L’occhio della mente – Oliver Sacks

SINTESI DEL LIBRO:
Caro dottor Sacks,
in estrema sintesi, e senza usare termini medici, il mio problema
(decisamente insolito) è il seguente: non riesco a leggere. Non riesco a
leggere la musica – ma neppure il resto. Dall’oculista leggo le singole lettere
sul tabellone fino all’ultima riga. Ma non riesco a leggere le parole, e la
musica mi pone lo stesso problema. Ho lottato con questa situazione per anni,
sono andata dai migliori specialisti, ma nessuno è stato in grado di aiutarmi.
Le sarei molto riconoscente se potesse trovare il tempo per visitarmi – mi
farebbe davvero felice.
Cordiali saluti,
Lilian Kallir
Chiamai la signora Kallir al telefono; in circostanze normali avrei risposto
per iscritto, ma nel suo caso sembrava più opportuno parlarle, perché sebbene
in apparenza non avesse alcuna difficoltà a redigere una lettera, mi aveva
detto di non essere assolutamente in grado di leggere. La chiamai e le diedi
appuntamento alla clinica neurologica dove lavoravo.
Poco tempo dopo, Lilian – una donna di sessantasette anni, colta e piena di
brio, con un forte accento praghese – venne in clinica e mi raccontò la sua
storia fornendomi un maggior numero di dettagli. Era una pianista, mi disse,
e in effetti io la conoscevo di nome come brillante interprete di Chopin e
Mozart (aveva tenuto il suo primo concerto in pubblico all’età di quattro anni,
e Gary Graffman, il famoso pianista, l’aveva definita «uno dei più grandi
talenti musicali naturali che io abbia mai conosciuto»).
Il primo segno di qualcosa che non andava si era presentato nel 1991, durante
un concerto. Lilian doveva eseguire alcune composizioni per pianoforte di
Mozart, e all’ultimo momento c’era stato un cambiamento di programma: il
Concerto n. 19 era stato sostituito con il n. 21. Esaminandone la partitura,
tuttavia, Lilian aveva provato un grande smarrimento nel trovarla totalmente
inintelligibile. Sebbene vedesse, chiari e ben definiti, pentagrammi, linee e
singole note, nulla di tutto ciò le pareva coerente, né aveva per lei la minima
logica. Lilian pensò che la difficoltà dovesse avere a che fare con gli occhi;
eseguì comunque il concerto a memoria in modo impeccabile, e liquidò lo
strano incidente come una di quelle «cose che capitano».
Diversi mesi dopo, il problema si ripresentò, e la sua capacità di leggere le
partiture cominciò a fluttuare. Se era stanca o ammalata, la cosa le riusciva
quasi impossibile; quando era riposata, invece, la sua lettura a prima vista
aveva la rapidità e la naturalezza di sempre. In generale, tuttavia, il problema
andò peggiorando, e sebbene Lilian (così mi chiese di chiamarla) continuasse
a insegnare, a tenere concerti in giro per il mondo e a registrare dischi,
doveva fare sempre più affidamento sulla memoria e sul suo vasto repertorio
musicale – giacché ormai le era impossibile imparare nuovi brani leggendo
una partitura. «In passato ero bravissima» mi disse. «Suonavo un concerto di
Mozart a prima vista senza difficoltà, ma ora non ci riesco più».
A volte, durante i concerti, Lilian aveva vuoti di memoria che tuttavia, da
abile improvvisatrice qual era, riusciva quasi sempre a mascherare. Quando si
sentiva a suo agio, in compagnia di amici o allievi, sembrava suonare bene
come sempre. E così – per inerzia, per paura, o forse per una sorta di
adattamento – poté ignorare i problemi di lettura, anche perché non aveva
altri disturbi visivi, ed era comunque in grado di condurre ancora un’intensa
vita artistica grazie alla memoria e all’ingegno.
Nel 1994, quando ormai erano passati circa tre anni dal momento in cui si era
accorta dei suoi problemi nel leggere la musica, Lilian cominciò ad avere
difficoltà con le parole. Anche qui, c’erano giorni buoni e meno buoni, e
perfino casi in cui la capacità di leggere pareva cambiare da un momento
all’altro: sulle prime, una frase poteva sembrarle strana, inintelligibile; e poi,
all’improvviso, tutto si schiariva, e non aveva alcuna difficoltà a leggerla. La
capacità di scrivere, tuttavia, era rimasta assolutamente integra, e Lilian
continuò a mantenere una fitta corrispondenza con ex allievi e colleghi sparsi
in tutto il mondo, anche se doveva appoggiarsi sempre di più al marito sia per
leggere le lettere che riceveva, sia per rileggere le proprie.
L’alessia pura, ovvero non accompagnata da difficoltà di scrittura (alexia sine
agraphia), non è poi così rara; di solito però insorge all’improvviso, in
seguito a un ictus o a un’altra lesione cerebrale. Meno spesso, l’alessia si
sviluppa gradualmente, quale conseguenza di una malattia degenerativa come
l’Alzheimer. Lilian però era la prima persona in cui mi fossi imbattuto la cui
alessia si era manifestata a partire dalla notazione musicale: un’alessia
musicale.
Nel 1995 Lilian stava ormai cominciando a sviluppare ulteriori problemi
visivi. Si accorse che tendeva a lasciarsi «sfuggire» gli oggetti che si
trovavano alla sua destra e così, dopo qualche incidente di poco conto, decise
che fosse meglio rinunciare alla guida.
A volte si era anche chiesta se il suo strano problema di lettura non potesse
avere un’origine neurologica, invece che oculistica. «Com’è che riconosco le
singole lettere, perfino quelle minuscole dell’ultima riga del tabellone
dell’oculista, e però non riesco a leggere?» si domandava. Poi, nel 1996,
cominciò a compiere errori sporadici ma imbarazzanti – per esempio le capitò
di non riconoscere alcuni vecchi amici – e si scoprì a pensare a uno dei miei
pazienti, il quale vedeva tutto nitidamente, ma non riusciva a riconoscere
nulla di quanto vedeva: un caso di cui aveva letto anni prima, intitolato
«L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello». La prima lettura, nel
1986, l’aveva fatta sorridere; ora però cominciava a interrogarsi sulla
possibilità di inquietanti analogie con i suoi problemi.
Infine, ad almeno cinque anni di distanza dall’insorgere dei sintomi iniziali,
Lilian fu indirizzata a una clinica neurologica universitaria per un esame
completo. In una serie di test neuropsicologici – sulla percezione visiva, la
memoria, la fluenza verbale, eccetera – diede prestazioni particolarmente
scarse nel riconoscimento di alcuni disegni: scambiò un violino per un banjo,
un guanto per una statua, un rasoio per una penna e una pinza per una banana.
(Quando le chiesero di scrivere una frase, si produsse in un «Questo è
ridicolo»). Presentava, in modo fluttuante, una mancanza di consapevolezza,
o «inattenzione», sulla destra, e una scarsissima capacità di riconoscimento
dei volti (che fu misurata chiedendole di riconoscere le fotografie di
personaggi famosi). Era in grado di leggere, ma solo lentamente, una lettera
per volta. Prima leggeva una C, poi una A, e infine una T, e solo allora,
faticosamente, cat, «gatto», senza riconoscere la parola a colpo d’occhio nella
sua interezza. Tuttavia, quando le si mostravano alcune parole troppo
velocemente perché potesse decifrarle in questo modo, riusciva comunque a
classificarle in categorie significative, per esempio «viventi» e «non viventi»,
pur non avendo alcuna consapevolezza di ciò che volessero dire.
A dispetto di questi gravi problemi visivi, le sue capacità di comprensione del
linguaggio, così come quelle di ripetizione e fluenza verbale, erano tutte
normali. Anche la risonanza magnetica cerebrale era nella norma, ma quando
fu eseguita una PET – la tomografia a emissione di positroni, un esame in
grado di rilevare lievi cambiamenti metabolici nelle diverse aree cerebrali
anche quando queste ultime appaiono anatomicamente normali – emerse che
nella parte posteriore del cervello, a livello della corteccia visiva, Lilian
presentava un’attività metabolica ridotta. Tale riscontro era più marcato sul
lato sinistro. Constatando il graduale aumento delle sue difficoltà nel
riconoscimento visivo – difficoltà che si erano estese dalla musica alle parole
e poi ai volti e agli oggetti –, i neurologi che l’avevano esaminata pensavano
che Lilian fosse affetta da una patologia degenerativa, una cosiddetta «atrofia
corticale posteriore», che, sebbene al momento confinata alle parti posteriori
del cervello, con ogni probabilità sarebbe andata lentamente e costantemente
peggiorando.
La patologia di base non era passibile di alcuna cura radicale, ma i neurologi
ritenevano che Lilian potesse beneficiare di alcune strategie, per esempio
quella di «indovinare» le parole quando non riusciva a leggerle nel modo
normale (giacché era chiaro che possedeva ancora qualche meccanismo che
le consentiva di riconoscerle in modo inconscio o preconscio). Essi
reputavano inoltre che Lilian potesse avvalersi anche di un’ispezione
deliberata e ipercosciente degli oggetti e dei volti, osservandone in modo
particolare gli aspetti distintivi, così da poterli identificare in futuri incontri
nonostante la compromissione del normale meccanismo «automatico» di
riconoscimento.
Come mi raccontò lei stessa, nei circa tre anni trascorsi fra questo esame
neurologico e la mia prima visita, Lilian aveva continuato a tenere concerti,
sebbene non in modo altrettanto brillante, né con la stessa frequenza di un
tempo. Il suo repertorio si era ridotto, poiché ormai non le riusciva più di
controllare visivamente nemmeno le partiture che conosceva bene. «La mia
memoria non era più alimentata» osservò. Alimentata visivamente: questo
intendeva dire; pensava infatti che la memoria e l’orientamento facenti capo
all’udito si fossero invece sviluppati, al punto che adesso, molto più di prima,
era in grado di apprendere e riprodurre un brano a orecchio. In questo modo,
Lilian riusciva non solo a ripetere un brano musicale (a volte dopo un solo
ascolto), ma anche ad arrangiarlo mentalmente. Ciò nondimeno, c’era stato, a
conti fatti, un impoverimento del suo repertorio e un diradamento delle sue
esibizioni in pubblico. Continuava a suonare in contesti più informali e a
tenere corsi di specializzazione al conservatorio.
Porgendomi i referti degli esami neurologici eseguiti a partire dal 1996,
commentò: «Tutti i medici ripetono la stessa solfa: “atrofia corticale
posteriore dell’emisfero sinistro, molto atipica”. Poi sorridono con un’aria di
scusa – ma non ci possono fare nulla».
Quando la visitai, Lilian non aveva difficoltà ad abbinare colori o forme, né a
percepire il movimento o la profondità. Mostrava invece seri problemi in altre
aree. Ormai non riusciva più a riconoscere singole lettere o cifre (sebbene
non avesse ancora nessuna difficoltà a scrivere frasi intere). Aveva, inoltre,
un’agnosia visiva più generale, così che quando le mostrai alcune immagini
chiedendole di identificarle, faticò perfino a riconoscerle in quanto immagini:
a volte fissava una colonna di testo o un margine bianco, pensando che si
trattasse dell’illustrazione sulla quale la stavo interrogando. Ricordo che di
una disse: «Vedo una V, molto elegante, due puntini qui, e poi un ovale, con
alcuni piccoli punti bianchi in mezzo. Non so che cosa possa essere». Quando
le rivelai che si trattava di un elicottero, si mise a ridere imbarazzata. (La V
era un gancio di sollevamento; l’elicottero stava scaricando aiuti alimentari
per un gruppo di profughi. I due puntini erano ruote, e l’ovale il corpo
dell’elicottero). Ormai vedeva solo singoli aspetti di un oggetto o di
un’immagine, e non era in grado di farne una sintesi, di coglierli nel loro
insieme, e meno che mai di interpretarli correttamente. Le mostrai poi la
fotografia di un volto, ma riuscì solo a percepire che la persona ritratta
portava gli occhiali, e nient’altro. Quando le chiesi se vedesse chiaramente,
Lilian rispose: «Non è un’immagine sfocata, è una massa informe: una massa
informe di sagome e dettagli nitidi, puliti, definiti, ma inintelligibili
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