Ritorno a Roslyn Manor – Helen Dickson

SINTESI DEL LIBRO:
Un’inquietudine profonda coglieva il viaggiatore quando l’oscurità calava
sulla brughiera e si giungeva al crocevia del patibolo. Nello stridio delle
catene arrugginite che dondolavano al vento, pendeva il corpo in
decomposizione di un disgraziato che aveva infranto la legge. Un assassino,
un bandito, un contrabbandiere... cosa importava, ora che era morto? Era
soltanto una carogna in pasto agli uccelli e un macabro monito per chi
sceglieva di seguire il suo esempio. I nervi di chiunque passasse erano messi
a dura prova.
Il buio scese in fretta su quel paesaggio desolato la sera in cui Laura
Mawgan e il suo promesso sposo, sir Edward Carlyle, viaggiavano verso
Roslyn Manor, sulla costa meridionale della Cornovaglia. Avevano
festeggiato il fidanzamento nella villa di lui, Burfield Hall, insieme ad amici e
conoscenti. Edward aveva cercato di convincere Laura a trattenersi per la
notte, ma lei, pur essendo molto giovane, era abituata a decidere da sola e
aveva preferito ripartire per casa sua.
Le forme nere delle rocce si stagliavano minacciose contro il cielo scuro,
la luna era nascosta dalle nuvole e l’unica luce era data dai fanali della
carrozza. In cima a un’altura calò una fitta nebbia che tolse ogni visibilità.
Amos, il cocchiere, aveva fretta di procedere e continuò a correre a
sobbalzi sulla strada dissestata. Odiava la brughiera e non intendeva
trattenersi più dello stretto necessario, posseduto com’era da un’arcaica
paura.
Al riparo nella carrozza, Laura guardava fuori dal finestrino. Quando
oltrepassarono il banco di nebbia, ebbe l’impressione di trovarsi in un mare
pietrificato. Tutto attorno sorgevano templi druidici e allineamenti megalitici,
che si elevavano al cielo come lame affilate. Edward le prese la mano,
distogliendola dalle sue riflessioni.
«Sposatemi presto, Laura» le sussurrò con voce pacata, «e rendetemi
felice.»
Lei si voltò a guardarlo nella penombra. Era tanto elegante, pensò, e aveva
lineamenti quasi perfetti. Spesso i suoi occhi azzurri erano freddi e distaccati,
ma il suo raro sorriso era pieno di fascino.
Le sarebbe piaciuto amarlo, eppure non era così. Apprezzava la sua abilità
nel gestire i terreni e la miniera di Wheal Rose e, sebbene la irritassero i suoi
modi autoritari, gli era affezionata e, soprattutto, grata per averla aiutata dopo
la scomparsa del marito. Ma l’affetto e la gratitudine rappresentavano un
fondamento sufficiente per il matrimonio?
«Siete troppo impaziente, Edward. Siamo fidanzati da poco. Vorrei avere
un po’ più di tempo per abituarmi all’idea» gli rispose.
«Eppure ci frequentiamo da quasi due anni» replicò seccato. «Mi pare
abbastanza per conoscersi. C’è forse un altro uomo, Laura?»
«Sapete bene che non è così. Ma voi... mi volete bene, vero?» domandò in
tono esitante.
«Ma certo. E non sono innamorato di nessun’altra. Sono convinto che
saremo felici insieme. Inoltre, è ora che pensiate al futuro e lasciate quella
vecchia dimora scomoda e male in arnese.»
Laura si irrigidì. «Edward, vi ricordo che state parlando di casa mia!»
«Non lo sarà ancora per molto. Avete svolto un ottimo lavoro nel gestirla
in questi due anni, ma quando saremo sposati la affiderete a me. Anche se
non so ancora cosa ne farò.»
«Roslyn Manor è splendida e mi mancherà.» Laura aveva imparato ad
amarla nei due anni in cui vi aveva abitato ed era molto preoccupata per il
destino che Edward intendeva riservare all’antico edificio e ai domestici che
vi lavoravano. Ne dovevano ancora discutere tra loro e con gli avvocati.
«Sono sicuro che, quando verrà il momento, sarete lieta di liberarvi di quel
peso e di dedicarvi, invece, a Burfield Hall.»
Lei distolse lo sguardo e non rispose. Suo fratello Philip, che viveva a
Londra con la moglie Jane e due bambini, aveva espresso il desiderio di
vederla sistemata e aveva favorito l’incontro con quello stimato gentiluomo.
Quando, in tempi recenti, si era recato a farle visita insieme alla famiglia,
aveva insistito perché accettasse la sua proposta di matrimonio. Laura era
sempre disposta ad accettare i consigli del fratello e aveva acconsentito, ma
già cominciava a coltivare dubbi profondi.
Solo negli ultimi tempi si era resa conto dell’antipatia che il suo defunto
sposo provava per Edward, le cui terre confinavano con quelle dei Mawgan, e
il fidanzamento con lui le creava un profondo disagio. Di colpo aveva
cominciato a considerarlo come un’offesa alla memoria del marito.
Aveva quasi sempre abitato a Londra e ritrovandosi sola in un luogo
estraneo, senza amici né parenti nelle vicinanze, aveva accolto volentieri le
discrete attenzioni del galantuomo; ma soltanto dopo un adeguato periodo di
lutto aveva iniziato a riceverlo in casa.
Non era il tipo che prestava orecchio ai pettegolezzi, eppure quando, poco
tempo prima, era andata a Saint Austell a fare spese e aveva sentito per caso
due estranei che pronunciavano il nome di Edward Carlyle, si era attardata ad
ascoltare. Da allora le era capitato di carpire altri dettagli inquietanti e aveva
capito di non conoscere affatto il suo promesso sposo.
Era proprietario di due piccole miniere di stagno del distretto, di cui una,
Wheal Rose, era ancora attiva, mentre l’altra era chiusa da anni. Per pagare i
debiti, il suo defunto padre aveva venduto ampi terreni ai Mawgan ed Edward
se ne voleva riappropriare, dimostrando un particolare interesse per quelli che
digradavano verso la baia di Roslyn. Questa era ideale per il contrabbando
dalla Francia e dalle isole del Canale, lucrosa attività piuttosto diffusa nella
regione.
Le sue sostanze erano misteriosamente aumentate negli ultimi due anni.
Ogni volta che si era recato a Londra si era dato ai lussi più sfrenati,
puntando alto sui tavoli da gioco e acquistando una splendida casa a
Kensington, dove si prodigava in feste e ricevimenti. Le sue scuderie, come
Laura aveva verificato di persona, vantavano i migliori purosangue.
Non c’erano spiegazioni per questa improvvisa ricchezza, che non aveva
nulla a che fare con la miniera, poco produttiva, a differenza di quello che si
credeva a Londra. Di recente, Laura aveva sentito qualcuno sussurrare che
Edward Carlyle era il capo di una ben organizzata banda di contrabbandieri.
All’inizio, si era rifiutata di dare ascolto a simili chiacchiere. Tuttavia,
dopo avere preso in considerazione tutti gli elementi, tra cui i frequenti viaggi
di Edward in Francia, nonostante i violenti tumulti in corso in quel paese, era
giunta alla conclusione che doveva esserci qualcosa di vero.
Aveva inoltre notato dalle finestre di casa sua un sospetto andirivieni nel
cuore della notte: forme scure di imbarcazioni, persone sulla spiaggia, carri e
cavalli da soma carichi di merci che scomparivano nella brughiera prima
dell’alba. Avrebbe potuto vietare loro di attraversare i terreni dei Mawgan,
ma, temendo ritorsioni, aveva preferito fare come tutti gli altri in Cornovaglia
e chiudere con prudenza gli occhi. Chi denunciava i contrabbandieri spesso
pagava con la vita.
Poiché aveva ereditato la tenuta del marito, era naturale che Edward
mirasse a sposarla, ma i gravi dubbi che covava nei suoi confronti la
spingevano a rimandare il passo decisivo.
«Domattina devo partire» annunciò all’improvviso lui. «Starò via per una
settimana. Avrete, così, il tempo per riflettere. Spero di trovarvi più
determinata al mio rientro.»
«Certamente» rispose Laura, distogliendo ancora una volta lo sguardo.
Edward fissò il suo profilo classico, le sue lunghe ciglia, la massa di
riccioli corvini raccolti sulla nuca. Ma non era per la sua eccezionale bellezza
che la voleva sposare: aveva interessi molto più materiali.
Il senso innato degli affari gli aveva suggerito di presentarsi a Roslyn
Manor poco dopo la scomparsa del padrone di casa. A quei tempi, Laura era
tanto addolorata da non accorgersi delle sue manovre.
«Sarete mia tra non molto, Laura, e lo sappiamo entrambi» mormorò
prendendole una mano.
Lei si voltò a guardarlo, ma non lesse nulla nei suoi occhi chiari. Si sentiva
opprimere dal buio della desolata brughiera e dalla vicinanza di quell’uomo.
La carrozza entrò in una zona boscosa, dove il vento ululava e agitava le
fronde. Laura rabbrividì: era una di quelle notti in cui si avverte distintamente
la presenza di spiriti maligni. Oscuri presagi le gravavano l’anima.
Tuttavia, non furono fantasmi quelli che apparvero, come dal nulla, sul
ciglio della strada, ma due uomini a cavallo. Indossavano entrambi una
redingote e portavano il cappello a tricorno calato sugli occhi, mentre la metà
inferiore del volto era coperta da un fazzoletto. Amos si spaventò a morte e la
sua paura si trasmise ai cavalli, che si imbizzarrirono. La carrozza sobbalzò
con violenza sui sassi, rischiando di ribaltarsi.
I due passeggeri si aggrapparono a qualunque appiglio trovassero. Edward
imprecò, tastandosi la cintura in cerca della pistola. Dopo qualche minuto che
parve durare un’eternità, i due sconosciuti riuscirono a calmare gli animali
impazziti.
«Buoni, su, buoni!»
Laura udì il suono smorzato di queste parole e spiò fuori dal finestrino.
Uno degli uomini si stava avviando verso di lei. Rimase come paralizzata a
fissarlo e poi, con terrore indescrivibile, vide una pistola a canna lunga
puntata nella sua direzione.
Erano briganti! Di notte le rapine a mano armata erano frequenti e
viaggiare era considerato imprudente. Si pentì, in quel momento, di avere
rifiutato l’offerta di Edward di pernottare da lui.
La lanterna da quel lato della vettura si era spenta e, nel buio, la
minacciosa figura non aveva volto. Laura provò l’immediato istinto di
rannicchiarsi come una bambina impaurita, ma riuscì a trovare la forza di
restare calma e reagire con coraggio.
«Chi siete?» gridò. «Che cosa volete? Come osate spaventare così i
cavalli? Avete rischiato di ammazzarci tutti.»
«Vi porgo le mie umili scuse» rispose l’uomo con voce profonda e priva
di pentimento. «Provo un grande rispetto per i cavalli e non avevo intenzione
di far loro del male.» Con un colpo di tacchi, si portò parallelo alla vettura e
si chinò a guardare dentro. «A terra, per favore» li invitò con ironica cortesia.
Edward, che in genere era sempre controllato, andò su tutte le furie.
«Andate al diavolo, canaglie!» ringhiò, scostando Laura dal finestrino con un
gesto brusco e maledicendo se stesso per avere lasciato cadere la pistola; se si
fosse chinato a raccoglierla, gli avrebbero sparato. «È una vergogna! Sono sir
Edward Carlyle e sono molto influente da queste parti. Lasciateci proseguire,
altrimenti pagherete questo affronto con la vita.»
«So benissimo chi siete e vi sarei grato se ascoltaste la mia richiesta»
rispose lo sconosciuto. «Non vi ucciderò: non uso mai violenza contro chi mi
asseconda.»
«Ciò non vi eviterà l’impiccagione quando vi prenderanno» lo mise in
guardia Laura.
Lui rise piano. «Avete ragione: i criminali sono destinati al patibolo.
Comunque dovete biasimare soltanto voi stessi per le circostanze in cui vi
trovate. Non è una buona idea attraversare la brughiera di notte, con tutti i
malfattori che si aggirano da queste parti. Muovetevi adesso: non fatemi
perdere altro tempo.»
Non c’era altro da fare che obbedire. Seppur con riluttanza, i due
passeggeri uscirono. Il secondo bandito teneva a bada Amos, che era già
sceso a terra.
«Siete un fuorilegge senza coscienza e vi condanneranno a morte»
insistette Edward con un’espressione stravolta.
«Prima, però, mi dovranno arrestare.»
Il bandito smontò di sella. Era molto alto e i suoi movimenti avevano la
grazia letale di un felino. Dimostrava un’inquietante sicurezza di sé e
dominava la scena con la sua presenza. Si sfiorò la falda del cappello per
rendere omaggio a Laura e, con l’altra mano, estrasse un pugnale dal fodero,
fissato al cinturone.
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