Come una foglia d’inverno – Penelope White

SINTESI DEL LIBRO:
Ho sempre odiato il freddo invernale, ti entra dentro le ossa,
dentro il cervello e ti annienta anche la minima capacità di pensare.
Prima non era così, da bambina non mi sembrava di soffrirlo
particolarmente, non mi dava fastidio, non mi irrigidiva i muscoli
quando uscivo di casa a giocare, non mi bloccava i pensieri. Prima
mi era totalmente indifferente, quando il mondo era tutto da scoprire
e nulla poteva impedirmi di sognare, di esplorare ciò che mi
circondava; ma si sa, le cose cambiano col tempo, la voglia di
giocare si acquieta, nel mio caso poi è completamente scomparsa;
non ho più voglia di guardami intorno, vivo la mia vita da sola,
tranquilla e serena, senza che niente e nessuno possa toccarmi,
possa scalfire il gelo che ho creato dentro di me. E forse è proprio
per questo che non sopporto più il freddo, mi dà fastidio perché non
fa altro che unirsi a quello che già sento dentro, amplificando la
sensazione di gelo che mi avvolge come una custodia invisibile, che
mi permette di restare indifferente e che quindi, nonostante tutto,
devo ringraziare, perché mi protegge dalla sofferenza, perché mi ha
permesso di diventare ciò che sono oggi: mi permette di vivere a
testa alta e di non soffrire più.
Ora eccomi qui, non vedo l’ora che scattino le dieci su quel
maledetto orologio digitale che scorre sul display del grande
televisore a schermo piatto, appeso alla parete di questa camera
d’albergo; sono al mio quinto cliente stasera, ho lavorato parecchio
oggi, anche se in realtà non ho dovuto faticare granché. Per la
maggior parte si tratta di cene, uscite tranquille in lussuosissimi
ristoranti 5 stelle e, al massimo, qualche bacio e lavoretto di bocca
finale; a pensarci bene, quella di pochi minuti fa, è stata la prima
vera e propria prestazione della serata.
Mentre i miei pensieri passano dal lettuccio caldo che mi aspetta
a casa e in cui non vedo l’ora di tuffarmi, al conto del gruzzoletto non
indifferente che sono riuscita a racimolare questa settimana, il
Signor Cameli esce dal bagno, con un semplice asciugamano a
celare le parti intime; tutto bello pulito e sistemato, un bell’uomo dai,
non mi posso lamentare: piacente diciamo, sulla quarantina, classico
tipo da completo elegante e ventiquattrore, un direttore di banca o
probabilmente un avvocato, data la sua compostezza e la dialettica.
Insomma, niente di più di un uomo d’affari che, per svagarsi il
venerdì sera, preferisce la compagnia di una bella ventottenne
piuttosto che andare a giocare a calcetto con gli amici o cose del
genere.
Alzo gli occhi verso di lui e lo vedo accostare la porta del bagno
alle sue spalle, mentre mi guarda con due occhi verdi mozzafiato.
Sono spettacolari, notevoli, lo riconosco, e potrebbero far sciogliere
persino un ghiacciaio. Ma non me, sono abituata agli uomini, o
meglio, alla loro compagnia, non mi fanno più alcun effetto, se non
quello meramente fisico, ricondotto a istinti che non posso
controllare appieno. Anche se in realtà, però, ciò a cui penso quando
li vedo per la prima volta non è propriamente riconducibile al mero
piacere sessuale, nonostante alcuni di loro non mi siano totalmente
indifferenti sotto quel punto di vista, ma ai soldi che potrebbero
sborsare per avermi e godersi la mia compagnia; perché alla fine è
di questo che si tratta: che si parli di fidanzati, sposati, o semplici
clienti, vogliono tutti la loro dose di sesso, e io, in cambio, non
pretendo smancerie, cene o roba del genere, mi va bene avere la
mia parte di soldi, una volta pagata l’agenzia per cui lavoro.
Immagino che a occhi esterni possa sembrare cinica, ma chi è che
oggi non usa le proprie doti per ottenere ciò che vuole? Gli avvocati,
con la loro dialettica, riescono persino a far uscire di galera i
pluriomicidi guadagnando un sacco di soldi, mentre io, in fondo, non
faccio altro che sfruttare al meglio il mio corpo e la mia femminilità,
senza nuocere a nessuno.
Mister Occhiverdi mi guarda un po’ nervoso, un connubio tra
vergogna e improvviso riacquisto del senso del pudore. Sguardo
che, ahimè, conosco molto bene; perciò sono io a rompere il
ghiaccio:
«Tutto bene la doccia, tesoro?», mi rivolgo a lui con un sorriso
sornione.
«Sì, ti ringrazio; ti posso offrire qualcosa da bere? Oppure magari
hai fame: ti posso far portare qualcosa da mangiare direttamente qui
in camera se vuoi, o, non so, preferisci farti prima una doccia,
rivestirti...».
Fantastico, ora inizia con lo sproloquio di parole dettate
solamente dalla voglia di filare via da qui il prima possibile.
«Guarda, non preoccuparti», affermo, sorridendo falsamente,
«ho delle cose da fare ora, ma ti ringrazio della compagnia». Poi mi
alzo, lasciando che il lenzuolo scivoli sulla mia pelle nuda e che il
suo sguardo licenzioso, ma ormai sazio, si possa poggiare ancora
una volta su di me, mentre mi avvicino a lui e gli schiocco un
morbido bacio sulla guancia perfettamente rasata, parlandogli poi
per l’ultima volta. «Buonanotte, my man».
Mi accorgo dell’ultima occhiata che mi dà, sembra quasi gli sia
venuta voglia di chiedermi di restare, ed è proprio questo a cui
puntava la mia farsa; prima di congedarmi da ogni cliente, cerco
sempre di stuzzicarlo un po’, lo provoco lasciandogli un segno,
qualcosa che possa garantirmi una sua prossima chiamata.
A questo punto prendo il mio vestito color carne, molto pudico,
che ricorda più l’abbigliamento di una donna in carriera che di una
escort di lusso, poggiato sulla sedia accanto al letto. Lo indosso al
meglio, infilo il piumino d’oca, rivolgo un’ultima occhiata a Occhiverdi
ed esco dalla stanza richiudendo la porta alle mie spalle.
Una volta fuori da uno dei migliori hotel del centro di Roma, mi
lascio avvolgere dal gelido vento di fine gennaio; dopo aver superato
di qualche metro la porta, il parcheggiatore mi riconsegna le chiavi
dell’R8, che mi affretto a raggiungere per svettare velocemente
verso casa e concludere un’altra delle mie tipiche giornate.
Mentre guido per la vie della città, programmo con l’iPhone il
riscaldamento di casa che oggi, nella fretta, mi sono proprio
dimenticata di attivare; poi accendo lo stereo e mi faccio cullare dalle
note di "Amami ancora" di Giovanotti, mentre, con il piede
sull’acceleratore, spingo il più possibile per arrivare a casa quanto
prima e potermi godere un po’ di pace davanti al programma che
adoro e che vedo tutte le sere su Netflix, Lost, una serie americana
dove dei profughi, sopravvissuti allo schianto di un aereo su di
un’isola in mezzo all’oceano, si ritrovano a dover fronteggiare la
sete, la fame e la paura. Adoro questo telefilm, l’avrò visto tipo un
migliaio di volte, ma non mi stanca mai; ciò che mi affascina di più è
la forza che li spinge ad andare avanti, la voglia di vivere, la
speranza di potercela fare anche quando tutto sembra impossibile,
anche quando sarebbe molto più facile lasciarsi andare. Forse
anche la curiosità di scoprire cose mai viste, di vivere nuove
avventure, curiosità e fantasia che, purtroppo, io non ho più da
parecchio tempo.
Arrivo a casa abbastanza in fretta, giusto in quindici minuti, e mi
ritrovo davanti il grande cancello della mia villa. Do il comando
vocale all’iPhone, benedetta tecnologia, parcheggio velocemente nel
garage e grazie alla porta interna entro direttamente in casa.
Adoro questo posto, prima di tutto perché è mio, poi, ovviamente,
per il lusso che traspare da ogni oggetto che contiene. Devo
ammetterlo, in pochi anni ho accumulato parecchio denaro, nel giro
di soli tre mesi sono riuscita a farmi costruire una villa gigantesca,
con piscina d’acqua calda sul retro e un bellissimo giardino d’inverno
di circa 100 mq che adoro, e dove passo la maggior parte del tempo,
almeno di quello libero.
Devo ammettere che alla Sweet Company Enterprise si lavora
bene, i clienti sono sempre ben selezionati, di alto calibro, e i soldi
arrivano sempre, puliti e precisi, a volte anche con qualche extra;
lavoro ormai con loro da nove anni: ho iniziato quasi ventenne e ora
sono il fiore all’occhiello dell’intera agenzia, la più richiesta e, di
conseguenza, quella a cui è garantita anche la maggior flessibilità di
scelta. Mi spiego meglio: decido io se dire sì o no a una richiesta,
soprattutto se particolare; discuto personalmente con Anna, il
direttore dell’agenzia, al fine di accordarsi diversamente oppure
rifiutare se si tratta di qualcosa che mi disturba in maniera
particolare.
Entro finalmente nel grande salone, lascio la borsa e il piumino
sul divano di pelle bianca e poi mi dirigo nel bagno padronale,
collegato direttamente alla mia stanza da letto, per accendere delle
candeline profumate e godermi una bella doccia calda
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