Bloccati dalla neve – Teodora Kostova

SINTESI DEL LIBRO:

Nate si spruzzò la faccia con l'acqua fredda, schizzando le piastrelle dietro
al lavandino. Alzò la testa e fissò il proprio riflesso nello specchio. La pelle
pallida era arrossata dalla doccia bollente, e dei rivoli d'acqua gli
scendevano ancora giù, lungo il petto. Le guance erano rosee per l'assalto
degli spruzzi freddi, e gli occhi verdi lo fissavano luminosi. Sorrise, mentre
si pettinava i capelli scuri con le dita di una mano, spingendoli indietro.
Sarebbero rimasti così al massimo per qualche minuto prima di sparare in
tutte le direzioni, arricciandosi attorno al viso. Aveva rinunciato a domarli
molto tempo prima, da quando Quinn aveva detto che gli piacevano e aveva
cominciato a infilarci le dita ogni volta che aveva potuto.
Il che non succedeva spesso quanto Nate avrebbe voluto. Non vedeva
Quinn da un anno. Si erano parlati al telefono e avevano chattato online
qualche volta, ma non era lo stesso che averlo a portata di tocco. E lui
voleva toccarlo proprio adesso. Stringergli le braccia attorno e fondersi con
quel corpo caldo e forte, sentendo il cuore che ritornava al suo posto.
Fin da quando Quinn era andato al college a Chicago, tre anni prima, Nate
non aveva trovato pace. Sapeva che non aveva il diritto di sentirsi così;
Quinn non era il suo ragazzo. Non gli aveva fatto promesse. Era il migliore
amico di suo fratello e una presenza costante nelle loro vite fin da quando
Nate riusciva a ricordare. Quando erano bambini aveva passato così tanto
tempo in casa loro, che sua madre aveva l'abitudine di scherzare dicendo di
avere tre figli, anche se ne aveva dati alla luce solo due.
Sospirò, scuotendo la testa per interrompere il flusso dei ricordi. Non erano
più bambini. Quinn era andato in quella cazzo di Chicago, probabilmente
progettando di non tornare più a Denver in maniera stabile, e Brandon
aveva già finito il college, anche se aveva solo un paio d'anni più di Nate.
Aveva reso orgogliosi i loro genitori guadagnandosi una laurea in
architettura e seguendo le orme del padre. Brandon aveva tutto: il classico
bell'aspetto, la bellissima ragazza, amore del liceo, il cervello, la
determinazione e l'ambizione per realizzare tutto quello che aveva sognato.
Era anche il miglior fratello che Nate avrebbe potuto sperare. Nessuno
tranne Brandon, che aveva la pazienza di un santo, avrebbe potuto
sopportare le sue stronzate.
E Nate... Nate era stato alla deriva e senza meta fin da quando aveva
terminato il liceo due anni prima. Viveva ancora con i suoi e aveva trovato
un lavoro comodo in una libreria a pochi isolati da casa. Per andarci faceva
solo un tratto in bicicletta, e la paga era ragionevolmente buona.
Considerato che non pagava affitto né bollette – i suoi genitori non ne
volevano sapere – era riuscito a risparmiare un po' di soldi, ma non sapeva
per cosa. Mamma e papà lo incoraggiavano a fare domanda per una borsa di
studio in qualche università prestigiosa, con dei buoni corsi d'arte.
Credevano in lui e nel suo talento, anche se a lui sembrava tutto piuttosto
inutile.
Sì, sapeva fare dei disegni carini, e allora? Una volta o due si era trastullato
con l'idea di trovare un college a Chicago, giusto per essere vicino a Quinn,
ma era parsa un’idea troppo disperata anche al suo cervello sconvolto
dall'amore.
C'era una cosa però... Una che davvero avrebbe voluto provare.
Animazione. Sin da quando Quinn gli aveva mostrato come trasformare un
paio dei suoi disegni in un breve film animato, ne era rimasto affascinato.
Quinn era un genio creativo in fatto di computer, e Nate dubitava di poter
mai raggiungere il suo livello di conoscenze e di abilità. Ma vedere i due
personaggi che aveva creato – Aiden e Sam, che somigliavano in maniera
sospetta a lui e Quinn anche se lui cercava di negarlo – prendere vita, lo
aveva ispirato a continuare a disegnare fino ad avere una storia completa.
Era stato un progetto sciocco, ma era stato divertente fare qualcosa assieme,
solo loro due, soprattutto perché aveva avuto Quinn sdraiato sul suo letto
con il portatile sulle cosce, a lavorare sul film, ridacchiando e scherzando,
finché, cinque minuti dopo, Nate non si era addormentato accanto a lui.
Venne scosso da un brivido e si rese conto che era rimasto a sognare a occhi
aperti troppo a lungo. Aveva ancora la pelle umida, ma adesso l'acqua che
gli sgocciolava dai capelli era fredda e il vapore della doccia se n’era
andato, lasciando il bagno freddo. Con un asciugamano attorno alla vita
raggiunse la porta e abbassò la maniglia, entrando nella sua camera da letto.
«Finalmente,» disse una voce di donna proveniente dal letto. Nate trasalì,
girandosi così in fretta da picchiare l'alluce contro lo stipite.
«Cazzomerda, Faith!» strillò, saltellando fino al letto stringendosi il piede.
«Che diavolo ci fai qui?»
La ragazza di suo fratello gli sorrise dolcemente, per nulla turbata dal suo
sfogo. Si spostò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio e voltò la
pagina della rivista.
«Aspettavo te.»
«Nella mia camera da letto? Mentre sono sotto la doccia?»
«Oh, rilassati. Non sono qui nella speranza di dare un'occhiata al tuo
uccello,» disse lei alzando gli occhi al cielo. «Sono sicura che è carino
eccetera, ma ho già quello di Brandon per giocarci, e non c'è niente di
meglio.»
Nate la guardò boccheggiando, mentre lei gli faceva l'occhiolino. Era sicuro
che fosse la combinazione tra l'aspetto da modella e quella boccaccia ad
aver attratto suo fratello, ma lui non era divertito.
«Potremmo non parlare del mio uccello?» Lei aprì la bocca per dire
qualcosa, ma Nate continuò a volume più alto. «O di quello di mio
fratello?»
«Mi conosci troppo bene, Nathan Graves,» disse lei con un sorriso timido.
«Di cosa vuoi parlare allora?»
«Di cosa vuoi parlare tu, Faith. Sei tu che ti sei infilata in camera mia come
uno di quegli stalker agghiaccianti, quindi è chiaro che hai qualcosa da
dire.»
Nate lasciò andare il piede, che pulsava con un dolore sordo, ma perlomeno
non gli faceva più vedere le stelle.
«Che ne dici del tuo argomento preferito?» chiese lei inarcando le
sopracciglia dalla forma perfetta. Nate si alzò dal letto e andò verso
l'armadio per recuperare dei vestiti. Parlare con Faith indossando solo
l'asciugamano lo metteva un tantino a disagio.
«Cockyboys?»
«No, cretino.» Faith lo disse con un forte sospiro; si sedette sul letto,
dimenticando la rivista. «Quinton McCarthy.»
«Per favore, non chiamarlo Quinton,» disse da sopra la spalla Nate, che a
quel nome aveva sussultato. «Lui lo odia.»
«D'accordo. Quinn,» disse lei pronunciando il nome con una chiarezza non
necessaria.
«Che c'è da dire di lui?» Nate prese un paio di boxer, i jeans e una maglietta
e tornò in bagno a vestirsi.
«Non sei eccitato di vederlo dopo tutto questo tempo?» gli chiese Faith
proprio mentre chiudeva la porta del bagno.
Cazzo, sì che era eccitato. Si sentiva come se volesse uscire dalla propria
pelle. E lei lo sapeva. Brandon le aveva spifferato tutto quello che Nate
aveva detto a lui, così Faith sapeva esattamente che cosa lui provasse per
Quinn.
Si strinse nelle spalle invece di rispondere mentre usciva dal bagno,
completamente vestito. Cercò di lisciarsi di nuovo i capelli all'indietro, ma
erano quasi asciutti e gli ricaddero attorno alla faccia.
«So che hai un piano,» disse Faith, guardandolo dritto negli occhi quando
lui la fissò.
«Io non...» cominciò lui, con una voce meno sicura di quanto avesse
sperato. Come faceva lei a saperlo? Non ne aveva parlato con nessuno,
nemmeno con Brandon.
«Non disturbarti neanche a negarlo, Nathan.» Aveva l'aria seria, ma le si
addolcì lo sguardo mentre dava una pacca alla trapunta accanto a sé. Nate
abbassò le spalle e le si sdraiò sul letto vicino, mettendosi un braccio sugli
occhi.
«Come hai fatto a saperlo?

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