.
Lei è quello che ha appena chiamato, vero?, disse Sol. È venuto a vedere la
stanza. Si accomodi.
Myers afferrò la valigia ed entrò in casa.
Questa è mia moglie. Le presento Bonnie, disse Sol.
Bonnie stava guardando la tv, ma mosse gli occhi per vedere chi era
entrato. Premette un pulsante su un aggeggio che aveva in mano e l’audio
sparí. Poi lo premette di nuovo e anche il quadro si spense. Quindi si tirò su
dal divano e si alzò in piedi. Era un donnone enorme. Era grassa da testa a
piedi e respirava ansimando.
Mi dispiace per l’ora tarda, disse Myers. Molto piacere.
Non si preoccupi, disse Bonnie. Mio marito le ha già detto per telefono
quant’è l’affitto?
Myers annuí. Teneva ancora stretta la valigia.
Be’, questo è il soggiorno, come vede, disse Sol. Scosse la testa e si portò
al mento le dita della mano buona. Tanto vale che le dica subito che non
siamo molto pratici. Non abbiamo mai affittato la stanza a nessuno. Ma se ne
sta lí sul retro inutilizzata e cosí abbiamo pensato, che diamine!, un po’ di
soldi in piú fanno sempre comodo.
La capisco benissimo, disse Myers.
Da dove viene?, chiese Bonnie. Non è di queste parti.
Mia moglie vorrebbe fare la scrittrice, disse Sol. Chi, cosa, dove, perchè e
quanto?
Sono appena arrivato, rispose Myers. Passò la valigia nell’altra mano.
Sono sceso dall’autobus un’ora fa, ho letto il vostro annuncio sul giornale e
ho chiamato.
Che tipo di lavoro fa?, si informò Bonnie.
Ho fatto un po’ di tutto, rispose Myers. Posò la valigia a terra e si sgranchí
le dita. Poi riprese la valigia in mano.
Bonnie non insisté. E neanche Sol, anche se Myers capí che era incuriosito.
Si accorse che sopra il televisore c’era una foto di Elvis Presley. Il suo
autografo attraversava il bavero della giacca bianca coperta di lustrini. Si
avvicinò di un passo.
The King, disse Bonnie.
Myers annuí, ma non disse niente. Accanto alla foto di Elvis ce n’era una
del matrimonio di Sol e Bonnie. Nella foto Sol era in giacca e cravatta. Il
braccio sinistro di Sol, quello buono, stringeva la vita di Bonnie, fin dove
riusciva ad arrivare. Le loro mani destre erano unite all’altezza della fibbia
della cintura di Sol. Bonnie non poteva allontanarsi di un passo se a Sol non
stava bene. A Bonnie la cosa non pareva dare fastidio. Nella foto, Bonnie
indossava un cappello ed era tutta un sorriso.
Le voglio un gran bene, disse Sol, come se Myers avesse sostenuto il
contrario.
Che ne dice di farmi vedere la stanza?, disse Myers.
Lo sapevo che ci stavamo scordando qualcosa, disse Sol.
Uscirono dal soggiorno e passarono in cucina, prima Sol, poi Myers con la
valigia e quindi Bonnie. Attraversarono la cucina e svoltarono a sinistra
appena prima della porta che dava sul retro. Lungo la parete c’erano degli
scaffali aperti, una lavasciuga. Sol aprí una porta alla fine del corridoio e
accese la luce del bagno.
Bonnie si fece avanti sbuffando e disse: Questo è il suo bagno privato. La
porta in cucina è il suo ingresso riservato.
Sol aprí la porta sull’altro lato del bagno e accese un’altra luce. Questa è la
stanza, disse.
Ho rifatto il letto, le lenzuola sono pulite, disse Bonnie. Ma se prende la
stanza, d’ora in poi ci dovrà pensare da solo.
Come dice mia moglie, questo non è un albergo, disse Sol. Ma se vuole
restare, lei è il benvenuto.
C’era un letto matrimoniale accostato a una delle pareti, insieme a un
comodino con sopra una lampada, un cassettone e un tavolinetto con una
sedia di metallo. Una grande finestra si affacciava sul giardino. Myers
appoggiò la valigia sul letto e si avvicinò alla finestra. Alzò la veneziana e
guardò fuori. La luna era alta nel cielo. In lontananza si vedevano una valle
boscosa e le cime dei monti. Era solo la sua immaginazione, o sentiva
davvero scorrere un ruscello o un fiume?
Sento dell’acqua, disse.
Quello che sente è il Little Quilcene, disse Sol. Quel fiume lí ha il
dislivello piú ripido di tutto il paese.
Be’, che ne pensa?, chiese Bonnie. Si fece avanti e piegò un lembo della
coperta, e a Myers questo semplice gesto fece quasi venire le lacrime agli
occhi.
La prendo, disse.
Sono contento, disse Sol. Anche mia moglie, glielo dico io. Domani faccio
togliere quell’annuncio dal giornale. Vuole usarla subito, no?
Speravo di sí, disse Myers.
Be’, la lasciamo sistemarsi, disse Bonnie. Le ho messo due cuscini e in
quell’armadio a muro c’è un’altra coperta.
Myers riuscí solo ad annuire.
Allora, buona notte, disse Sol.
Buona notte, disse Bonnie.
Buona notte, rispose Myers. E grazie di tutto.
Sol e Bonnie ripassarono attraverso il bagno e tornarono in cucina.
Chiusero la porta, ma non prima che Myers sentisse Bonnie che diceva:
Sembra a posto.
Un tipo tranquillo, disse Sol.
Mi sa che faccio un po’ di popcorn.
Ne mangio un po’ anch’io per farti compagnia, disse Sol.
Ben presto Myers sentí il televisore accendersi di nuovo in soggiorno, ma
il suono arrivava attutito e pensò che non gli avrebbe dato fastidio. Spalancò
la finestra e si mise in ascolto del rumore del fiume che attraversava rapido la
valle, diretto verso l’oceano.
Tirò fuori le sue cose dalla valigia e le sistemò nei cassetti. Poi andò in
bagno e si lavò i denti. Spostò il tavolinetto in modo che fosse proprio
davanti alla finestra. Poi guardò il punto in cui la donna aveva piegato il
lembo della coperta. Spostò la sedia per sedersi e si tirò fuori di tasca una
biro. Rimase a pensare un attimo, poi aprí il taccuino e in cima a una pagina
bianca scrisse le parole Il vuoto è l’inizio di tutte le cose. Rimase a fissare
questa frase e poi scoppiò a ridere. Gesú, che cazzata! Scosse la testa.
Richiuse il taccuino, si spogliò e spense la luce. Rimase un momento in piedi
a guardare dalla finestra e ad ascoltare la corrente del fiume. Poi si mise a
letto.
Bonnie fece saltare i popcorn, ci versò sopra il burro fuso e il sale, li mise
in una grossa ciotola e li portò al divano dove Sol stava guardando la tv.
Lasciò che si servisse lui per primo. Sol ne prese una bella manciata con la
mano buona e poi allungò la mano avvizzita per prendere la salviettina di
carta che la moglie gli porgeva. Poi si serví anche lei.
Che impressione ti ha fatto?, s’informò Bonnie. Il nostro nuovo inquilino.
Sol scosse la testa e continuò a guardare la tv e a mangiare popcorn. Poi,
come se avesse riflettuto sulla domanda, disse: Mi piace. È un tipo a posto.
Ma mi sa che sta scappando da qualcosa.
Tipo?
Questo non lo so. Sto tirando a indovinare. Comunque non è pericoloso e
non ci darà guai.
Però ha certi occhi, disse Bonnie.
Che hanno gli occhi?
Sono tristi. Gli occhi piú tristi che abbia mai visto in un uomo.
Sol per un po’ rimase in silenzio. Finí di mangiare i popcorn che aveva in
mano. Si pulí le dita e il mento con la salviettina di carta. È un tipo a posto.
Ha solo avuto qualche incidente di percorso, tutto lí. Non c’è mica da
vergognarsi. Mi dài un sorso? Si allungò per prendere il bicchiere di aranciata
che lei teneva in mano e ne bevve un po’. Sai una cosa? Mi sono scordato di
farmi pagare l’affitto, stasera. Glielo dovrò chiedere domattina, se lo trovo in
piedi. E avrei dovuto anche informarmi su quanto intende fermarsi.
Accidenti, chissà che mi è preso. Non voglio mica che questo posto si
trasformi in un albergo.
Non puoi pensare sempre a tutto. E poi, non siamo ancora tanto pratici.
Non abbiamo mai affittato una stanza prima d’ora.
Bonnie decise che avrebbe scritto di quel tizio nel taccuino che stava
riempiendo. Chiuse gli occhi e si mise a pensare a quello che avrebbe scritto.
Quello sconosciuto alto, un po’ curvo – però di bell’aspetto! – con i capelli
ricci e gli occhi tristi entrò in casa nostra una fatale sera d’agosto. Si
appoggiò al braccio sinistro di Sol e cercò di scrivere qualche altra cosa. Sol
le strinse la spalla, e questo la riportò al presente. Aprí e chiuse gli occhi, ma
non le venne in mente altro da scrivere su di lui in quel momento. Chi vivrà
vedrà, pensò. Era contenta che fosse venuto.
Che programma scemo, disse Sol. Andiamocene a letto. Domattina
dobbiamo svegliarci presto.
A letto, Sol fece l’amore con lei, lei lo accolse, lo tenne stretto e lo
ricambiò in tutto, ma mentre lo faceva continuava a pensare al tizio alto con i
ricci che stava nella stanza sul retro. E se avesse aperto all’improvviso la
porta della stanza da letto e li avesse sorpresi cosí?
Sol, disse, hai chiuso a chiave la porta della camera?
Cosa? Sta’ un po’ ferma, disse Sol. Poi finí e si allontanò da lei, ma
continuò a tenerle il braccio avvizzito sul seno. Lei rimase per un attimo lí
supina a riflettere, poi gli diede un colpetto affettuoso sulle dita, sospirò e si
addormentò pensando ai detonatori, quelli che erano esplosi in mano a Sol
quando era ragazzo, recidendogli i nervi e provocandogli l’atrofia del braccio
e delle dita.
Bonnie prese a russare. Sol le prese un braccio e glielo scosse finché lei
non si girò su un fianco, voltandogli la schiena.
Dopo un attimo, Sol si alzò e si rimise la biancheria. Tornò in soggiorno.
Non accese la luce, però. Non ne aveva bisogno. C’era la luna, e non voleva
accendere la luce. Dal soggiorno passò in cucina. Si assicurò che la porta sul
retro fosse chiusa e poi rimase un po’ in ascolto davanti alla porta del bagno,
ma non si sentí niente di strano. Il lavandino perdeva – aveva bisogno di una
guarnizione nuova, ma del resto, perdeva da sempre. Riattraversò la casa e
chiuse a chiave la porta della loro camera da letto. Controllò la sveglia e si
assicurò che la levetta fosse sollevata. Si rimise a letto e si strinse a Bonnie.
Appoggiò una gamba sopra la sua, e solo allora finalmente si addormentò.
Le tre persone dormivano sognando, mentre fuori la luna cresceva e
sembrava muoversi nel cielo finché fu al largo sopra l’oceano, sempre piú
piccola e pallida. Nel sogno di Myers qualcuno gli offre un bicchiere di
scotch, ma proprio mentre sta per accettarlo, seppure con riluttanza, si sveglia
di colpo sudato, con il cuore a mille.
Sol sogna di cambiare una gomma a un camion e di poter usare entrambe
le braccia.
Bonnie sogna che sta portando due, anzi, tre bambini ai giardinetti. Sa
perfino come si chiamano. Il nome glielo ha dato lei stessa prima di uscire.
Millicent, Dionne e Randy. Randy insiste per staccarsi da lei e camminare per
conto suo.
Ben presto il sole appare all’orizzonte e gli uccelli cominciano a lanciarsi
richiami. Il Little Quilcene scorre giú rapido per la valle, si infila sotto il
viadotto della statale, supera altri cento metri di sabbia e di sassi aguzzi e si
riversa nell’oceano. Un’aquila si libra sulla valle, passa sopra al viadotto e
comincia a volare avanti e indietro sopra la spiaggia. Un cane abbaia.
In questo preciso momento, scatta la sveglia di Sol.
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