La stirpe di Maria Maddalena – Kathleen McGowan

SINTESI DEL LIBRO:
Roma, 161 d.C.
L’imperatore romano Antonino Pio non era un macellaio.
Studioso e filosofo, non voleva passare alla storia come un tiranno crudele
e spietato. Eppure era lì, letteralmente immerso fino alle caviglie nel sangue
dei cristiani. Da vivi, i quattro fratelli erano stati giovani di una bellezza
straordinaria. Ma dopo quella morte terribile causata da percosse e torture,
erano solo un ammasso irriconoscibile di carne maciullata. Quella vista lo
nauseava, ma non poteva mostrarsi debole davanti ai suoi sudditi.
In linea di massima, Antonino Pio era tollerante nei confronti della
fastidiosa minoranza dei cosiddetti cristiani. Trovava persino stimolante
partecipare ai dibattiti con quelli che erano istruiti e ragionevoli. Sebbene
personalmente ritenesse bizzarre le loro convinzioni – riguardo a quel
messia che era risorto e sarebbe tornato – le loro idee, a quanto pareva, si
stavano diffondendo in tutta Roma con la forza di una marea. Nella capitale
diversi nobili si erano già ufficialmente convertiti alla nuova religione e il
governo tollerava che prendessero parte ai suoi riti. Questa setta in continua
espansione stava guadagnando molto seguito in particolare fra le donne di
alto lignaggio; le donne erano ammesse al pari degli uomini a qualsiasi rito
o cerimonia. Nello strano nuovo mondo delle credenze e delle pratiche
cristiane potevano persino diventare sacerdotesse.
I sacerdoti romani che si riunivano nei templi di Giove e di Saturno erano
indignati dal fatto che a questi devoti fosse permesso di offendere gli dèi
con quel ridicolo concetto di una sola divinità. In genere Antonino Pio
ignorava le loro lamentele, e così per quasi tutto il suo impero la vita a
Roma trascorse in modo relativamente pacifico. Era solo quando qualche
aberrazione arrivava a mettere in pericolo la salute pubblica, quando si
verificava una tragedia o un disastro naturale, che i cristiani si ritrovavano
gravemente minacciati. I sacerdoti pagani, e i loro seguaci, non esitavano a
incolparli di qualsiasi calamità potesse verificarsi a Roma. Era senz’altro il
loro insulto monoteistico ai veri dèi della patria a far sì che il castigo divino
ricadesse sugli altri cittadini innocenti e ligi.
Durante i suoi dibattiti l’imperatore stesso aveva scoperto che esistevano
due tipi di cristiani: i fanatici dallo sguardo allucinato, che spesso
sembravano ansiosi di morire per dimostrare la loro ardente devozione, e i
fedeli davvero ragionevoli e misericordiosi che si dedicavano ad aiutare i
poveri e a curare gli ammalati piuttosto che a predicare e convertire.
Antonino Pio preferiva di gran lunga i secondi: erano persone che stavano
dando un contributo concreto alle loro comunità e si trattava di cittadini
preziosi. Questi cristiani, che lui chiamava i Misericordiosi, amavano
raccontare storie del loro messia e della sua grande abilità di guaritore e
citavano proprio le sue sagge parole sul bisogno di carità. Molto spesso,
parlavano in modo appassionato del potere dell’amore e delle sue molteplici
forme. In realtà a Roma c’erano addirittura alcuni devoti che si
dichiaravano discendenti diretti del loro messia attraverso i suoi figli, che si
erano stabiliti in Europa. Erano quegli stessi Misericordiosi che lavoravano
senza sosta per aiutare i poveri e i sofferenti. Il loro capo indiscusso era una
nobile splendida e carismatica di nome Petronia, erede di una delle più
antiche famiglie romane. Con la sua chioma fiammeggiante, Petronia era
molto amata dal popolo della capitale, malgrado non nascondesse affatto la
sua fede, perché usava la propria ricchezza con generosità per il bene
comune e predicava solo il bisogno di amore e tolleranza. Se Petronia e i
suoi Misericordiosi fossero stati gli unici cristiani presenti a Roma, quella
terribile ondata di massacri probabilmente non sarebbe mai cominciata.
Ma il gruppo di cristiani che Antonino Pio chiamava i Fanatici era tutta
un’altra storia. Al contrario dei Misericordiosi, che parlavano in tono
amorevole e devoto del loro messia come del grande maestro del percorso
spirituale che chiamavano la Via dell’Amore, i Fanatici predicavano a gran
voce l’esistenza di un unico vero Dio che avrebbe eliminato tutti gli altri e
portato un regno di terrore per i miscredenti al momento del giudizio finale.
I romani si sentivano profondamente offesi da questa prospettiva, e i
Fanatici aggravavano l’offesa insistendo nell’affermare che la vita sulla
terra non aveva importanza e che contava solo quella ultraterrena. Per i
sacerdoti e i devoti pagani, una filosofia simile, un così vile disprezzo del
dono della vita che gli dèi avevano concesso ai mortali, rappresentava un
autentico sacrilegio. Era incomprensibile per un popolo che celebrava
l’esperienza dei sensi fisici con innumerevoli festività. Per la maggior parte
dei romani i Fanatici erano un misterioso prodotto della follia, una setta di
individui da evitare se non addirittura da temere.
Erano dunque i Fanatici a suscitare l’ira del popolo, anche quando non
c’erano catastrofi naturali con cui lottare. Ma quando un’epidemia di febbri
mortali colpì un ricco sobborgo della capitale, i sacerdoti di Saturno
cominciarono a reclamare il sangue dei cristiani per placare il loro dio.
Al centro del dramma che si preparava c’era una ricca vedova romana.
Felicita, era questo il suo nome, si era convertita al nuovo culto dopo la
morte improvvisa dell’amatissimo marito, rinnegando gli dèi romani. Si
diceva che, rimasta sola ad allevare sette figli senza un padre, fosse
impazzita per il dolore causato dalla perdita. Felicita ricevette le visite di
alcuni cristiani che le offrirono conforto durante il lutto e trovò forza e
consolazione nella prospettiva estremista dei Fanatici sull’importanza
assoluta della vita ultraterrena. In quest’ottica, Felicita si rasserenò
pensando che il marito si trovava in un luogo migliore, dove un giorno lo
avrebbe raggiunto anche lei, e che sarebbero stati di nuovo una famiglia con
i loro figli in paradiso.
Anche se Felicita ardeva di passione come ogni nuovo convertito e tutti i
giorni trascorreva ore in ginocchio a pregare, la maggior parte dei nobili
della sua comunità non si curava troppo del suo comportamento, che
considerava una scelta personale. Inoltre, Felicita era caritatevole e
generosa, aveva donato una parte del patrimonio del marito defunto per la
costruzione di un infirmarium e mandava regolarmente i figli più grandi ad
aiutare gli ammalati. Di conseguenza i suoi ragazzi, belli e forti, erano
molto benvoluti dagli abitanti della zona. Avevano età molto diverse: il più
giovane, quello dalla chioma dorata di nome Marziale, era nella sua settima
estate, mentre il più grande, l’alto e atletico Gianuario, aveva vent’anni.
I rapporti tra Felicita e la comunità erano pacifici, finché l’epidemia non
dilagò in città. Colpiva a intermittenza e in modo casuale, ma quanti ne
erano affetti di rado sopravvivevano alle altissime febbri che
accompagnavano il vomito e le convulsioni. Quando il primogenito di un
sacerdote di Saturno fu stroncato dal morbo, l’uomo, sconvolto, chiamò a
raccolta la popolazione affinché si unisse a lui nell’accusare Felicita e i suoi
figli di aver attirato su di loro l’ira degli dèi. Saturno aveva manifestato la
propria volontà colpendo un suo rappresentante: i romani dovevano opporsi
con tutte le forze ai cristiani, i quali osavano tradire le loro antiche divinità.
Gli dèi non lo avrebbero tollerato, e di certo non un dio come Saturno, che
era il patriarca dispotico e spietato del pantheon romano. Non aveva forse
divorato i propri figli per scongiurare il rischio di essere da loro
detronizzato?
Felicita e i suoi sette figli furono quindi portati davanti al magistrato della
regione, Publio. In considerazione della nobiltà di Felicita non furono
incatenati né legati, ma ebbero il permesso di entrare in tribunale
liberamente. Felicita era una donna bella, alta e robusta, con morbidi capelli
neri e il portamento di una regina. Rimase dritta e fiera al cospetto della
corte, senza mai tentennare o mostrarsi impaurita.
Il procedimento cominciò senza fretta e fu condotto secondo l’ordine
previsto. Malgrado il giudice Publio diventasse molto severo se provocato,
non era spietato come altri magistrati. In tono misurato lesse ad alta voce le
accuse a carico di Felicita e dei suoi figli.
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