Il fiume della coscienza – Oliver Sacks

SINTESI DEL LIBRO:
Tutti noi conosciamo la storia canonica di Charles Darwin: il
ventiduenne che si imbarca sul Beagle, diretto ai confini del
mondo; e poi Darwin in Patagonia; Darwin nelle pampas
argentine (mentre prende al lazo le zampe del suo stesso
cavallo); Darwin in Sud America, che raccoglie le ossa di
giganteschi animali estinti; Darwin – all’epoca ancora credente
– in Australia, sbalordito al suo primo incontro con un canguro
(«devono essere stati all’opera due creatori distinti»). E poi,
naturalmente, Darwin alle Galápagos, che osserva come ogni
isola abbia fringuelli diversi e comincia ad avvertire – nella
lettura dell’evoluzione degli esseri viventi – l’immane
mutamento che un quarto di secolo dopo si tradurrà nella
pubblicazione dell’Origine delle specie.
La storia raggiunge qui il suo climax, con la pubblicazione
dell’ Origine nel novembre del 1859, e ha poi una sorta di
malinconico post scriptum: l’immagine di un Darwin più
anziano e sofferente, nei circa vent’anni che gli restano da
vivere, mentre sbriga qualche lavoretto nei giardini di Down
House senza un obiettivo o un progetto particolare, e completa
forse uno o due libri, avendo peraltro ormai da tempo conclusa
la sua opera fondamentale.
Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Darwin rimase
profondamente recettivo sia alle critiche, sia alle prove che
corroboravano la sua teoria della selezione naturale, un
atteggiamento che lo portò a pubblicare ben cinque edizioni
dell’Origine. Di certo dopo il 1859 avrebbe potuto ritirarsi nel
suo giardino e nelle sue serre, o comunque farvi ritorno (Down
House sorgeva in una vasta proprietà con cinque serre); invece
quei luoghi divennero per lui altrettante macchine da guerra,
dalle quali, come grandi missili, avrebbe lanciato evidenze
contro gli scettici schierati all’ esterno – descrizioni di strutture
e comportamenti straordinari osservati nelle piante,
difficilissimi da attribuire a una creazione o a un disegno
speciali –, una massa di prove a favore dell’evoluzione e della
selezione naturale ancor più schiaccianti di quelle presentate
nell’ Origine.
Strano a dirsi, perfino gli studiosi di Darwin prestano
un’attenzione relativamente scarsa al suo lavoro botanico,
benché esso abbia comportato la scrittura di sei libri e una
settantina di articoli. E così Duane Isely, nel suo One Hundred
and One Botanists (1994), scrive che, nonostante
su Darwin sia stato scritto di più che su qualsiasi altro biologo
mai vissuto ... raramente lo si presenta come un botanico ... Il
fatto che scrisse diversi libri riguardanti le sue ricerche sulle
piante è menzionato in molte opere su di lui, senza tuttavia
dargli peso, come per dire: «Be’, di tanto in tanto anche un
grand’uomo deve svagarsi».
Darwin aveva sempre provato per le piante una particolare
simpatia e anche una particolare ammirazione. («A me è
sempre piaciuto valorizzare le piante nella gerarchia degli
organismi» disse nella sua autobiografia). Era cresciuto in una
famiglia di botanici; il nonno paterno Erasmus aveva scritto un
lungo poema in due volumi intitolato The Botanic Garden, e lo
stesso Charles era cresciuto in una casa la cui vasta proprietà
non era soltanto piena di fiori, ma anche di varietà di meli,
incrociate per aumentarne il vigore. Da studente universitario a
Cambridge, le sole lezioni che seguiva regolarmente erano
quelle del botanico J.S. Henslow – e fu proprio Henslow,
riconoscendo le straordinarie qualità del suo allievo, a
raccomandarlo per un incarico sul Beagle.
Fu a Henslow che Darwin scrisse lettere dettagliatissime,
piene di osservazioni sulla flora, la fauna e la geologia dei
luoghi che visitava. (Queste lettere, stampate e fatte circolare,
lo avrebbero reso famoso negli ambienti scientifici prima
ancora che il Beagle facesse ritorno in Inghilterra). E fu per
Henslow che, alle Galápagos, Darwin approntò una meticolosa
collezione di tutte le piante che trovò in fiore e osservò come
isole diverse dell’arcipelago ospitassero sovente specie diverse
dello stesso genere. Questa sarebbe diventata per lui una prova
d’importanza cruciale mentre rifletteva sul ruolo della
divergenza geografica nell’origine di nuove specie.
In effetti, come David Kohn ha sottolineato in un suo
splendido saggio del 2008, gli oltre duecento esemplari di
piante delle Galápagos raccolti da Darwin andarono a costituire
«la collezione naturalistica di organismi viventi più importante
di tutta la storia della scienza … Si sarebbe anche rivelata
l’esempio meglio documentato, prodotto da Darwin,
sull’evoluzione delle specie insulari».
(Viceversa, gli uccelli da lui raccolti non furono sempre
identificati correttamente o etichettati con l’indicazione
dell’isola di origine, e quindi fu solo al suo ritorno in Inghilterra
che questi materiali, integrati dagli esemplari raccolti dai suoi
compagni di viaggio, vennero classificati dall’ornitologo John
Gould).
Darwin divenne poi intimo amico di due botanici, Joseph
Dalton Hooker, dei Kew Gardens; e Asa Gray, di Harvard.
Hooker era divenuto suo confidente negli anni Quaranta – il
solo cui avesse mostrato la prima versione della sua opera
sull’evoluzione; quanto ad Asa Gray, sarebbe entrato nella
cerchia delle sue amicizie più strette negli anni Cinquanta.
Darwin scriveva a entrambi, sempre più entusiasta, parlando
della «nostra teoria».
Eppure, benché si definisse volentieri un geologo (scrisse tre
opere di geologia basate sulle osservazioni effettuate durante il
viaggio del Beagle e concepì una teoria di straordinaria
originalità sull’origine degli atolli corallini, confermata
sperimentalmente solo nella seconda metà del Novecento),
Darwin dichiarò sempre di non essere un botanico. Una ragione
è che – nonostante un inizio precoce al principio del Settecento
con il libro di Stephen Hales Vegetable Staticks, pieno di
esperimenti affascinanti sulla fisiologia vegetale – la botanica
era rimasta una disciplina quasi interamente descrittiva e
tassonomica: le piante venivano identificate, classificate e
nominate, ma non erano oggetto di ricerca. Darwin, invece, era
soprattutto un ricercatore, interessato non solo al «che cosa»
ma anche a chiarire il «come» e il «perché» della struttura e
del comportamento vegetali.
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