Nord e sud – Elizabeth Gaskell

SINTESI DEL LIBRO:
«Edith!» disse Margaret, con dolcezza. «Edith!». Ma, come Margaret in
parte sospettava, Edith si era addormentata. Raggomitolata sul divano nel
salotto sul retro di Harley Street, appariva davvero deliziosa in mussolina
bianca e nastri blu. Se mai Titania
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si fosse vestita in mussola bianca e
nastri blu, e si fosse addormentata su un divano di damasco rosso porpora
in un salotto, Edith sarebbe stata scambiata per lei. Margaret fu di nuovo
colpita dalla bellezza della cugina. Erano cresciute insieme fin
dall’infanzia e da sempre Edith era stata notata da tutti, eccetto che da lei,
per la sua grazia; eppure Margaret non ci aveva mai pensato fino a
qualche giorno prima, quando la prospettiva di perdere presto la sua
compagna sembrava esaltare tutte le dolci qualità e il fascino che
possedeva. Avevano parlato di abiti da sposa e di cerimonie di nozze; del
capitano Lennox e di ciò che aveva detto a Edith della sua vita futura a
Corfù, dove era di stanza il reggimento cui era assegnato; e della difficoltà
di tenere un pianoforte ben accordato – una difficoltà che Edith pareva
considerare fra le più spaventose della sua vita matrimoniale – e quali abiti
desiderasse per le visite in Scozia dopo il matrimonio; ma il tono
sussurrato si era fatto via via più sonnolento e Margaret, dopo una pausa
di qualche minuto, si era accorta, come aveva immaginato, che malgrado il
brusio della stanza accanto, Edith si era raggomitolata a formare una
soffice sfera di mussolina e nastro, e riccioli di seta, e si era abbandonata a
un tranquillo sonnellino del dopo cena. Margaret era stata sul punto di
parlare alla cugina di alcune delle idee e dei progetti che accarezzava per il
suo futuro nella canonica di campagna dove vivevano il padre e la madre,
e dove aveva trascorso gioiose vacanze, sebbene negli ultimi dieci anni la
sua casa fosse stata quella della zia Shaw. Ma, in mancanza di qualcuno
che l’ascoltasse, dovette rimuginare tra sé e sé, come già in altre occasioni,
sul cambiamento in arrivo. Era un meditare sereno, anche se venato dal
rammarico di doversi separare per un tempo indefinito dalla dolce zia e
dalla cara cugina. Mentre pensava al piacere di coprire l’importante
posizione di figlia unica nella canonica di Helstone, giunsero alle sue
orecchie brani dei discorsi della stanza accanto. La zia Shaw stava
chiacchierando con le cinque o sei signore venute per cena, i cui mariti
erano rimasti in sala da pranzo. Erano vecchie conoscenze di famiglia; i
vicini che la signora Shaw definiva amici, perché le capitava di cenare con
loro più spesso che con chiunque altro e anche perché se lei o Edith
avessero avuto bisogno di qualcosa, non si sarebbero fatte scrupolo di
passare da qualcuno di loro prima del pranzo, o viceversa. Queste signore,
e i loro mariti, erano state invitate per una cena di saluto in onore
dell’imminente matrimonio di Edith. Lei aveva sollevato qualche
obiezione poiché il capitano Lennox era atteso con uno degli ultimi treni
della sera; tuttavia, nonostante fosse una ragazzina viziata, Edith era
troppo apatica e pigra per avere una propria forza di volontà e cedette
quando scoprì che la madre aveva addirittura ordinato tutte le
prelibatezze di stagione solitamente ritenute un antidoto all’eccessiva
mestizia delle cene d’addio. Si era accontentata di starsene appoggiata allo
schienale giocherellando con il cibo nel piatto, con un’aria grave e assente;
intorno a lei, nel frattempo, tutti si divertivano alle battute del signor
Grey, il gentiluomo che alle cene della signora Shaw occupava sempre il
posto in fondo al tavolo, e le chiedeva di suonare qualcosa per loro in
salotto. Il signor Grey fu particolarmente gradevole durante la cena e i
gentiluomini si trattennero più a lungo del solito al pianterreno. E fu un
bene, a giudicare dai frammenti di conversazione che Margaret sentì.
«Io stessa ho sofferto troppo; non perché non fossi realmente felice col
caro, povero generale; ma la differenza di età è un aspetto negativo che
volevo evitare a Edith. Di sicuro, e non lo dico perché sono la madre,
presagivo che la cara bambina si sarebbe sposata presto; infatti ero sicura
– e lo dicevo spesso – che lo avrebbe fatto prima di compiere diciannove
anni. Ebbi un presentimento quando il capitano Lennox…» e qui la voce
sfumò in un bisbiglio. Margaret avrebbe comunque potuto completare la
frase senza difficoltà.
Nel caso di Edith, si era trattato subito di vero amore e la signora Shaw,
come diceva, l’aveva intuito; dunque aveva spinto per il matrimonio,
sebbene non fosse al livello delle aspettative di molti dei conoscenti di
Edith, giovane e bella ereditiera. La signora Shaw sosteneva infatti che la
sua unica figlia dovesse sposarsi per amore, sospirando con una certa
enfasi – come se l’amore non fosse stato la ragione per cui aveva sposato il
generale. E l’aspetto romantico del fidanzamento piaceva più alla signora
Shaw che alla figlia. Non che Edith non fosse davvero innamorata, ma
avrebbe di certo preferito una bella casa a Belgravia agli aspetti pittoreschi
della vita di Corfù di cui le parlava il capitano Lennox. Quegli argomenti
che estasiavano Margaret nell’ascoltarli, a Edith sembravano provocare i
brividi, o apparirle come un peso; in parte per il gusto che provava a farsi
blandire dal suo devoto innamorato per uscire dall’apatia e in parte
perché una vita da zingari o alla giornata le era del tutto sgradita. Eppure,
se si fosse fatto avanti qualcuno con una bella casa, una bella proprietà e
oltretutto un buon titolo, Edith sarebbe rimasta devota al capitano
Lennox fintantoché la tentazione fosse durata; una volta passata, era
possibile che si facesse pochi scrupoli nel palesare il dispiacere per il fatto
che il capitano Lennox non riunisse in sé tutto ciò che era desiderabile. In
questo era proprio figlia di sua madre che, dopo aver consapevolmente
sposato il generale Shaw non provando altro che rispetto per la sua
reputazione e la sua posizione, stava sempre a lamentarsi, pur sottovoce,
della difficoltà di vivere con un uomo che non amava.
«Non ho badato a spese per il suo corredo» furono poi le parole che
Margaret sentì.
«E ha tutti gli splendidi scialli e le stole indiane che il generale mi ha
regalato ma che non indosserò mai più».
«È una ragazza fortunata» disse un’altra voce, che Margaret sapeva
essere quella della signora Gibson e che aveva un interesse duplice nella
conversazione poiché una delle sue figlie si era sposata qualche settimana
prima.
«Helen si era innamorata di uno scialle indiano, ma quando scoprii il
suo prezzo spropositato fui costretta a negarglielo. Proverà una certa
invidia quando saprà degli scialli indiani di Edith. Di che tipo sono? Di
Delhi? Con quegli adorabili piccoli bordi?».
Margaret sentì di nuovo la voce della zia, ma stavolta era come se si
fosse sollevata dalla sua posizione semidistesa e stesse guardando verso il
salottino, illuminato da una debole luce.
«Edith! Edith!» gridò la zia Shaw; poi ricadde all’indietro come sfinita
dalla fatica. Margaret si fece avanti.
«Edith sta dormendo, zia Shaw. Posso fare io qualcosa?».
All’angosciante notizia tutte le signore dissero: «Povera piccola!». Il
minuto cagnolino tenuto in braccio dalla signora Shaw cominciò ad
abbaiare, come eccitato da quello slancio di compassione.
«Silenzio tu! Piccola birbante! Sveglierai la tua padroncina… Era solo
per chiedere a Edith di dire a Newton di portar giù i suoi scialli; puoi
andarci tu, Margaret cara?».
Margaret salì nella vecchia stanza dei bambini su all’ultimo piano, dove
Newton era occupata a preparare dei merletti che servivano per il
matrimonio. Mentre Newton, non senza borbottare qualcosa, andava a
sistemare gli scialli già esibiti quattro o cinque volte quel giorno, Margaret
guardò in giro nella camera, la prima di quella casa con la quale aveva
familiarizzato nove anni prima quando, selvatica campagnola, era stata
portata a condividere casa, giochi e istruzione della cugina Edith.
Ricordava l’aspetto tetro e oscuro della stanza, che era sotto il controllo di
una balia severa e molto esigente riguardo la pulizia delle mani e i vestiti
in disordine. E si ricordò del primo tè bevuto nella stanza – separata dal
padre e dalla zia che stavano cenando di sotto, in fondo a una scalinata
senza fine; perché, era il suo pensiero di bambina, se non era lei a essere in
cielo allora erano loro a essere giù, nelle viscere della terra. A casa, prima
di venire a vivere a Harley Street, la sua stanza era stata lo spogliatoio
della madre; e poiché nella canonica di campagna si cenava presto,
Margaret l’aveva sempre fatto insieme al padre e alla madre. Oh! Come
ricordava bene quella ragazza alta e slanciata, ora diciottenne, le lacrime
di dolore versate la prima sera da quella bambina di nove anni, mentre
nascondeva il viso sotto le coperte e la governante la invitava a smettere
per non disturbare la signorina Edith; e come aveva pianto lacrime amare
ma silenziose, fin quando la sua bella ed elegante zia, da poco conosciuta,
era salita senza far rumore al piano di sopra con il signor Hale per
mostrargli la figlioletta addormentata. Allora la piccola Margaret aveva
trattenuto il pianto e fatto finta di dormire, per paura di rattristare il
padre col suo dolore, che non osava esprimere davanti alla zia e che
riteneva fosse ingiusto provare dopo le speranze, le congetture e i piani a
lungo discussi a casa, prima che il suo guardaroba fosse pronto per la
nuova e più impegnativa situazione e che il papà potesse lasciare la
parrocchia per venire a Londra, pur se per pochi giorni.
Ora amava quella vecchia stanza, anche se era in abbandono, e si
guardava intorno con rimpianto, quasi come un gatto costretto a separarsi
dalla sua casa, al pensiero che entro tre giorni l’avrebbe lasciata per
sempre.
«Ah, Newton» disse «credo saremo tutti tristi di lasciare questa cara
vecchia stanza».
«In verità, signorina, io non tanto. I miei occhi non vedono più bene
come una volta e la luce qui è così scarsa che per rammendare i merletti
devo andare vicino la finestra dove c’è sempre una tale corrente da far
morire chiunque di freddo».
«Be’, credo che avrai luce e caldo a sufficienza a Napoli. Tralascia i
rammendi più che puoi, fino a quel momento. Grazie, Newton, posso
portarli giù io… Tu sei già impegnata».
E così Margaret scese carica di scialli, gustandone lo speziato profumo
d’Oriente; poiché Edith stava ancora dormendo, la zia le chiese di fare da
manichino su cui poterli esibire. Nessuno ci aveva pensato ma la figura di
Margaret, alta e sottile, con indosso un vestito di seta nera in segno di
lutto per un lontano parente del padre, faceva risaltare appieno le lunghe,
bellissime pieghe dei meravigliosi scialli che avrebbero mezzo soffocato
Edith. Margaret stava ritta sotto il lampadario, passiva e in silenzio,
mentre la zia le sistemava addosso le stoffe. Ogni tanto, quando veniva
fatta girare, coglieva la propria immagine nello specchio sopra il camino e
sorrideva vedendosi nelle vesti di una principessa. Toccava con delicatezza
gli scialli che l’avvolgevano, ammirandone la morbidezza e i colori
brillanti e le piaceva non poco esser vestita di tale splendore, godendone
in modo quasi infantile, con un sereno sorriso di compiacimento. In quel
momento la porta si aprì e fu annunciato il signor Lennox. Alcune delle
signore si ritrassero, quasi provando imbarazzo per il loro interesse tutto
femminile per i vestiti. La signora Shaw porse la mano al nuovo venuto
mentre Margaret rimase perfettamente immobile, come richiedeva il suo
ruolo, ma guardando il signor Lennox con una faccia divertita e
sorridente, certa della sua compassione per l’imbarazzo che provava
essendo stata sorpresa in quella situazione
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