La nemica del re – Candace Robb

SINTESI DEL LIBRO:
Il padre di Giovanna, Edmondo, conte di Kent, fu decapitato prima che lei
compisse quattro anni. Eppure anche a distanza di otto anni le bastava
chiudere gli occhi per ricordare quello che provava quando appoggiava la
testa sul suo petto mentre lui camminava avanti e indietro cantando di belle
fanciulle e cavalieri valorosi, con la limpida voce da tenore che le
rimbombava nelle piccole ossa. Nessun incubo poteva assalirla tra le braccia
del padre, nessuna creatura delle tenebre avrebbe osato avvicinarsi. Il suo
calore scioglieva ogni male. Ciò che lei aveva di più caro era il suo disegno
di un cervo bianco seduto su un prato con una corona al collo legata a una
catena ancorata nell’erba. Ce l’aveva ricamato sui mantelli e sulle giacche:
cervo bianco, prato verde intenso, corona d’oro e catena. Era passato tanto
tempo.
Giovanna aveva trovato il disegno la primavera precedente in fondo a un
vecchio baule. Quando lo mostrò a suo cugino Ned lui le rivelò che sua
nonna, la regina vedova Isabella, si faceva il segno della croce ogni volta che
in una ballata o in un romanzo si parlava di un cervo bianco: l’animale le
ricordava il suo ruolo nell’assassinio di Edmondo. La regina vedova n on
aveva fatto nulla per dissuadere il conte di March, suo amante e complice
nella rivolta, dall’intenzione di decapitare il padre di Giovanna per la sua
lealtà al marito di Isabella, il re. Per questo Giovanna la odiava.
Purtroppo Giovanna e la regina vedova erano legate l’una all’altra. Per
farsi perdonare quella immotivata esecuzione, l’attuale re Edoardo, figlio di
Isabella, si era preso carico della vedova di Edmondo, Margherita, e dei suoi
figli, accogliendoli a corte. Un crudele gesto di carità cui Giovanna e sua
madre non erano affatto grate.
Così durante l’estate e l’autunno seguente Giovanna si era dedicata a
ricamare lo stemma del cervo bianco mentre pensava intensamente agli
incantesimi di protezione che le aveva insegnato Efa, la sua nutrice, e poi, in
segreto, aveva cucito il quadrato di stoffa a un grande drappo sussurrando una
formula magica.
Ora lei e Ned guardavano da dietro un paravento Isabella e le sue dame
sparse per il grande salone, mentre prendevano posto in cerchio all’estremità
sud della stanza, dove il sole mattutino offriva sufficiente luce per i loro
lavori di ricamo.
«Guardate su» sussurrò Giovanna, come se lady Isabella potesse sentirla.
«Le travi là sopra. Guardate come la luce del mattino illumina la seta bianca e
i fili d’oro. Sentite il potere del sangue di mio padre che scorre nelle mie vene
e in quelle di mio fratello.»
Ma la regina vedova aveva la testa china e, indaffarata con il telaio da
ricamo, faceva scorrere le dita sui fili nel cesto per scegliere un colore. Infine,
mentre aspettava che la serva passasse il filo nella cruna dell’ago, Isabella si
adagiò sullo schienale per osservare il salone.
«Sì, nonna, su!» sussurrò Ned, rannicchiato accanto a Giovanna.
Nonostante avesse tre anni in meno di lei era più alto e si era assunto il
compito di difenderla. Anche da sua madre. «Guardate su! Ahah!»
Isabella aprì le labbra piene, spalancò gli occhi azzurri, la sua pelle
d’avorio diventò di un pallore di morte. «Chi osa appendere quell’abominio
nel salone?» sussurrò. Le perle di giaietto scintillarono sul suo abito da lutto
di velluto nero quando si alzò di scatto, come un nuvolone carico di lampi, e
fendette l’aria con un dito inanellato, indicando il drappo di Giovanna.
«È sua figlia che osa» mormorò Giovanna, e zittì Ned che cominciava a
ridere.
Oh, vedere quell’espressione infuriata sul volto di Isabella la
ricompensava per tutto il duro lavoro. Ma perché sua madre aveva scelto
proprio quel momento per entrare nel salone?
La contessa Margherita credeva che l’invito a celebrare la festa di San
Martino a Woodstock fosse un’offerta di pace e, anche se non avrebbe mai
perdonato Isabella per quello che aveva fatto, pensava che accettare
quell’invito fosse la scelta migliore per Giovanna e suo fratello. Il re
Edoardo, la regina Filippa e le principesse erano nei Paesi Bassi, mentre il
principe Edoardo, Ned, di otto anni, era stato lasciato lì in quanto Custode del
Regno, ma era sotto la tutela della nonna, la regina vedova. Meglio rimanere
nelle sue grazie per il momento.
Ora Giovanna si faceva piccola piccola vedendo l’espressione costernata
di sua madre, che dopo aver fissato il drappo si guardava intorno alla ricerca
della figlia.
«È ora di scappare» sussurrò Ned. «Prima tu.»
Giovanna si allontanò dal paravento e si voltò per precipitarsi fuori dalla
porta che dava sul giardino. Appena uscita, il suo cagnolino la salutò con
acuti guaiti da terrier. Nella foga si era dimenticata di lui. «Bruno, seduto!»
gli ordinò invano mentre si teneva sollevate le gonne e attraversava di corsa il
giardino fino ai boschi, schivando i rami e saltando le radici sporgenti. Bruno
si lanciò all’inseguimento ma con le sue zampe corte rimase indietro e il suo
abbaiare si fece sempre più lontano mentre Giovanna correva.
A metà strada Ned la superò, ridendo, veloce come il vento sulle sue
gambe lunghe. «La nonna sa che sei stata tu!»
«Chi altro se no?»
Ned l’aspettò dietro la grande quercia, il loro posto speciale, e quando
arrivò le prese le mani e la fece girare mille volte finché non ebbe più fiato e
tutti e due caddero a terra appoggiandosi all’ampio tronco.
Era stato lì che tre anni prima lui l’aveva trovata piegata dal dolore con la
caviglia così gonfia da essere a stento contenuta dai suoi morbidi stivaletti,
che quasi le tagliavano la pelle. Era corsa via dal salone in uno scatto d’ira,
indignata dal comportamento della madre, che accettava passivamente
l’autorità della regina vedova, ed era decisa a fuggire da corte per non fare
più ritorno. Era inciampata in una radice sporgente e, pur essendosi storta una
caviglia, aveva continuato a correre. Arrivata alla quercia non poteva far altro
che saltellare sul piede sano. Salire la collina per tornare a palazzo era
impossibile. Ned era stato con lei mentre calava la sera e l’aveva coperta con
la sua giacca imbottita, aveva scacciato le creature della notte, aveva
condiviso con lei alcune mele essiccate inizialmente destinate al suo cavallo,
e le aveva raccontato storie in cui lei un giorno sarebbe stata la sua regina, la
donna più bella e potente del regno. Da quel momento erano diventati buoni
amici e si divertivano a preparare arguti scherzi e marachelle, sempre pronti a
difendersi l’un l’altra a spada tratta.
Ora, mentre riprendeva fiato, Ned aveva un sorriso a trentadue denti.
«È stato meglio di quando la cintura porta spada di Will è caduta durante
le prove del torneo! O delle api nell’elmo di Roger!»
«Non è stata una marachella ma un promemoria» disse Giovanna. «Tua
nonna non deve mai permettersi di dimenticare ciò che ha fatto a mio padre.»
Con le tempie che le pulsavano dopo la corsa, si adagiò accanto a lui,
respirando il suo odore di ragazzino: sudore, terra, animali.
Lui raddrizzò la schiena all’improvviso e scosse Giovanna finché lei non
si morse la lingua. «Ahi!»
«Ssst! Sta arrivando qualcuno.»
Ora sentiva anche lei lo scricchiolio delle foglie e lo schioccare dei rami.
Qualcuno seguiva le loro tracce, veloce ma leggero. Si alzarono entrambi,
pronti a scattare. Ma era solo il piccolo Bruno, che sbucò dal sottobosco
abbaiando vittorioso, con la coda che sbatteva all’impazzata di qua e di là
mentre prendeva la rincorsa per aggrapparsi alle gonne di Giovanna, poi alla
calzamaglia di Ned.
«Maledetto bastardino!» Ned si accigliò e diede un calcio al cucciolo. «Mi
ha fatto pipì sulla scarpa.»
Giovanna tirò su Bruno e lo prese in braccio facendosi leccare la faccia.
«È agitato. Va matto per le corse.»
Ned tornò a sedere, sempre scuro in volto, e si tolse la scarpa usando l’orlo
della gonna di Giovanna per pulirla.
Lei gliela strappò di mano. «No! E non fare quella faccia. Mi ricordi tua
nonna quando metti il broncio. Lascia che mi goda la vittoria per un po’. La
mamma non ci metterà molto a rovinarmela.»
E come se si fosse tirata addosso una maledizione, Giovanna udì la
contessa Margherita chiamare il suo nome da lontano. Che si preoccupasse
pure. Stava tramando con il nemico. Giovanna guardò Ned ancora intento a
borbottare: in quei momenti detestava pure lui. Anche lui era il nemico. Lo
era tutta la famiglia reale. Non avevano nemmeno provato a salvare suo
padre.
Stringendo a sé Bruno, cominciò a scendere la collina diretta al paese. Ned
poteva fare come gli pareva. Era appena uscita dal sentiero nel bosco sul
limitare del paese quando lui la raggiunse.
«Guarda» indicò. «Sotto il portico della chiesa.»
C’erano un ragazzo e una ragazza che indossavano i loro vestiti migliori, e
si stavano voltando l’uno verso l’altra per stringersi le mani, mentre una
coppia più anziana portava dei fiori e mormorava frasi di incoraggiamento.
«Brian e Tam si scambiano finalmente i voti!» A Giovanna erano molto
simpatici quei due paesani che lavoravano nella cucina del palazzo durante le
occasioni ufficiali e chiudevano un occhio con complice benevolenza quando
i bambini sgraffignavano qualcosa da mangiare. «Il raccolto deve essere
andato bene.»
Strisciarono lungo la parete della chiesa e sbirciarono dietro l’angolo.
Mentre l’uomo cominciava a parlare Ned si voltò verso Giovanna e le prese
la mano facendo eco ai voti che Brian recitava con voce possente, cambiando
solo i nomi. «Io, Edoardo di Woodstock, prendo te, Giovanna di Kent, come
mia legittima sposa.» Mentre Tam si accingeva a rispondere sussurrò: «Ora
tocca a te».
Giovanna scosse la testa. «I voti non sono un gioco, Ned, e i nostri
genitori non saranno mai d’accordo.» Oltretutto lei era a un passo dal legarsi
a sir Edward Montagu, un bell’uomo che le piaceva molto, il fratello più
giovane dell’amante di sua madre. Bruno era stato il regalo di sir Edward
prima del fidanzamento.
«Dillo.» Ned le strinse la mano troppo forte, e Giovanna vide la collera nei
suoi occhi. Quando si arrabbiava, spesso tendeva a dimenticarsi dell’affetto
che nutriva per lei.
Piuttosto che rischiare un suo scatto d’ira, Giovanna incrociò le dita di
entrambe le mani e si affrettò a pronunciare le parole: «Io, Giovanna di Kent,
prendo te, Edoardo di Woodstock, come mio legittimo sposo».
«Ora baciami.»
Bruno si divincolò dalla stretta della padroncina. Lei diede un bacio
sfuggente alla guancia di Ned.
«Ora siamo fidanzati, e non puoi accettare altri regali come Bruno.»
«Ho lui. Non ho bisogno di un altro cane.»
Ned esultò. «La nonna monterà su tutte le furie quando le dirò che sei la
mia fidanzata. Sarà meglio del tuo stendardo. Giovanna di Kent, regina
d’Inghilterra. Ahah!»
Doveva evitare che Ned combinasse un disastro. «No! Devi promettermi
che non dirai niente a lady Isabella. Niente. Altrimenti punirà mia madre.»
Giovanna sapeva che i voti scambiati sotto il portico di una chiesa potevano
unire la gente comune, ma non il figlio e la cugina del re, non i Plantageneti.
Eppure la provocazione di Ned avrebbe fornito alla regina vedova un pretesto
per fare qualcosa di spiacevole. O per far sì che suo figlio, il re, rifiutasse
Edward Montagu in favore di un marito che portasse Giovanna lontano da
casa. Isabella odiava i Montagu persino più della madre di Giovanna.
«Promettimelo.»
Ned fece una smorfia ma mugugnò: «Promesso».
Giovanna corse dietro al piccolo terrier che trotterellava via.
Nel tardo pomeriggio i due cugini rincasarono mano nella mano, mentre
Bruno correva davanti a loro. In fondo al giardino incontrarono alcuni ragazzi
della corte di Ned.
Uno di loro stava in piedi con la testa china e le mani incrociate dietro la
schiena e indossava il drappo con il cervo bianco come un tabarro. Giovanna
si fermò, paralizzata di fronte a quell’immagine oltraggiosa.
«Ecco a voi Edmondo, conte di Kent, traditore della Corona!» gridò un
altro ragazzo.
«Mio padre non era un traditore! Sono Isabella e Mortimer i traditori!»
sbottò Giovanna, correndo a strappare il drappo al ragazzo. «Dove l’hai
preso?»
«La regina vedova l’aveva gettato nel fango, dove è giusto che stia lo
stendardo di un traditore» rispose quello che aveva parlato.
Ned fece un passo indietro e gli tirò un pugno sul naso, poi spinse a terra
gli altri tre. «Mio zio non era un traditore. Scusatevi con lady Giovanna!» La
sua voce rimaneva quella di un bambino di otto anni, acuta e poco adatta a
quelle ingiunzioni, ma in quanto futuro re aveva un certo potere su quei
ragazzi, che mugugnarono le loro scuse a Giovanna.
Ned le porse il drappo. «Tienilo come ricordo del nostro fidanzamento.»
Lei si ritrasse. «È un ricordo di mio padre.» Anche se ora era stracciato e
imbrattato, con un’impronta di terra che copriva lo stemma, se lo strinse al
petto e se ne andò incespicando per il giardino, cercando di trattenere le
lacrime mentre entrava a palazzo e si preparava ad affrontare sua madre.
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