Breve storia del mondo – Alfonso Sabella

SINTESI DEL LIBRO:

 I più grandi affari di Buzzi e Carminati
E il mio primo, e sarà pure l’unico, Natale da assessore e il mio telefono
non squilla solo per i tradizionali auguri. Alessandro, un mio amico dai
tempi dell’università, non mi chiede nemmeno come sto: Ma chi cazzo te
l’ha fatto fare? Sei il solito coglione. I politici ti useranno e poi ti butteranno
via, come hanno fatto con me. Come fanno con tutti. Roma è in un mare di
merda e tu ci annegherai».
Provo a balbettare qualche giustificazione ma Alessandro non mi ascolta
nemmeno. Cosa credi che ti faranno fare? Sei troppo onesto e perbene per i
salotti romani. Rischi pure di farti ammazzare.» Non mi hanno fatto paura
Riina, Brusca e Bagarella e mi dovrei preoccupare di questi quattro
mafiosetti di Roma?» gli rispondo con il tono dello spaccone. Qui non
sanno nemmeno come si spara.» Vengo puntualmente smentito ventiquattro
ore dopo. Giusto la notte di Santo Stefano alcuni balordi, a bordo di due
scooter, passano davanti al campo nomadi di Acilia, agglomerato urbano
che si sviluppa tra la Cristoforo Colombo e la via del Mare, a metà strada
tra il lido di Ostia e il centro di Roma, ed esplodono diversi colpi di pistola
esattamente ad altezza duomo, puntando sulle baracche.
Francesca Danese, neoassessora al Sociale, come si deve dire adesso in
nome della parità dei sessi, mi chiede di accompagnarla sul posto per un
sopralluogo. Mi sembra di essere tornato pubblico ministero mentre
esamino i fori nel legno di quelle casupole a un metro, un metro e venti di
altezza da terra, e spiego a Francesca che hanno usato almeno due pistole
diverse, forse una 7,65 e una 38 special o una 9 millimetri, se non
addirittura una 44 magnum: armi che uccidono. Leggo il terrore nel volto
del più anziano dei rom quando mi fa vedere il divano sul quale era seduto
con i nipotini e i punti delle pareti da dove erano passati una mezza dozzina
di proiettili. Con noi al campo nomadi è venuta anche l’assessora al Welfare
del Municipio di Ostia, Emanuela Droghei, moglie dell’ex capogruppo del
Pd in consiglio comunale Francesco D’Ausilio, dimessosi da un paio di
mesi dopo aver commissionato e fatto pubblicare sui giornali romani un
sondaggio contro lo stesso sindaco Ignazio Marino.
Ci siamo tutti insomma a verificare cos’è successo e a portare solidarietà
a quei disgraziati, vivi per miracolo. Del resto sono in una giunta di sinistra.
E normale preoccuparsi dei più deboli, delle persone meno integrate nel
contesto sociale.
Giro per il campo e parlo con la gente, provando a difendermi come
posso dal vento gelido di quel pomeriggio. Non che dentro le baracche si
stia molto meglio. I riscaldamenti non funzionano, dai rubinetti esce un filo
d’acqua e la corrente elettrica salta spesso. Mi dicono che i lampioni
dell’illuminazione pubblica sono fulminati da tempo immemorabile, che
non passa nessuno a prendere i bambini da portare a scuola e che i cumuli
di rifiuti abbandonati ai margini del campo sono lì da anni. Del resto quello,
mi spiegano, è un campo tollerato e non autorizzato. In altre parole è un
insediamento abusivo che il Comune non sgombera ma che, appunto,
tollera; però lo tollera ufficialmente!
Sono passate appena novantasei ore da quando sono, si fa per dire,
entrato in politica e ragiono ancora con le rigide categorie mentali del
magistrato: se una cosa è legale si tutela e si protegge, se è illegale si
elimina. A bassa voce dico quello che penso alle due assessore (plurale di
assessora, giusto, no?).
E dove la mandi questa gente? E dove trovi i soldi per fare lo sgombero?
Quella dei campi nomadi è una vera emergenza» mi rispondono quasi in
coro.
Esatto un’emergenza, ma un’emergenza che dura da decenni. Quella
stessa che trasuda dalle carte di Mafia Capitale e che ha dato vita al sistemaBuzzi: in assenza di alcuna programmazione d’interventi da parte della
pubblica amministrazione, aveva preso piede la logica dell’emergenza e per
questa cerano sempre presenti le cooperative della holding di Salvatore
Buzzi, pronte a risolvere ogni problema.
Salvatòo, sono arrivati altri cento transitanti a Messi d’oro, ci pensi tu?»;
Pronto Salvatore! C’è da pulire subito piazza Vittorio che domani ci va il
sindaco»; Dottor Buzzi, ci sono disordini al campo nomadi di Castel
Romano. Che facciamo?» E Salvatore correva con le sue cooperative di ex
detenuti e poveri cristi simili. E i problemi svanivano d’incanto.
Dal 1993 al 2001, con le giunte di Francesco Rutelli, la sola Coop 29
giugno di Buzzi si era aggiudicata undici appalti per oltre cinquecentomila
euro. Tra il 2001 e il 2008, con Walter Veltroni sindaco, gli appalti per la 29
giugno erano diventati sessantacinque, per un totale di oltre tre milioni e
mezzo di euro. Ma erano giunte di sinistra, l’attenzione per il sociale e il
recupero dei lavoratori svantaggiati era nei loro programmi elettorali,
doveva essere nel loro Dna politico.
E decisamente più singolare che, dal 2008 al 2013, quando arrivarono
Gianni Alemanno e la destra in Campidoglio, Buzzi, sempre con la sola 29
giugno, senza contare le altre coop del suo gruppo, si spolpi più di cento
appalti per oltre otto milioni di euro. Otto milioni. Ma quei balordi che
hanno sparato al campo nomadi tollerato» di Acilia non dovrebbero essere
di destra?
Già, destra e sinistra: ordine e disciplina contro uguaglianza ed
equiparazione sociale, nazionalismo e tutela dei patrii lidi contro
integrazione e accoglienza, capitalismo ed efficienza contro cooperazione e
solidarietà. Di queste cose sentivo discutere mio zio e mio padre quando ero
bambino. Ma ormai è tutto confuso. Solo voti, clientelismo e, specialmente,
affari: tanti e lucrosi.
E non c’è nulla che lo racconta meglio di un sms che lo stesso Salvatore
Buzzi invia ai cellulari degli amici per il Capodanno del 2013: Speriamo
che il 2013 sia un anno pieno di monnezza, profughi, immigrati, sfollati,
minori, piovoso così cresce l’erba da tagliare e magari con qualche bufera
di neve: evviva la cooperazione sociale». Tra i destinatari del messaggio c’è
anche l’allora direttore del dipartimento dei Servizi sociali Angelo
Scozzafava, lo stesso che, interrogato dal gip, poi dirà di essere in quota
centrodestra».
Un programma d’intenti, quello di Buzzi, e il bilancio di un impero
chiariti ancora meglio in altre intercettazioni, come quella registrata il 20
aprile 2013: Noi quest’anno abbiamo chiuso con quaranta milioni di
fatturato ma tutti i soldi, gli utili li abbiamo fatti sui zingari, sull’emergenza
alloggi iva e sugli immigrati. Tutti gli altri settori finiscono a zero». E
ancora, giusto per chiarire: Tu ci hai idea di quanto ci guadagno con gli
immigrati? Il traffico di droga rende meno».
La parola magica è sempre emergenza: emergenza immigrati ed
emergenza freddo, emergenza foglie ed emergenza rom, emergenza rifiuti
ed emergenza alloggiativa. E ancora emergenza buche, tombini e caditoie,
emergenza guano, emergenza... Mancando alcuna pianificazione a Roma
tutto diventa emergenza, auspicata e, soprattutto, programmata.
I residence dei disperati
L’emergenza storica di Roma è quella abitativa. Un esercito di sfollati,
sfrattati e senzatetto che chiede aiuto al Comune oppure paga qualche
migliaio di euro a chi gestisce le occupazioni abusive di immobili, pubblici
e privati, non abitati, altro sistema totalmente illegale ma tollerato, anzi
tolleratissimo, nella Capitale.
Nel 2005, con Walter Veltroni sindaco, si provò a mettere un po’ d’ordine
nella questione e si cominciò a dare vita ai Caat, i Centri di assistenza
alloggiativa temporanea. L’idea era quella di dare una sistemazione
provvisoria alle famiglie più bisognose nell’attesa, invero un po’ troppo
ottimistica, che trovassero l’indipendenza economica. L’operazione,
direttamente gestita da Luca Odevaine che, in quel momento, era vicecapo
di gabinetto del sindaco e che il 2 dicembre 2014 finirà tra gli arrestati di
Mafia Capitale con l’accusa di corruzione aggravata, fu in parte conclusa
durante il mandato del prefetto Mario Morcone, commissario straordinario
nei due mesi compresi tra le dimissioni di Veltroni, candidato a Palazzo
Chigi poi sconfitto da Silvio Berlusconi, e le nuove elezioni.
Con quella, quasi inconsapevole, ironia dei romani i Caat sono oggi
conosciuti come i residence, vocabolo anglosassone che nell’accezione
commerciale italiana dovrebbe equivalere, come dice anche la Treccani, ad
abitazioni signorili o di lusso formanti un complesso omogeneo».
In realtà si tratta per lo più di palazzoni frettolosamente costruiti nelle più
remote periferie romane talvolta solo per ospitarvi uffici e attività
commerciali e poi, grazie all’emergenza abitativa, trasformati in complessi
di miniappartamenti con contestuale e lucrosissima, per i proprietari
ovviamente, autorizzazione al cambio di destinazione d’uso, in barba a
qualsivoglia piano regolatore, strumento di programmazione o di
sostenibilità urbanistica. E con valore commerciale dell’immobile almeno
raddoppiato. Ma c’era l’emergenza alloggiativa, non era il caso di andare
tanto per il sottile.
E altro che lusso e signorilità! Un paio di stanzette scrostate e umide con
angolo cottura, spigolo letto e vertice bagno, collocate ai margini del Gra, il
Grande raccordo anulare, e pagate dal Comune fino a
tremilanovecentocinquanta euro al mese, come se fossero residence,
appunto, nei quartieri centrali e di pregio di Flaminio o dei Parioli e non
stamberghe a Val Cannuta.
Una vera manna per i costruttori e gli immobiliaristi romani. E anche per
il magnifico duo di Mafia Capitale. Proprio le cooperative di Buzzi e
Carminati, infatti, avevano ottenuto in affidamento diretto, senza gara, la
gestione dei residence, e con loro, giusto per la par condicio, anche quelle
riconducibili a Comunione e liberazione come Domus caritatis con le loro
sfilze di coop collegate e controllate. Come fossero gruppi imprenditoriali
di società per azioni.
Fornivano la cosiddetta accoglienza alloggiativa o quel servizio chiamato
pomposamente portierato sociale», che apparentemente non è una brutta
idea. Nei comuni del Nord Italia il portierato sociale offre mediazione
linguistica e culturale, informazioni e aiuto nell’orientamento ai servizi
pubblici e privati, svolge anche corsi d’italiano e di alfabetizzazione, aiuta
nel rapporto con i servizi sociosanitari, nel rilascio di documenti, nella
ricerca di attività lavorative, ha uno sportello di ascolto per i residenti,
organizza momenti di incontro con gli altri abitanti del territorio, promuove
e agevola la formazione del senso civico e la conoscenza delle regole di
civile convivenza; insomma favorisce l’integrazione e aiuta chi vi si rivolge
a sentirsi meno solo e parte di una comunità che non è soltanto quella degli
abitanti di un Caat.
In realtà il portierato sociale di Buzzi & Co. nella migliore delle ipotesi
non era nient’altro che un semplice servizio di portiere con la differenza che
costava almeno dieci volte tanto.
In questi dormitori vivono più di millesettecento nuclei familiari, oltre
quattromila persone, quasi tutte senza speranza o reali possibilità di uscire
da quei ghetti o da quel circuito di disperazione. Impaurite per il loro futuro
e timorose di perdere anche quel fragile tetto che hanno sulla testa, da cui
sovente passano infiltrazioni di acqua piovana o perdite dei bagni dai piani
superiori senza che alcuno se ne preoccupi. Altro che integrazione sociale,
recupero di indipendenza economica, possibilità di costruire un futuro
diverso almeno per i figli.

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