L’uomo che scrisse la Bibbia – Marco Videtta

SINTESI DEL LIBRO:
«Sono nato a Stinchcombe, nella valle di Berkeley sul versante
ovest delle Cotswold Hills, Gloucestershire. Tu che hai visto il mondo
penserai a una terra remota, ma non è così. Dalle mie parti c’è un
proverbio che dice: As sure as God’s in Gloucestershire, sicuro
come che c’è Dio nel Gloucestershire, non solo perché un terzo della
contea appartiene alla Chiesa ma anche perché è un bel posto dove
vivere, benedetto dal Signore.
Vivere nel Gloucestershire è come stare affacciati a una finestra
spalancata sul mondo. Cardatori irlandesi, commercianti gallesi,
mercanti di stoffe che sfoggiano il francese imparato a Marsiglia.
Cresci ascoltando le canzoni dei marinai, le battute dei tessitori al
ritmo dei telai.
La gente ha un modo tutto suo di dire le cose. Per insegnarti a
tagliare una stoffa, una sarta ti dice: “Misura due volte e taglia una”,
così con te lo scordi più.
Ne ho tenuto conto quando ho dovuto tradurre Gesù che dice:
“Chiedi e ti sarà dato. Cerca e troverai. Bussa e ti sarà aperto”.
Ho imparato sette lingue senza viaggiare, semplicemente stando
affacciato alla finestra. Sono state per me come il latte materno».
Un potente scroscio di pioggia interruppe il racconto.
Tyndale si avvicinò alla finestra.
«La pioggia qui non è come dalle mie parti» commentò con una
vena di malinconia. «La pioggia inglese è più sottile, quasi non ti
bagna».
«Da quanto tempo manchi da casa?» domandò Eleuterius.
«Sette anni» rispose William con un sospiro.
Eleuterius annuì.
«Quando smette potremmo andare a cogliere dei funghi» provò a
scherzare.
William riattizzò il fuoco mentre riprendeva il filo del racconto.
«La mia è una famiglia di proprietari terrieri e mercanti. Edward,
mio fratello maggiore, è un facoltoso commerciante. Io, come
secondogenito, fui destinato alla carriera ecclesiastica».
«Non dirmi che sei un prete!»
«Credo di sì, anche se non so più di quale Chiesa».
Tyndale tornò a sedersi di fronte al suo soccorritore.
«Dove hai studiato?»
«Oxford. Per nove anni ho frequentato il Magdalen College.
Parvula è stata la mia prima grammatica latina. Se frughi tra quel
mucchio di libri, la troverai. È quello mezzo sbriciolato. Lo porto
sempre con me, è il mio portafortuna».
«Prete e superstizioso...» lo canzonò affettuosamente Eleuterius.
Tyndale sorrise, sollevando leggermente le spalle.
«Oxford ti lascia un segno indelebile» proseguì. «Pensa che
ancora oggi per il mio lavoro rispetto l’orario scolastico: la mattina,
dalle sei alle nove. Poi colazione. Ripresa dalle nove e
quarantacinque alle undici. Pranzo. Pomeriggio dall’una alle
cinque».
«Ci vuole metodo» approvò Eleuterius.
«A scuola si parlava solo in latino. Le aule erano fumose e
rumorose, per via delle letture che ogni studente doveva fare ad alta
voce. Quando ripenso al Magdalen mi vengono in mente tre cose:
fame, freddo, tristezza».
Tyndale allungò le mani verso il fuoco nel camino.
«I libri erano molto costosi, spesso dovevi prenderli in prestito o
copiarli a mano, in bella grafia. Le materie di studio erano le stesse
da duecento anni. Trivium: grammatica, logica e retorica.
Quadrivium: aritmetica, musica, geometria, astronomia. La retorica
era la mia preferita. Cicerone, Quintiliano... L’arte di scegliere e
posizionare le parole».
«È questo che ti piaceva della retorica? Non la capacità di
persuadere gli altri?» lo stuzzicò Eleuterius.
«Capisco cosa intendi. Cicerone usava la retorica per fare
politica. Ma a me interessava un altro aspetto: sapere usare le
parole al momento giusto, nel punto giusto, per rendere avvincente il
racconto di cose lontane nel tempo ma importanti, per farti
appassionare a un problema o, perché no, per spiegare le proprie
ragioni.
Con John Frith, il mio migliore amico, ci divertivamo a imbastire
divertenti requisitorie contro la noia del college e l’infima qualità del
cibo. John si era specializzato nell’imitazione del professore di
teologia, l’ineffabile professor Hyeronimus Gregory che era capace
di tenere un’intera lezione domandandosi se una vedova ha più
meriti di una vergine perché prova maggiore pena avendo
conosciuto i piaceri del matrimonio, o se è la vergine a subire
maggiore pena perché, non avendo ancora provato il piacere del
matrimonio, ma immaginandolo più grande di quello che è, si trova
sottoposta a una tentazione maggiore...»
«No, no scusa. Ripeti un po’, mi gira la testa...» ridacchiò
Eleuterius.
Tyndale ricambiò con un sorriso divertito: «Un altro cavallo di
battaglia del buon vecchio Gregory era la disputa sulla natura
dell’ostia sacramentale».
William spinse la pancia in fuori e imitò una voce chioccia:
«“Possiamo sostenere che sia ancora pane, visto che la farina con lo
stare a lungo nell’acqua è diventata amido e ha perso la sua
natura?” John ne faceva un’imitazione memorabile, la mia al
confronto è roba da dilettanti. John è il tipo più in gamba che abbia
conosciuto. Ha scritto la Disputation of Purgatory, un libro in cui
dimostra che non c’è traccia di Purgatorio nel Vangelo, che è
un’invenzione della Chiesa per distribuire le indulgenze a
pagamento. Ora è rinchiuso nella Torre di Londra, per ordine di John
Stokesley».
«Stokesley, il vescovo di Londra?»
Tyndale annuì.
«All’epoca era vicepreside al Magdalen. A scuola si diceva che
avesse battezzato un gatto allo scopo di scoprire un tesoro, ma io a
queste sciocchezze da adolescenti non ho mai creduto. Gli
attribuisco piuttosto la pessima qualità della mensa. Sono sicuro che
lucrasse sui fondi del collegio. Una volta Frith e io lo sorprendemmo
a insidiare la moglie dell’organista. E ho il sospetto che lui se ne
accorse perché da quel giorno ci rese la vita impossibile. Subimmo
punizioni corporali, umiliazioni pubbliche e digiuni, dei quali in verità
non ci rammaricammo più di tanto, considerata la brodaglia che
normalmente servivano a cena. I miei familiari si schierarono contro
Stokesley e alla fine si convinsero a trasferirmi a Cambridge. Frith mi
seguì un paio di mesi dopo.
A Cambridge trovai dei nuovi compagni. Ci riunivamo di nascosto
in un pub, il White Horse. Avevamo fondato un circolo segreto, il
Club dei Greci. Ci chiamavamo così in nome del diritto di leggere i
Vangeli e le Lettere di San Paolo nel testo originale greco. Volevamo
comprendere ciò che gli evangelisti e Paolo avevano veramente
detto e non ciò che i commentatori della Vulgata latina sostenevano
avessero detto. Imparare il greco era essenziale per risalire
direttamente alle fonti. Le autorità scolastiche avevano decretato che
nessuno avrebbe dovuto nutrirsi delle Scritture finché non fosse
stato allevato, per nove lunghi anni, nell’apprendimento di falsi
principi che lo avrebbero allontanato per sempre dalla loro
comprensione. La scuola e l’università accecano gli studenti. E in
questo modo il cuore della fede cristiana è stato rimosso dalla
Chiesa.
Era questa la nostra battaglia: innovatori contro tradizionalisti. I
Greci di Cambridge contro i Troiani di Oxford.
Al pub leggevamo di nascosto una copia in greco del Nuovo
Testamento che mi ero procurato a casa durante una vacanza.
La vera illuminazione arrivò con Erasmo da Rotterdam.
Ai tempi di Oxford avevo già letto un suo libro di retorica, il De
copia. Un testo strabiliante. In una lezione pratica indica
centocinquanta modi di dire “La tua lettera mi ha deliziato
moltissimo”. Seguendo i suoi insegnamenti Frith e io ci divertimmo a
trovare ottantasette sinonimi dispregiativi da affibbiare a Stokesley, il
generale dei Troiani.
A Cambridge qualcuno mi passò l’Enchiridion Militis Christiani, un
manuale pratico sull’essere un buon cristiano nel mondo. Al posto
dell’autorità ecclesiastica, prende a esempio il Vangelo e le Lettere
di Paolo ai Romani e ai Corinzi. E indica due armi: preghiera e
conoscenza, specialmente delle Scritture che devono essere
continuamente studiate. L’Enchiridion invita a una religione intima e
si fa beffe delle pratiche religiose esteriori. Per di più è divertente.
Aspetta, te ne leggo un passo».
Tyndale si mise a rimestare in un grosso baule da viaggio dove
teneva stipate decine di volumi. Eleuterius lo osservò con affetto.
Ogni gesto di quell’uomo trasudava passione. Per i libri, per la sua
religione, per lo scopo che si era prefissato fin dai banchi di scuola.
Era contento di avergli salvato la vita. Uomini così erano rari.
«Trovato!» esclamò William agitando un volume rilegato in pelle
marrone. Alla luce della candela sfogliò le pagine finché non ebbe
individuato il brano che cercava.
«Qui mette in discussione il culto dei santi e delle reliquie.
Ascolta: “C’è chi venera san Rocco perché crede che terrà lontana la
pestilenza dal suo corpo. Un altro mormora certe preghiere per
Barbara o Giorgio per non cadere nelle mani del nemico...
Quest’altro festeggia santa Apollonia per scongiurare il mal di denti...
Onori le ossa di Paolo chiuse in un reliquiario e non onori la mente di
Paolo nascosta nei suoi scritti? Magnifichi un pezzo della sua
carcassa che luccica attraverso un vetro e non l’intera mente di
Paolo che brilla attraverso le sue lettere?”
Ma il passo che mi ha preso il cuore è questo...» Tyndale riprese
a sfogliare le pagine.
«Eccolo: “Vorrei che tutte le donne leggessero il Vangelo e le
Lettere di San Paolo, e vorrei che fossero tradotti in tutte le lingue
dei popoli cristiani e che potessero essere letti e conosciuti non solo
da scozzesi e irlandesi ma persino da turchi e saraceni. Vorrei che il
padre di famiglia potesse cantare parte di essi al suo aratro, che il
tessitore potesse canticchiare al fuso, che il viaggiatore potesse
ingannare la noia del viaggio con i loro racconti”.
Non è bellissimo? Lui sostiene che il lettore debba essere
stimolato a investigare certe cose, e imparare. Esattamente ciò per
cui ci battevamo noi Greci a proposito del Vangelo.
Erasmo però non era un cuor di leone. Scriveva in latino, in modo
che queste sue meravigliose idee fossero appannaggio di una
ristretta cerchia di eruditi. Persino papa Leone X le aveva lette, e
apprezzate. Perché non sarebbero diventate pericolose finché
fossero rimaste confinate in una lingua che quegli stessi irlandesi e
turchi di cui parla non conoscevano.
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