Il mio nome è Nessuno- Massimo Manfredi

SINTESI DEL LIBRO:
Mi chiamarono Odysseo perché così aveva stabilito mio nonno Autolykos, re
di Acarnania, giunto in visita al palazzo un mese dopo la mia nascita. E presto
mi resi conto che gli altri avevano un padre e io non l’avevo. La sera, prima di
addormentarmi, chiedevo alla nutrice: «Mai, dov’è mio padre?».
«È partito con altri re e guerrieri alla ricerca di un tesoro in un luogo
lontano.»
«E quando torna?»
«Non lo so. Non lo sa nessuno. Quando si parte per mare non si sa quando
si torna. Ci sono le tempeste, i pirati, gli scogli. Può succedere che la nave
vada distrutta e che qualcuno si salvi nuotando verso terra. Ma poi deve
aspettare che passi un’altra nave e possono trascorrere mesi, anni. Se poi si
ferma un vascello pirata, li prende e li vende come schiavi nel porto
successivo. Quella del marinaio è una vita rischiosa. Il mare nasconde mostri
terribili e creature misteriose che vivono negli abissi e salgono alla superficie
nelle notti senza luna... Ma adesso dormi, piccolo.»
«Perché è andato a cercare un tesoro?»
«Perché ci sono andati tutti i guerrieri più forti di Achaja. Poteva tuo padre
mancare? Un giorno i cantori racconteranno questa storia e i nomi degli eroi
che vi hanno preso parte saranno ricordati in eterno.»
Io annuivo con il capo come per approvare ma non capivo del tutto perché
si dovesse partire, rischiare la vita solo perché qualcuno un giorno cantasse di
te raccontando che avevi avuto il coraggio di partire e di rischiare la vita.
«Perché devo dormire con te, mai? Perché non posso dormire con mia
madre?»
«Perché tua madre è la regina e non può dormire con uno che bagna
ancora il letto.»
«Io non bagno il letto.»
«Bene» rispose la nutrice, «da domani dormirai da solo.» E così fu. Mia
madre allora, la regina Anticlea, mi fece trasferire in una camera tutta mia
con un letto di quercia decorato con intarsi d’osso. Mi fece dare una coperta
di lana fine ricamata con fili di porpora.
«Perché non posso dormire con te?»
«Perché non sei più un bambino e perché sei un principe. I principi non
hanno paura a dormire da soli. Ma per un po’ ti manderò Femio. È un bravo
giovane: sa tante bellissime storie e te le canterà finché non sarai preso dal
sonno.»
«Quali storie?»
«Quelle che vuoi tu: le imprese di Perseo contro Medusa, di Teseo contro il
Minotauro e tante altre.»
«Posso chiederti una cosa?»
«Certo» rispose mia madre.
«Questa sera vorrei che fossi tu a raccontarmi una storia, quella che vuoi.
Una cosa che ha fatto mio padre. Raccontami di quando lo hai incontrato la
prima volta.»
Sorrise e si sedette vicino a me accanto al letto: «Accadde quando mio
padre lo invitò a una battuta di caccia. I nostri regni erano confinanti, quello
di Laerte a occidente sulle isole, quello di mio padre in terraferma. Era un
modo per fare causa comune, per allearci contro invasori esterni. Fui
fortunata. Poteva capitarmi di sposare un vecchio grasso e calvo: tuo padre
invece era bello e forte; aveva soltanto otto anni più di me. Solo, non sapeva
cavalcare. Fu mio padre a insegnargli e gli regalò anche un cavallo».
«Tutto qui?» le domandai. Immaginavo una lotta per liberarla da un
mostro o da un crudele despota che la teneva prigioniera.
«No» rispose, «ma non posso dirti altro. Un giorno, forse. Quando potrai
capire.»
«Io posso già capire.»
«No. Non ora.»
Passò un altro anno senza che arrivassero notizie del re, ma avevo un
maestro, ora, che sapeva tutto e mi aveva raccontato di mio padre. Avventure
di caccia, incursioni, battaglie contro i pirati: storie più belle di quelle che mi
raccontava mia madre. Lui, il maestro, si chiamava Mentore. Era un giovane
con gli occhi scuri e una barba nera che lo faceva sembrare più grande di quel
che non fosse. Sapeva rispondere a qualunque domanda tranne che all’unica
che mi interessava: “Quando torna mio padre?”.
«Ma tu te lo ricordi tuo padre?»
Accennai di sì con il capo.
«Ah sì? Allora di che colore ha i capelli?»
«Neri.»
«Tutti hanno i capelli neri su questa isola. E lo sguardo?»
«Acuto. Colore del mare.»
Mentore mi scrutò fino in fondo agli occhi: «Lo ricordi davvero o cerchi di
indovinare?».
Non risposi.
Mio padre tornò l’anno dopo, al finire della primavera. La notizia arrivò al
palazzo alle prime luci dell’alba creando grande scompiglio. La nutrice fece
subito preparare un bagno per la regina, poi l’aiutò a vestirsi e a pettinarsi e le
portò la scatola dei gioielli perché scegliesse quelli che più le piacevano. A me
fece indossare l’abito lungo di quando c’erano visite, rosso con due bande
dorate. Bello. Mi guardavo quando passavo davanti a uno specchio nei
quartieri delle donne.
«Non ti sporcare, non giocare nella polvere, non giocare con i cani...»
«Posso stare sotto al portico?»
«Sì, se non ti sporchi.»
Mi sedetti sotto il portico. Almeno da lì si vedeva la gente entrare e uscire, i
servi che preparavano il pranzo per il re. Il porco strillava sotto il coltello e poi
era appeso per le zampe posteriori. I cani leccavano il poco sangue che
gocciolava a terra. Il resto lo raccoglievano negli orci per fare il sanguinaccio.
A me non piaceva il sanguinaccio.
Mentore arrivò in quel momento, afferrò il bastone e si avviò lungo il
sentiero che conduceva al porto. Mi guardai intorno per assicurarmi che
nessuno guardasse dalla mia parte e gli corsi dietro, raggiungendolo nei pressi
della fontana.
«Dove vorresti andare?» mi chiese Mentore.
«Con te. A vedere mio padre.»
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