Il fiume dell’oppio – Amitav Ghosh

SINTESI DEL LIBRO:

Il sacrario di Deeti era nascosto in una roccia, nel punto in cui la
costa occidentale e quella meridionale dell'isola collidevano
formando la cupola battuta dal vento del Morne Brabant. Era
un'anomalia geologica - una grotta che il vento e l'acqua avevano
scavato all'interno di uno sperone roccioso - e non ce n'era un'altra
uguale nel monte. Più tardi Deeti avrebbe ribadito che non era stato
il caso bensì il destino a condurla lì, perché l'esistenza di una simile
cavità era inimmaginabile finché non ci si entrava.
La fattoria Colver si trovava al di là della baia e, verso la fine della
sua vita, quando le ginocchia erano ormai irrigidite dall'artrite, Deeti
non poteva arrampicarsi fin lassù da sola: non era in grado di
percorrere il tragitto se non trasportata nel suo speciale pus-pus, un
congegno a metà tra un palanchino e una portantina. Ciò significava
che le visite al sacrario diventavano vere e proprie spedizioni che
richiedevano la partecipazione di un buon numero dei maschi
Colver, soprattutto i più giovani e robusti.
Riunire l'intero clan - la Fami Colver, come dicevano loro in
creolo - non era mai un compito facile, perché i suoi molti membri
erano sparsi ovunque, nell'isola e oltremare. L'unico momento
dell'anno in cui si poteva contare su uno sforzo collettivo era a metà
dell'estate, durante le Gran Vakans che precedevano l'Anno Nuovo.
La Fami cominciava a mobilitarsi a metà dicembre, e all'inizio delle
vacanze l'intero clan si metteva in marcia; accompagnate da plotoni
di bonoy, belser, bowji, sala, sakubay e altri parenti acquisiti, le
falangi Colver convergevano sulla fattoria con un gigantesco
movimento a tenaglia: alcuni giungevano via terra da Curepipe e
Quatre Borne, su carri tirati da buoi, attraverso gli altipiani brumosi;
altri arrivavano in barca, da Port Louis e Mahébourg, tenendosi ben
vicino alla costa finché nel velo di bruma si profilava il capezzolo del
Morne.
Molto dipendeva dal tempo, perché solo in una bella giornata si
poteva affrontare il viaggio sul monte sferzato dal vento. Quando le
condizioni atmosferiche sembravano propizie, si cominciavano i
preparativi fin dalla sera prima. La parte più attesa del pellegrinaggio
era il banchetto successivo alla puja, che veniva preparato in un
clima di grande attesa e fervore: il bungalow dal tetto di lamiera
vibrava al suono di mannaie e chakki, mortai e matterelli, mentre si
trituravano i masala, si addensavano i chutney, e mucchi di ortaggi
venivano trasformati in ripieno per paratha e dalpuri. Quando ogni
cosa era sistemata in portavivande e gardmanzé, se ne andavano tutti
a dormire presto.
All'alba, Deeti stessa controllava che ognuno fosse lavato e
strofinato a dovere e nessun cibo gli sfiorasse le labbra perché, come
ogni pellegrinaggio, anche quello andava affrontato con un corpo
puro, dentro e fuori. Sempre la prima ad alzarsi, Deeti si aggirava nel
bungalow picchiettando col bastone sul pavimento di legno e dando
la sveglia in quella strana mistura di bhojpuri e creolo che era
diventato il suo personalissimo idioma: Revey-té! È Banwari, è
Mukhpyari! Revey-té na! Haglé ba?
Ora che l'intera tribù era sveglia e in piedi, il sole già squarciava il
velo di nubi intorno alla vetta del Morne. Deeti, su un calesse, si
metteva alla guida della processione, che varcava sferragliando i
cancelli della fattoria, poi giù per la collina, fino all'istmo che univa il
monte al resto dell'isola. Impossibile spingersi oltre con un veicolo,
perciò si proseguiva a piedi. Deeti prendeva posto nel pus-pus, e con
i maschi più giovani che facevano a turno alle stanghe, il suo sedile
avanzava nella folta vegetazione che ammantava la parte inferiore
delle pendici del monte.
Subito prima dell'ultima, ripidissima salita c'era una radura dove
si fermavano tutti, non solo per riprendere fiato, ma anche per darsi
a esclamazioni dinanzi alla vista manifik della giungla e della
montagna, racchiusa tra due sabbiose linee di costa dentellate.
L'unica a non lasciarsi incantare da quella vista spettacolare era
Deeti. Dopo pochi minuti sbottava: Leve té! Mica siamo qui per
ammirare la zoli-vi e passare tutto il giorno a fare patati-patata.
Chal! Forza!
Inutile protestare; se dicevi che avevi le gambe fatigé o la testa
gidigidi ti beccavi un feroce: Bus to fana! In piedi!
Non ci voleva molto a convincere la comitiva; arrivati fin lì a
stomaco vuoto, aspettavano ora con impazienza il pranzo post-puja,
soprattutto i bambini. E il pus-pus di Deeti, con gli uomini più
gagliardi alle stanghe, riprendeva il comando: con un acciottolio di
sassi s'inerpicavano per un erto sentiero e svoltavano su un crinale,
dove tutt'a un tratto si parava loro davanti l'altro fianco del monte, a
precipizio sul mare. All'improvviso, dall'orlo del roccione saliva il
muggito dei flutti, riecheggiando nelle loro orecchie mentre il vento li
sferzava in viso. Era il tratto più rischioso del viaggio, con venti e
correnti ascensionali violentissimi. Lì non erano consentiti indugi, né
soste per godersi lo spettacolo dell'orizzonte circostante, un vortice
fra mare e cielo che faceva pensare a un cerchio rotante. Per chi si
attardava c'era il pungolo del bastone di Deeti: Garatwa! Muovetevi!
Ancora qualche passo e si ritrovavano su una cengia protetta che
costituiva la soglia del sacrario. Tale curiosa formazione naturale era
nota alla famiglia come Chowkey, e non avrebbe potuto essere
meglio disegnata se fosse stata progettata da un architetto: il
pavimento spazioso e quasi liscio era riparato da una sporgenza
rocciosa che fungeva da soffitto. Faceva pensare a un'ombrosa
veranda e, quasi a completare tale illusione, c'era perfino una specie
di balaustra, formata dalla contorta vegetazione che si abbarbicava
agli orli della cengia. Ma per guardare al di là del crinale, per
affacciarsi sulla burrascosa superficie ai piedi del roccione, ci
volevano stomaco forte e testa salda: i marosi sottostanti avevano
cavalcato fin lì dall'Antartide, e anche nelle giornate calme e terse
sembrava che fossero impazienti di spazzar via quell'insolente
briciola di terra che ostacolava il loro viaggio verso nord.

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