Il seme sotto la neve –  Ignazio Silone 

SINTESI DEL LIBRO:

«Allenta la martinicca, Venanzio. Non senti come stridono le ruote?»
«La martinicca è allentata, signora; anzi, a dir la verità, è rotta e non
stringe più. Signora, questa tramontana odora di neve.»
«Attento alle fosse, Venanzio, non guardare in aria.» La vecchia carrozza
signorile degli Spina va avanti penosamente, a strappi e scossoni, sulla
stradetta di campagna che congiunge il villaggio di Colle a quello di Orta. La
strada è priva di fondo battuto e nei lunghi mesi della stagione invernale
diventa spesso impraticabile, fuorché al bestiame e ai carri dei contadini, che
nella contrada sono a due ruote, molto alte. La malcapitata carrozza degli
Spina è invece d'una foggia antiquata, ormai rara, con le ruote anteriori più
piccole delle posteriori, col guscio dimezzato o, come dicono i francesi,
coupé, chiuso e riparato anche davanti, e rivestito d'un cuoio nero sdrucito e
scolorito, quasi verdastro, e con gli sportelli protetti da tendine bianche
ricamate. Venanzio siede rannicchiato sulla cassetta, ma ha più l'aspetto d'uno
stalliere che d'un cocchiere. Egli è avvolto da un mantellaccio col bavero di
capretto rialzato attorno alla nuca e alle orecchie e, poiché tiene il cappello
calcato fino sugli occhi, del suo viso si scorge solo un musetto puntuto, da
topo, con due lunghi e sottili baffi grigi. A ogni arresto brusco dei cavalli o
sprofondamento delle ruote, la carrozza stride e cigola in tutte le giunture di
cuoio e di metallo, come se dovesse scomporsi e andare a pezzi. Dentro la
carrozza si trova donna Maria Vincenza Spina, tutta infagottata di coperte e
scialli di lana e sostenuta ai fianchi da due grandi cuscini. La vecchia signora
batte i denti per l'aria gelida che s'infiltra attraverso le scuciture del mantice e
gl'interstizi degli sportelli e si lamenta a ogni sobbalzo un po' più forte.
«Bada almeno alla cunetta, Venanzio» implora la signora. «Adesso dove
vuoi salire, sul mucchio di breccia? Dio ce la mandi buona. Che impresa,
Vergine Addolorata, che spedizione, alla mia età.»
«Va bene, signora, va bene. A che ora dovremmo essere sul posto? Non
siamo partiti troppo presto? Sopra Forca, signora, guardi un po', già nevica e
come.»
«Attento al fosso e non guardare in aria, Venanzio. Povera me, avevo
creduto di poter recitare strada facendo qualche posta del rosario, ma è già
molto se non mi scappano improperi.»
«Signora mia, questa non è una strada da cristiani, ma una fossa di fango.
Come faccio a indovinare le buche e i sassi? Sotto neve, al ritorno, saranno
dolori.»
«Be', se non serve a nulla, Venanzio, non andare a zigzag, allenta le redini
e lascia fare ai cavalli, che sono più intelligenti di noi in queste cose.»
La stradetta in cui la malcapitata carrozza si arrabatta, è ricoperta d'una
spessa melma argillosa, con profondi solchi e pozzanghere, ed è
fiancheggiata da due file di salici nani, ma tozzi, con la testa spoglia nodosa
contorta, somigliante a ferraglia arrugginita. Frotte di piccoli passeri
saltellano da un albero all'altro, senz'altro rumore che il lieve fruscio delle ali.
La campagna tutt'intorno è deserta, grigia, come cosparsa di cenere. Da un
lontano pagliaio nero un cane invisibile latra a lungo contro l'insolito veicolo.
A un certo punto, c'è uno spiazzo con un abbeveratoio per le bestie, e la
strada si biforca; a sinistra sale rapidamente fino a mezza costa d'una collina
sassosa, tra vigneti bassi e nudi e alberelli scheletrici, e conduce a Orta, ch'è
in uno stretto avvallamento subito dietro la collina; a destra scende dritta,
fiancheggiata da due file di altissimi pioppi, tra vasti campi da alcuni giorni
impaludati per lo straripamento d'un fiumiciattolo in piena. Appena donna
Maria Vincenza si è accorta che la carrozza piega verso destra, l'ha fatta
fermare.
«Venanzio, che ti viene in mente? Dove mi porti?»
«Signorìa non m'ha detto che dobbiamo incontrare qualcuno sulla strada
del mulino vecchio?»
Egli dice 'qualcuno' con sospetto e timore.
«Ma no, Venanzio, non impicciarti di certe cose. Adesso andiamo a Orta,
da mio figlio.»
«Andiamo da don Bastiano? Egli pure è al corrente?» esclama Venanzio
rassicurato.
La strada che sale sulla collina, a causa del pendio, è meno fangosa, ma
non meno disagevole, essendo imbrecciata di fresco con grossi ciottoli; e
perciò i cavalli sbuffano, sudano, schiumano a tirare avanti, specialmente uno
d'essi che sembra azzoppato. Venanzio ferma la carrozza due o tre volte per
lasciar riprendere fiato alle bestie.
A un certo punto, da un'accorciatoia che sale tra le vigne, sbuca sulla
strada rotabile una fila di asini cavalcati da cafoni anch'essi di Colle. Uno
dietro l'altro essi si accodano alla carrozza. Gli uomini, in maggioranza
anziani, avvolti in cappotti neri sdruciti terrosi, avanzano dondolandosi
lentamente, secondo il passo degli stanchi somari. Questi sono magri bruni e
alcuni di essi così meschini che i piedi di chi li cavalca sfiorano quasi la
strada.
«Eh, pur voi andate a Orta?» grida Venanzio.
«A Orta, sì, alla benedizione degli animali. Credi che il tempo si
manterrà? Sulla valle di Forca già nevica» vociferano vari di quelli.
«Sì, presto cadrà la neve, era tempo» dice uno.
«E che t'aspettavi, farina? Sono cose che succedevano una volta ai
giudei.»
«Se non nevica a gennaio, quando dovrebbe nevicare? Sant'Antonio non
ha freddo.»
«Certo, certo, ma il prete è vecchio.»
«E se fa molto freddo, anche l'acqua benedetta può gelare. Non sarebbe la
prima volta.»
«È vero, però l'acqua si può sempre riscaldare, non sarebbe nemmeno la
prima volta.»
«Una benedizione riscaldata? Ahi, ahi. Una grazia riscaldata? Ahi, ahi.
Poveri asini nostri, che male hanno fatto?»
A causa del cavallo azzoppato, che Venanzio non vuole forzare, nella
salita tra le vigne la carrozza procede quasi a passo d'uomo e così finisce con
l'essere attorniata dall'intero gruppo di cafoni in groppa ai loro asinelli. È
come una scorta imprevista, stracciona e cortese, attorno all'invisibile
signora. Un fitto vocìo si alza dalla scorta.
«O Venanzio, anche donna Maria Vincenza manda i cavalli a benedire?»
grida uno. «È una fatica che poteva risparmiarti.»
«Perché? Che idea, pure i cavalli sono bestie» protesta Venanzio.
«Chi dice di no? Però la benedizione di Sant'Antonio è stata sempre
specialmente per gli asini, quest'è risaputo.»
«È vero, ma i cavalli non sono mai stati esclusi, c'è sempre stato qualche
cavallo alla benedizione, ognuno se lo ricorda.»
«E perché i cavalli non dovrebbero esser benedetti? Non sono bestie pure
loro?» grida un altro.
«Chi vuole escluderli? Ma i cavalli, ecco, non ne hanno bisogno. Gli asini
sono asini e i cavalli, cavalli; è una vecchia paglia.

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