Lunario. Dodici mesi di miti, feste, leggende e tradizioni popolari d’Italia – Alfredo Cattabiani

SINTESI DEL LIBRO:
Immaginatevi un serpente circolare che si morde la coda: è il simbolo
dell’anno che perpetuamente si rinnova mangiando la propria coda, ovvero
l’anno vecchio. La sua circolarità d’altronde è implicita nell’etimo del nome
latino, annus: secondo Gaio Ateio Capitone gli antichi Romani solevano
usare la particella an per circum - intorno - (1), come è testimoniato anche da
un passo delle Origines di Catone dove si dice: «aratur an terminum» ovvero
«si ari intorno al confine» (2). Da an è derivato anche l’arcaico annus con il
significato di circolo, e annulus, l’anello.
Annus è dunque l’anello del tempo, il moto circolare del tempo che
d’altronde non è soltanto un’immagine poiché la terra gira realmente intorno
al sole o, se volete, dal punto di vista di chi vive sul nostro pianeta, il sole
intorno alla terra.
Dove-quando il serpente si morde la coda? Oggi nei paesi occidentali la
rigenerazione si compie alla mezzanotte del 1o gennaio; ma in altre parti del
mondo l’anno comincia in una data diversa o per un’antica tradizione o
perché l’inizio è mobile, come nei paesi di religione musulmana dove il
tempo è misurato sulle lunazioni partendo dal 16 luglio del 622 d.C., giorno
dell’Egira, ovvero della fuga di Maometto dalla Mecca (3). Vi sono anche
popoli che adottano un calendario lunisolare, cioè hanno mesi lunari cui
aggiungono periodicamente alcuni giorni: gli ebrei per esempio hanno un
calendario lunare con dodici mesi di 29 o 30 giorni, cui aggiungono ogni tre
anni un mese supplementare fra adar e nisan; e chiamano l’anno con 13 mesi
embolismico.
D’altronde, anche in Italia si è giunti al 1o gennaio gradualmente. Nella
Roma arcaica, come testimonia il calendario attribuito a Romolo, l’anno
nuovo cominciava a primavera con il mese di marzo dedicato al dio Marte,
padre secondo la leggenda dei fondatori della città. Anche in altri paesi del
Mediterraneo e del Vicino Oriente l’anno s’iniziava con la primavera quando
il sole, dopo il semestre invernale, torna a splendere alto nel cielo e la terra si
risveglia verdeggiando e fiorendo.
Ma il calendario romuleo aveva una particolarità: era composto da dieci
mesi, mancavano infatti gennaio e febbraio, introdotti successivamente. Lo
testimoniano, fra l’altro, i nomi del calendario attuale che ricalca quello
romano riformato da Giulio Cesare, dove settembre, ottobre, novembre e
dicembre non corrispondono etimologicamente alla loro collocazione perché
non sono il settimo, ottavo, nono e decimo mese, ma il nono, decimo,
undicesimo e dodicesimo.
Macrobio sostiene che i dieci mesi erano composti da 30 o 31 giorni per un
totale di 304 (4). Plutarco invece afferma che l’anno romuleo era di 360
giorni e i mesi venivano computati in modo irrazionale e caotico: «alcuni
risultavano di 20 giorni, altri di 35, altri di più ancora» (5). Probabilmente
entrambi riportavano notizie non infondate che si riferivano tuttavia a periodi
arcaici diversi.
Sino alla fine dell’Ottocento ci si interrogava su questa divisione dell’anno
apparentemente inconsueta e soprattutto sulla sua origine e funzione. Nel
1903 una ipotesi di spiegazione venne da un saggio, La dimora artica dei
Veda, pubblicato a Poona, in India (6): il suo autore, Bâl Ganghâhar Tilak
(1856-1920), era uno studioso che spaziava dall’astronomia alla
paleontologia, dalla filologia comparata alla matematica. Esaminando i Veda,
il più antico documento scritto delle lingue indo-europee, e confrontandoli
con le scoperte scientifiche moderne, dimostrò che la dimora ancestrale del
popolo vedico, come di quelli iranici ed europei, doveva situarsi in qualche
luogo presso il polo nord prima dell’ultima era glaciale, quando il clima in
quelle zone era temperato, con estati fresche e inverni miti.
Non solo la letteratura vedica, ma anche l’Avesta iranico serba
testimonianze di una vita arcaica nelle religioni polari, di una civiltà superiore
a quella dell’epoca neolitica in Asia e in Europa: gli indo-europei dei
primordi non erano infatti uomini delle caverne ma secondo l’analisi del
Tilak, che si avvaleva della filologia comparata, sapevano filare e tessere,
conoscevano bene l’arte della lavorazione dei metalli, costruivano barche e
cocchi e avevano un’agricoltura progredita.
Poi con l’epoca glaciale furono costretti a emigrare verso il sud, chi in
direzione dell’Asia, chi dell’Europa, per trovare un clima più sopportabile.
Una delle prove che il Tilak adduce a sostegno della sua tesi riguarda proprio
il calendario: i più antichi testi vedici testimoniano infatti che in epoca
arcaica i sacrifici annuali si svolgevano nei dieci mesi di luce, composti da
due mesi estivi, durante i quali il sole non tramontava mai, e da otto nei quali
notte e giorno, di durata variabile, si alternavano. Gli altri due mesi erano
invece la lunga notte delle regioni artiche a una certa latitudine, quella
presumibilmente da cui sono giunti i nostri antenati.
Fra i più antichi sacrifici annuali i Veda descrivono il Gavâm-ayanam o
Cammino delle Vacche, che simboleggiano gli dèi dei mesi. Una leggenda
narra che le Vacche, volendo ottenere zoccoli e corna, si riunirono per
sacrificare. Nel decimo mese del loro sacrificio, ottenuti zoccoli e corna,
dissero: «Abbiamo avuto finalmente quel che desideravamo», e si alzarono.
Ma alcune Vacche rimasero sedute per continuare i riti dicendo: «Compiamo
l’anno», e caddero loro le corna per la sfiducia. Dopo aver sacrificato ancora
per due mesi, si alzarono finalmente; e se non riebbero le corna, ottennero la
ricompensa di una pastura ristoratrice nei mesi di pioggia durante i quali le
Vacche cornute trovavano invece un impedimento a pascolare liberamente
nei campi dove l’erba novella era cresciuta.
La favola allude sia al sacrificio annuale che si svolgeva originariamente in
dieci mesi, sia a quello successivo quando il popolo vedico si era trasferito in
regioni più meridionali. Giustifica cioè leggendariamente la coesistenza dei
due sacrifici nelle nuove terre, spiegabile con il tradizionale conservatorismo
rituale che non rinuncia facilmente alle pratiche antiche anche quando, come
in questo caso, non sono più giustificate dalla nuova collocazione geografica.
E infatti un testo vedico commenta significativamente: «Colui che sa questo
prospera sia che sorga dal sacrificio in 10 mesi sia in 12».
Il Cammino delle Vacche in 10 mesi, argomenta il Tilak, corrisponde
all’arcaico calendario romano: «Se consideriamo il Gavâm-ayanam di dieci
mesi e l’antico anno romano di dieci mesi come reliquie del tempo in cui gli
antenati ancestrali di ambedue le razze vissero insieme in regioni intorno al
polo nord, non troviamo difficoltà a spiegare come i giorni restanti fossero
sistemati. Si trattava del periodo della lunga notte, il tempo in cui Indra
combatteva, secondo il mito, contro Vala per riprendere le vacche
imprigionate da quest’ultimo; il tempo in cui Ercole uccideva il gigante Caco
che aveva rubato i buoi di Ercole e li aveva nascosti in una caverna tirandoli
per la coda in modo che le orme non lasciassero traccia».
Quando gli indo-europei migrarono a sud, dovettero mutare il calendario
per adeguarsi alla nuova patria aggiungendo due mesi: così sarebbe avvenuto
per i Romani che inizialmente avrebbero aggiunto ai dieci mesi i giorni
mancanti per completare l’anno solare, come sostiene Plutarco; poi, più
razionalmente, avrebbero creato due nuovi mesi, gennaio e febbraio, con il
nuovo calendario attribuito, secondo la leggenda, a Numa Pompilio. Sicché la
credenza di un calendario romuleo sostituito da quello di Numa altro non
sarebbe se non la narrazione leggendaria dell’evoluzione calendariale di un
popolo indo-europeo. p Calendari di Romolo, Numa e Giulio Cesare secondo
«I Saturnali» di Macrobio Mesi uguali in tutti (marzo, maggio, luglio,
ottobre) 1 Kalendae 2 VI Nonas 3 V Nonas 4 IV Nonas 5 III Nonas 6 pridie
Nonas 7 Nonae 8 VIII Idus 9 VII Idus 10 VI Idus 11 V Idus 12 IV Idus 13 III
Idus 14 pridie Idus 15 Idus 16 XVII Kalendas 17 XVI Kalendas 18 XV
Kalendas 19 XIV Kalendas 20 XIII Kalendas 21 XII Kalendas 22 XI
Kalendas 23 X Kalendas 24 IX Kalendas 25 VIII Kalendas 26 VII Kalendas
27 VI Kalendas 28 V Kalendas 29 IV Kalendas 30 III Kalendas 31 pridie
Kalendas
31giorni
Romolo (aprile, giugno, agosto, settembre, novembre, dicembre) 1 Kalendae
2 IV Nonas 3 III Nonas 4 pridie Nonas 5 Nonae 6 VIII Idus 7 VII Idus 8 VI
Idus 9 V Idus 10 IV Idus 11 III Idus 12 pridie Idus 13 Idus 14 XVIII
Kalendas 15 XVII Kalendas 16 XVI Kalendas 17 XV Kalendas 18 XIV
Kalendas 19 XIII Kalendas 20 XII Kalendas 21 XI Kalendas 22 X Kalendas
23 IX Kalendas 24 VIII Kalendas 25 VII Kalendas 26 VI Kalendas 27 V
Kalendas 28 IV Kalendas 29 III Kalendas 30 pridie Kalendas
31 -
30giorni
Numa
(colonna di sinistra: aprile, giugno, agosto, settembre, novembre, dicembre,
gennaio; colonna di destra: febbraio) 1 Kalendae Kalendae 2 IV Nonas IV
Nonas 3 III Nonas III Nonas 4 pridie Nonas pridie Nonas 5 Nonae Nonae 6
VIII Idus VIII Idus 7 VII Idus VII Idus 8 VI Idus VI Idus 9 V Idus V Idus 10
IV Idus IV Idus 11 III Idus III Idus 12 pridie Idus pridie Idus 13 Idus Idus 14
XVII Kalendas XVI Kalendas 15 XVI Kalendas XV Kalendas 16 XV
Kalendas XIV Kalendas 17 XIV Kalendas XIII Kalendas 18 XIII Kalendas
XII Kalendas 19 XII Kalendas XI Kalendas 20 XI Kalendas X Kalendas 21 X
Kalendas IX Kalendas 22 IX Kalendas VIII Kalendas 23 VIII Kalendas VII
Kalendas 24 VII Kalendas VI Kalendas 25 VI Kalendas V Kalendas 26 V
Kalendas IV Kalendas 27 IV Kalendas III Kalendas 28 III Kalendas pridie
Kalendas 29 pridie Kalendas -
30 - - 31 - -
29gg. 28 giorni
Giulio Cesare
(colonna di sinistra: gennaio, agosto, dicembre; colonna di destra: aprile,
giugno, settembre, novembre) 1 Kalendae Kalendae 2 IV Nonas IV Nonas 3
III Nonas III Nonas 4 pridie Nonas pridie Nonas 5 Nonae Nonae 6 VIII Idus
VIII Idus 7 VII Idus VII Idus 8 VI Idus VI Idus 9 V Idus V Idus 10 IV Idus
IV Idus 11 III Idus III Idus 12 pridie Idus pridie Idus 13 Idus Idus 14 XIX
Kalendas XVIII Kalendas 15 XVIII Kalendas XVII Kalendas 16 XVII
Kalendas XVI Kalendas 17 XVI Kalendas XV Kalendas 18 XV Kalendas
XIV Kalendas 19 XIV Kalendas XIII Kalendas 20 XIII Kalendas XII
Kalendas 21 XII Kalendas XI Kalendas 22 XI Kalendas X Kalendas 23 X
Kalendas IX Kalendas 24 IX Kalendas VIII Kalendas 25 VIII Kalendas VII
Kalendas 26 VII Kalendas VI Kalendas 27 VI Kalendas V Kalendas 28 V
Kalendas IV Kalendas 29 (*) IV Kal. (*) III Kal. 30 (*) III Kal. pridie
Kalendas 31 pridie Kalendas -
31gg. 30gg.
(mese di febbraio) 1 Kalendae 2 IV Nonas 3 III Nonas 4 pridie Nonas 5
Nonae 6 VIII Idus 7 VII Idus 8 VI Idus 9 V Idus 10 IV Idus 11 III Idus 12
pridie Idus 13 Idus 14 XVI Kalendas 15 XV Kalendas 16 XIV Kalendas 17
XIII Kalendas 18 XII Kalendas 19 XI Kalendas 20 X Kalendas 21 IX
Kalendas 22 VIII Kalendas 23 VII Kalendas 24 VI Kalendas bis VI Kalendas
25 V Kalendas VI Kalendas 26 IV Kalendas V Kalendas 27 III Kalendas IV
Kalendas 28 pridie Kal. III Kalendas 29 - pridie Kalendas
30 - - 31 - -
28 giorni 29 giorni
(da Macrobio, I Saturnali, UTET, Torino 1974)
v
Secondo un’altra recente ipotesi, sostenuta da Dario Sabbatucci, il
calendario romuleo non sarebbe mai esistito. L’anno doveva cominciare nel
nome di Giove garante dell’ordine cosmico, e dunque con le Idi di marzo; ma
la fase iniziale, la fase critica per il «passaggio» dal vecchio al nuovo anno
richiedeva l’intervento di Giano, garante di tutti gli inizi. Il periodo fra il 1o
di gennaio e marzo era dunque una preparazione, anzi una «maturazione»
dell’anno nuovo: quasi una lunga alba che si sarebbe conclusa con il periodo
equinoziale. La tesi non è tuttavia incompatibile con quella del Tilak perché,
se è vero che le popolazioni indo-europee, giunte in Italia, dovettero
elaborare un nuovo calendario, trasformarono forse il periodo «notturno», di
passaggio, nei due mesi che preparavano la maturazione dell’anno nuovo.
In ogni modo con la leggendaria riforma del secondo re di Roma i mesi (7)
divennero dodici con l’aggiunta di gennaio (Januarius) e febbraio
(Februarius). I dodici mesi - marzo, maggio, luglio e ottobre con 31 giorni;
febbraio con 28 e gli altri con 29 (8) - componevano un anno lunare di 355
giorni, un poco più lungo di quello reale che è di 354D 8H 48M 26S.
Per completare l’anno solare (365D 5H 48M 46S, 98 secondo i calcoli
attuali) mancavano circa dieci giorni e un quarto. Ma i Romani, secondo
Macrobio, commisero un errore clamoroso: ispirandosi al calendario greco,
che aveva un anno lunare di 354 giorni (9), si convinsero di dover recuperare
undici giorni e un quarto: sicché stabilirono di inserire ogni due anni
alternativamente 22 o 23 giorni intercalari. Quando fu scoperto l’errore si
decise di omettere periodicamente l’intercalazione, la quale era stata
assegnata a febbraio come ultimo mese dell’anno prima della lunazione
primaverile
(10).
Quando cadeva l’intercalazione, si toglievano al mese di febbraio gli ultimi
cinque giorni i quali, sommati ai 22 o 23 intercalari, formavano un
tredicesimo mese detto intercalaris o mercedonius (compensatorio). Il
compito di ordinare le intercalazioni era affidato ai pontefici i quali spesso
furono accusati di accorciare o allungare gli anni per abbreviare o prolungare
la durata in carica dei magistrati o degli appaltatori di imposte: sicché il
calendario legale spesso non corrispondeva all’anno solare. Alla vigilia della
riforma di Giulio Cesare il caos calendariale era diventato scandaloso: si
pensi che, secondo i calcoli attuali, il 46 a.C. ebbe inizio in realtà il 14 ottobre
del 47, ovvero 77 giorni prima.
Nel frattempo il 1o gennaio, come capodanno, stava prendendo il
sopravvento su quello di marzo. Con il 153 a.C. la data di ingresso dei
consoli, che era stata fissata nel 222 alle Idi di marzo (prima ancora era alle
Idi di settembre), venne spostata alle Calende di gennaio che assunsero così
maggiore importanza. Ma soltanto con la riforma giuliana e con l’Impero il
1o gennaio divenne l’unico Capodanno, sebbene a marzo continuassero le
feste tradizionali connesse al «rinnovamento» cosmico.
Nel 46 a.C. Giulio Cesare, avvalendosi secondo Plutarco di vari filosofi e
matematici (11), e secondo Plinio il Vecchio dell’astronomo Sosigene (12),
abbandonò l’anno lunisolare di Numa adottando l’anno solare degli Egizi.
Aggiunse 10 giorni al calendario precedente: 2 a gennaio, agosto (che allora
si chiamava Sextilis, sesto) e dicembre; 1 ad aprile, giugno, settembre e
novembre. Mancava tuttavia un quarto di giorno all’incirca per completare
l’anno solare secondo i calcoli di allora. Si stabilì di recuperare le 6 ore ogni
quattro anni inserendo un giorno in quel punto in cui s’inserivano
anticamente i giorni intercalari del calendario di Numa: al sesto giorno prima
delle Calende di marzo - il 24 febbraio odierno - che venne chiamato
bisextus, due volte sesto, poiché si ripeteva. A sua volta l’anno con un giorno
in più fu detto bisextilis, bisestile.
Per correggere lo sfasamento fra anno reale e anno legale - il 46, come si è
ricordato, era cominciato in realtà il 14 ottobre del 47 - si aggiunsero
eccezionalmente 90 giorni distribuiti in 3 mesi intercalari: 1 a febbraio, 2 fra
novembre e dicembre; sicché il 46 risultò di 445 giorni. Le Calende del 45
caddero conseguentemente il 2, ma la differenza fu recuperata rendendo
quell’anno bisestile (13). Quanto ai nomi dei mesi, vi furono due
cambiamenti: nel 44 Quintilis, così chiamato perché era il quinto nell’antico
calendario romuleo, divenne Julius (luglio) in onore di Giulio Cesare che era
nato in quel mese; e nell‘8 a.C. Sextilis divenne Augustus (agosto) in onore
del primo imperatore romano, grazie a un decreto del Senato che spiegava:
«Considerato che l’imperatore Cesare Augusto nel mese di sestile assunse la
prima volta il consolato, entrò tre volte a Roma in trionfo, condusse dal
Gianicolo le legioni che seguirono fedeli la sua causa; considerato inoltre che
in questo mese l’Egitto fu ridotto in potere del popolo romano e nello stesso
mese ebbero fine le guerre civili; considerato inoltre che questo mese è stato
molto fortunato per l’Impero, il senato decreta che esso sia chiamato agosto»
(14). Sicché oggi ancora, nonostante qualche tentativo di cambiamento nel
corso dei secoli, i dodici mesi dell’anno corrispondono, anche nel nome, al
calendario romano in vigore agli inizi della nostra era
(15).
L’unica differenza riguarda il mese bisestile, febbraio, che non cade più
regolarmente ogni 4 anni. Questo cambiamento è dovuto all’ultima, per ora,
riforma calendariale che risale al 1582. Nel calendario giuliano si era
calcolata la durata dell’anno in 365 giorni e 6 ore con una differenza in più,
rispetto al corso del sole (365D 5H 48M 46S, 98) di circa 11M 13S, 2.
Eppure l’astronomo Tolomeo l’aveva già calcolato nel secolo II in 365, 247
giorni, avvicinandosi ai nostri calcoli.
L’eccedenza formava, ogni 128 anni, un giorno in più facendo retrocedere
l’equinozio di primavera, come il solstizio invernale: si pensi che tra il 1325 e
il 1350 quest’ultimo cadeva il 13 dicembre, festa di santa Lucia, e sarebbe
caduto qualche giorno prima se nel 325 il concilio di Nicea non avesse già
corretto empiricamente l’errore riportando il solstizio alla data canonica. Nel
secolo XVI, alla vigilia della riforma gregoriana, era addirittura retrocesso
all‘11 dicembre.
Fin dal medioevo si erano studiati vari metodi di riforma, ma soltanto nel
Cinquecento si trovò una soluzione abbastanza soddisfacente. Leone X se ne
occupò consultando astronomi e matematici, e facendo pubblicare vari scritti
sull’argomento durante il quinto Concilio Lateranense (1513-1517). Ma fu
Gregorio XIII a decidere la riforma il 24 febbraio 1582 con la bolla Inter
gravissimas, secondo il progetto di Luigi Giglio approvato da matematici di
tutta l’Europa.
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