L’ordine occulto degli alchimisti – Karen Mahoney

SINTESI DEL LIBRO:
Questo è ciò che si sarebbe ripetuta Donna Underwood nei giorni
successivi. Se solo non si fosse lasciata convincere da Nav ad
accompagnarlo, forse sarebbe stato tutto diverso. Forse non
sarebbe accaduto il disastro.
Ma Donna diventava vulnerabile quando si trattava del suo
migliore amico, Navin Sharma. Era sufficiente che lui la fissasse
tutto triste con quei suoi occhioni castani, e lei l’avrebbe seguito
anche all’inferno. O, come in questo caso, in una strana casa piena
di ragazzi che la consideravano la creatura più stramba del pianeta.
Il che era più o meno lo stesso.
Quella non era esattamente la sua idea di un sabato sera
divertente, soprattutto perché la maggior parte di quei tipi
frequentava il liceo da cui lei era stata sbattuta fuori l’anno prima. Ma
Navin voleva a tutti i costi partecipare alla festa “più cool” della
stagione, e voleva a tutti i costi che ci andasse anche lei. Sarebbe
stato molto più che un semplice raduno, le aveva assicurato tutto
allegro; si trattava di un evento importantissimo, organizzato da uno
che si era diplomato al Liceo di Ironbridge e aveva già mollato
l’università. I suoi genitori, gente ricca da far schifo, erano in
vacanza. Ormai si parlava di quella festa da settimane. Ovvio che
tutti volessero andarci.
Il che era esattamente ciò che la spaventava.
Una volta arrivata, Donna approfittò della prima occasione buona
per cercare di rendersi invisibile. Trovò un angolo buio del soggiorno,
si appoggiò al muro e si mise a giocherellare con la sciarpa
argentata, riannodandola per quella che poteva essere la centesima
volta. Con i jeans ricamati, la maglietta nera e argento e i lunghi
guanti di velluto nero, era molto più appariscente di quanto avesse
voluto. E non le era certo d’aiuto il fatto di essersi alzata di pessimo
umore, svegliata dal peso del terrore, una sensazione che ben
conosceva. I sogni la lasciavano sempre in quello stato.
Poco prima, quella sera, lei e Navin erano scesi dall’autobus alla
stazione centrale e si erano diretti a casa dei Grayson. Mentre la
città si chiudeva attorno a loro, con tutto quel ferro e quell’energia,
Donna aveva sentito la forza che le premeva sotto i piedi.
L’adrenalina le pompava il sangue nelle vene, facendola sentire
stordita. Mani e braccia, nella morsa del ferro, pulsavano all’unisono
con il battito del cuore della città. E sapeva che, se solo avesse
voluto, avrebbe potuto frantumare le ossa della mano di Navin senza
il minimo sforzo.
Donna possedeva una forma di magia. Non una magia qualunque,
bensì una magia antica e alchemica, rimasta sepolta nelle leggende
per secoli. Eppure la consapevolezza delle sue capacità non la
faceva sentire né speciale né potente. Riusciva solo a farla sentire
ancora più sola.
Ma quella sera non era sola; si era lasciata trascinare per le strade
da Navin, fingendo di non essere terrorizzata a morte. Le dita si
ripiegavano d’istinto dentro i suoi guanti preferiti, mentre tentava di
respingere l’impulso di fuggire.
«Via quel muso lungo, Underwood. Sei soltanto un po’ nervosa».
Nella voce di Navin c’era una nota divertita, che il ragazzo non si
sforzava nemmeno di nascondere. Le aveva dato un colpetto sul
dorso della mano prima di lasciarla andare.
Donna aveva aggrottato la fronte. «E perché diavolo dovrei essere
nervosa, scusa?».
Navin l’aveva guardata come se fosse stupida.
Lei gli aveva sferrato un pugno scherzoso sulla spalla, più forte di
quanto volesse. I guanti potevano nascondere i tatuaggi, quegli
strani simboli che non mostrava nemmeno a Navin, ma non
riuscivano a dissimulare la forza che possedeva. Uno dei tanti
segreti che era costretta a mantenere. La “versione ufficiale” del
motivo per cui nascondeva sempre braccia e mani era che aveva
subito diversi trapianti di pelle per curare le ustioni provocate da un
incendio. Donna odiava mentire, ma non aveva molta scelta (o
almeno questo era ciò che continuava a ripetersi). E doveva stare
sempre molto attenta a non far trapelare quanto fosse forte in realtà;
negli ultimi tre anni passati accanto a Navin, aveva vissuto nel
terrore di fargli del male.
«Ehi, vacci piano, Wonder Woman». Navin si era grattato i bicipiti
per poi tenderli, mettendo in mostra la sua totale mancanza di
muscoli.
«Scusa». Donna non era riuscita a trattenere una risatina. Navin
era un tale idiota, a volte, e a lei piaceva proprio per questo. Eppure,
nonostante fossero così intimi, c’erano tantissime cose che non gli
aveva mai rivelato sulla sua famiglia e sull’Ordine del Drago. Come
per esempio… be’, praticamente tutto. E non perché le fosse proibito
(come in effetti era), ma soltanto perché voleva proteggerlo.
Navin le aveva messo un braccio intorno alle spalle, in un gesto di
conforto, mentre attraversavano la strada un attimo prima che
scattasse il rosso. «Su, Don, c’è qualcosa che non va, lo so, ti
conosco troppo bene».
La ragazza era rabbrividita, incapace di guardarlo negli occhi.
«Niente panico, non ho intenzione di farti il terzo grado adesso. Mi
racconterai tutto alla festa».
Donna aveva fatto una smorfia. «Già, non vedo l’ora».
Navin le aveva rivolto uno sguardo canzonatorio. «È solo che non
vuoi andarci».
Donna aveva fatto un’altra smorfia. «Che scoperta! Una festa in
mezzo all’“élite” non è proprio la mia idea di divertimento. E poi non
saranno contenti quando mi vedranno arrivare. Rischi di rovinarti la
reputazione facendoti vedere a una festa con me».
«Così giovane e già così cinica».
«È vero, e lo sai».
Navin era scoppiato a ridere. «Di quale reputazione dovrei
preoccuparmi, scusa? Sono molto in basso nella classifica dei tipi
fighi. Sono diverso, ma non abbastanza perché si sprechino a darmi
il tormento».
«Come invece fanno con me». Donna si era incupita.
Navin l’aveva condotta oltre un barbone con indosso una maglietta
degli AC/DC e un cappotto logoro lungo fino ai piedi, che se ne stava
dritto in mezzo al marciapiede. Gli altri pedoni gli passavano accanto
come acqua attorno a un sasso. «Dài, smettila di autocommiserarti».
«Possiamo andarcene appena smetto di divertirmi?»
«Certo. Ovviamente questo significa che devi divertirti almeno un
po’ prima che prendiamo in considerazione l’idea di tornare a
casa…». Navin le aveva arruffato i capelli sorridendo, e si era
scansato di scatto in modo che lei non potesse colpirlo di nuovo.
Quello stesso sorriso ora risplendeva, rivolto verso di lei,
attraverso la stanza in penombra, una stanza piena di adolescenti
che si divertivano in quel modo incomprensibile. Donna raddrizzò le
spalle e sollevò il mento, esaminando i gruppetti formati da ragazzi
che conosceva a malapena e che avrebbe preferito non conoscere.
Aveva passato la maggior parte della vita cercando di adattarsi, ed
era diventato tutto ancora più difficile dopo “l’incidente”. Allora aveva
abbandonato il liceo e deciso che avrebbe preso lezioni private
dall’Ordine: tutti ritenevano che fosse meglio per lei presentarsi solo
agli esami, ed erano stati adottati provvedimenti speciali. E adesso
eccola qui, circondata da un branco di suoi ex compagni di scuola,
che la ritenevano la sfigata più sfigata del pianeta. Una Sfigata con
la S maiuscola. Una stramba.
Nonostante fosse una missione impossibile, Donna aveva
promesso a Nav che avrebbe almeno tentato di mescolarsi agli altri.
Non che avesse molta scelta. Avrebbe preferito essere a casa
assieme a zia Paige, ma la zia era a Boston per un viaggio di lavoro
e sarebbe tornata tardi.
Navin incrociò di nuovo il suo sguardo dall’altra parte della stanza
e sorrise, i denti scintillanti in contrasto con la pelle color cannella.
Oggi i suoi capelli neri erano puliti, pettinati all’indietro e lunghi fino al
colletto dell’immancabile giubbotto in finta pelle rosso e nero da
motociclista (un accessorio, a quanto pareva, indispensabile per
scorrazzare lungo le strade affollate di Ironbridge in sella alla sua
vecchia bici scassata, neanche fosse su una pista da motocross).
Donna annuì e cercò di ricambiare il sorriso, sperando che Navin
non si fosse accorto di quanto si sentisse giù. Non voleva rovinare
tutto, solo per lui. Ma alla fine, di cosa si preoccupava? I suoi ex
compagni di scuola non l’avrebbero mai accettata. Ne aveva avuto la
prova nell’istante stesso in cui erano arrivati. Appena entrati, la
prima cosa che le aveva detto Melanie Swan – che aveva detto di
lei, per essere precisi – era stata, rivolta a Navin: «Perché hai
portato la stramba?».
Solo la mano di Navin l’aveva trattenuta dal cacciarle la bottiglia di
quel che stava bevendo giù per la sua bella gola. O addirittura dritto
in un posto molto più doloroso, aveva pensato, spietata. Navin le
aveva lanciato un’occhiata di rimprovero, poi aveva sgridato la
popolare presidentessa del consiglio di classe per essere stata così
scortese con la sua amica. «Mi aspettavo di meglio da te, Mel»,
aveva detto in tono insolitamente severo. «Dovresti dare l’esempio.
E intendo dire il buon esempio».
Strano ma vero, Melanie si era morsa la lingua e si era scusata.
Con Navin, naturalmente, non con lei. Poi aveva cominciato a
giocherellare con una ciocca dei lucenti capelli biondi e si era messa
a fare la scema con lui.
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