Anna che sorride alla pioggia – Guido Marangoni

SINTESI DEL LIBRO:
VORREI partire dalle tessere per la raccolta punti dei supermercati e
dei grandi magazzini. Sì, perché, come la piccola valvola che trovate
nelle caffettiere, la raccolta punti, per la nostra coppia, è sempre
stata qualcosa di esteticamente brutto, ma molto funzionale. Io e
Daniela abbiamo litigato poche volte nella nostra storia, ma in quelle
poche volte quasi sempre c’era di mezzo un mio errore nella raccolta
punti: dimenticare la tessera, convertire punti in sconti o sconti in
punti. Insomma, alla cassa non si scherza!
«Guido, non hai dato la tessera alla cassiera?» controllando lo
scontrino.
«Ma ho comprato solo il latte…» facendo intendere che ci ho pure
pensato ma ho voluto ottimizzare.
«Ma che c’entra? Non sai che ci sono i punti fedeltà?»
«…»
È inutile, se vuoi far bene una raccolta punti non devi pensare:
devi obbedire. In «raccoltapuntologia» tu hai la quinta elementare e
lei ha il master al MIT di Boston. Tutto sommato, però, credo che
litigare per la raccolta punti sia un’ottima strategia di coppia.
Qualcuno litiga per il dentifricio «schiacciato» male o per i calzini
lasciati in giro, noi lo facciamo urlandoci addosso i punti fragola.
Tanto male non possono fare, anzi credo sia molto sano. Non saprò
mai se la mia psicologa preferita ha creato questa dinamica
consapevolmente o è semplicemente una delle sue dolci debolezze
che mi hanno fatto innamorare di lei. Rimane il fatto che ha creato
una meravigliosa valvola di sfogo sicuro.
Mentre scrivo, non sono per nulla certo che questa
argomentazione passerà la censura di mia moglie, ma se stai
leggendo queste righe probabilmente anche lei si è fatta una sana
risata ripensando a quel goffo ingegnere che, dopo aver gestito
decine di server e centinaia di procedure informatiche, va in crisi alla
domanda: «Questo prodotto è in promozione. Le lascio i punti o
utilizza il coupon fedeltà per lo sconto con il tagliando che le
abbiamo dato la settimana scorsa?»
Rispondere correttamente alle domande delle cassiere è
paragonabile a una prova orale di un esame di Analisi matematica II.
La tensione che avverto quando Daniela, al mio rientro, verifica con
attenzione lo scontrino per il saldo punti ha poco da invidiare
all’ansia che mi prendeva quando mio padre controllava il libretto
universitario.
Sguardo all’infinito, salivazione azzerata, con la vecchia in coda
che manco ti suggerisce: una sensazione a volte insostenibile. Per
questo un giorno ho voluto provare la cassa automatica.
Cassa automatica: «Posizionare il sacchetto! Beep!»
Io: «Ok, fatto!»
Cassa automatica: «Sacchetto movimentato, intervento
operatore! Beep!»
Cassiera: «Non deve toccare il sacchetto!» Inserisce un codice e
passa il badge: «Beep!»
Io: «Ok signorina, ma me l’ha detto la macchina di toccare il
sacchetto!»
Cassiera: «Eh no, le ha detto di posizionarlo».
Io: «Ok, scusi, la prossima volta lo posiziono senza toccarlo…»
Cassa automatica: «Articolo non posizionato! Beep! Prosegui
senza posizionarlo?»
Io: «Sì!»
Cassa automatica: «Errore! Beep! Intervento operatore».
Cassiera: «Deve posizionarlo facendo in modo che la macchina
se ne accorga!» Codice, badge: «Beep!»
Io: «Mi scusi, volevo fare uno scherzo e l’ho posizionato di
nascosto!»
Cassa automatica: «Beep! Intervento operatore».
Io: «Signorina, lo giuro, questa volta l’ho fatto alla luce del sole…
ho anche detto esplicitamente ‘posiziono il whisky’!»
Cassiera: «In questo caso devo verificare quanti anni ha».
Io: «Beh, è un doppio malto invecchiato dieci anni, è un regalo per
un amico… ma che cosa gliene frega, scusi?»
Cassiera: «Gli anni suoi. Se è maggiorenne. È un superalcolico».
Io: «Ah ok, ha verificato? Continuo».
Cassa automatica: «Beep! L’articolo è in promozione: pagamento
con punti o saldo scontrino?»
Io: «Scusi, signorina!? Cosa vuol dire?»
Cassiera: «Che può pagare la robiola con i punti della tessera».
Io: «Ah, ok, ottimo». Punti. «Beep!»
Cassiera: «Ahi-ahi… non so se le conveniva. Ora fare i 140 punti
per avere le tazze dei Sette Nani è dura. Scade domani e deve
spendere 140 euro su articoli con il bollino. Cioè, si rende conto? Li
ha buttati per un pezzo di formaggio. Ci pensi bene prima di
rispondere la prossima volta…» con il ditino alzato.
Io: «Signorina», con le lacrime, «io sarei venuto a fare la spesa,
non a fare un esame. Mi arrendo». E con lo sguardo stile gatto di
Shrek, imploro: «Non dica nulla a mia moglie, la prego».
Non ho mai più utilizzato le casse automatiche. Preferisco
affrontare la cassa aspettando che in fila ci sia un altro marito. Noi
uomini non abbandoniamo i nostri simili.
Ognuno di noi ha la sua storia da raccontare alla cassa, e forse in
molti siamo entrati nel tunnel delle tessere fedeltà. Pensandoci bene,
la nostra vita è una grande raccolta punti. Raccogliamo
approvazioni. Raccogliamo soldi. Raccogliamo sorrisi. Raccogliamo
buone azioni. Raccogliamo giorni. Raccogliamo ore di lavoro.
Raccogliamo like. E rimaniamo in perenne attesa di un premio, che
la maggior parte delle volte non c’è o è molto al di sotto delle nostre
aspettative. Tutto questo raccogliere ci delude, ma un po’ ci
assomiglia.
A volte però può capitare che il premio sia una piacevole
sorpresa, quelle sorprese che si trasformano in occasioni. È quello
che è successo a me un giorno di maggio. Sembra incredibile, ma il
grande lavoro di strisciare la tessera punti venne ripagato quando
Daniela, con aria molto soddisfatta, mi consegnò il risultato di tanti
scontrini. Sempre meglio non indagare quanto avresti speso per
comprare direttamente quel premio… ma è il concetto stesso di
«premio» che non ha prezzo, tutto il resto si compra.
Quel giorno Daniela decise di farmi trovare il pacchetto sotto il
cuscino, il nostro luogo preferito per lo scambio di attenzioni,
bigliettini e sorprese. Lei ogni sera alza il cuscino, rimanendo delusa
la maggior parte delle volte. Io invece affondo direttamente la testa
tra le piume, rimanendo estasiato tutte le volte. Anche questo ci
assomiglia. Quando poi la sorpresa è una scusa, un’occasione per
stare insieme, allora è una sorpresissima. Ed è così che andò quella
sera, quando trovai uno di quei pacchetti viaggio per due notti in una
capitale europea: Berlino.
Il viaggio in aereo è sempre stato per me un vero spartiacque tra
il qui e l’altrove. I viaggi in auto, invece, spesso li rinvio o li modifico.
È sempre così, la meraviglia abita nella profondità degli opposti, e
può capitare che la rigidità delle procedure che permettono di volare
mi regalino la libertà che la flessibilità del tragitto in macchina non
riesce a darmi.
In ogni caso, quando si tratta di viaggiare è Daniela che si occupa
dei bagagli, sempre per mantenere i litigi sui binari della raccolta
punti e non deragliare in altri ambiti. Rovinare una vacanza perché
ho dimenticato di mettere le mutande in valigia o perché ho inserito
una felpa pesante in luglio sarebbe da stupidi. Perché rischiare? Il
mio bagaglio, invece, è sempre lo stesso: zaino e computer.
I passaporti sono nel cassetto del comodino. Per i documenti
sono io l’incaricato. Mia figlia Marta le chiama «le cose della legge»
e su quelle sono bravo. Quel giorno aprii il cassetto, presi i
passaporti e mi ritrovai tra le mani un test di gravidanza ancora
confezionato. Doveva essere il secondo di una verifica fatta qualche
mese prima. Stavo per rimetterlo a posto quando Daniela dal bagno
borbottò: «Sai che sono in ritardo?»
«Di quanto?»
«Qualche giorno… ma figurati! Ci mancherebbe solo questa. Lo
sai che il cantiere è ufficialmente chiuso, no?»
Non dissi nulla e sorrisi. Insieme ai passaporti infilai nello zaino
anche quel test che da lì a poco sarebbe pure scaduto, tanto valeva
usarlo. Partimmo. Durante il volo io mi rilassai, lei si agitò. E, dopo
un paio d’ore, benvenuti a Berlino!
«Quando hai una canzone in testa e continui a canticchiarla sei
veramente una noce pazzesca», sbuffò Daniela, mentre
recuperavamo la valigia dal rullo trasportatore. Effettivamente mi
capita spesso di canticchiare un motivetto e di portarmelo a spasso
per molte ore. Poco prima di atterrare avevo letto l’indirizzo del
nostro albergo e, dopo aver realizzato che si trovava in
Alexanderplatz, in maniera ipnotica avevo iniziato a cantare il
ritornello della canzone di Franco Battiato ispirata da quella piazza.
Nella canzone c’era la neve, da noi un meraviglioso sole d’agosto.
L’hotel Park Inn Berlin era altissimo, quarantadue piani. Alla
reception ci accolsero con grandi sorrisi.
«Camera 2103, ventunesimo piano. L’ascensore è quello sulla
destra», ci indicò la ragazza in inglese, ma con un marcato accento
tedesco, consegnandoci le tessere. Entrammo in ascensore e
Daniela, sbarrando gli occhi, iniziò il suo training autogeno ripetendo
davanti allo specchio: «Ventunesimo piano… ohmmioddio…»
Io per tranquillizzarla ripresi a fischiettare Alexanderplatz.
«Finiscila, mi fai venire la nausea.»
«Nausea? Tranquilla. Ho questo», dissi tirando fuori dalla tasca
dello zaino il test di gravidanza.
«Tu sei veramente fuori. Dove l’hai preso?»
«Boh, ne avevamo uno a casa. Non mi hai detto che sei in
ritardo? Verifichiamo, no?»
«Ma finiscila.»
«Ok, ma visto che ora andrai in bagno», lo fa sempre appena
entra in una camera d’albergo, «fai quello che sai e restituiscimelo
subito senza guardare.» Era un patto: dovevo guardare sempre
prima io. E poi era talmente certa del risultato che non fece
obiezioni.
Ed eccomi in camera, vicino alla finestra con una vista pazzesca
su Berlino e con in mano un piccolo bastoncino di plastica che, con
la sua chimica, stava preparando notizie per noi. Mai avrei pensato
che, ancora una volta, quelle due asticelle rosse mi avrebbero
donato una gioia così grande. Le altre volte avevo coperto il test con
le mani a conchiglia per qualche minuto, per poi meravigliarmi
all’apertura del piccolo sipario. Questa volta no, volevo assistere a
quel lento passaggio dal bianco al rosso delle asticelle. In quei pochi
istanti meditavo su come, nelle varie coppie, uno stesso identico
risultato potesse gettare nel terrore o far piangere di gioia.?
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