L’assoluzione – Heine Bakkeid

SINTESI DEL LIBRO:
Mi ha sempre infastidito il passaggio dall’inverno alla primavera. Gli
alberi contorti e nudi fanno pensare ad arbusti mutanti spuntati
dall’asfalto dopo una guerra nucleare, e Stavanger boccheggia sotto
i continui acquazzoni che colorano la città di una tinta mucillaginosa
e grigiastra.
Giù in centro, nella Klubbgate, gli uffici della NAV, l’agenzia di
collocamento di Stato, sono più frequentati che mai. Il divanetto della
sala d’attesa è gremito. I volti dei presenti sono tesi, provati.
«Thorkild Aske.» La stretta di mano di Iljana è rimasta la stessa
dell’ultima volta. O forse sbaglio, la presa si è fatta un tantino più
molle e il tocco della pelle è un po’ più gelido: sembra di dare il
buongiorno a un cadavere nella cella frigorifera di qualche obitorio.
«Ben ritrovato» soggiunge senza la minima cordialità nella voce,
lasciandosi cadere su una poltroncina da ufficio con lo schienale
foderato di azzurro e il logo dell’agenzia.
«Il privilegio, mi creda, è tutto mio» rispondo prendendo posto di
fronte alla scrivania.
«Se li ricorda la data di nascita e il numero utente?»
«Certo che me li ricordo.» In mezzo a noi troneggia il cesto di
banane finte, avvilenti come il primo giorno. Noto che oggi hanno
compagnia: si sono aggiunti un grappolo d’uva di plastica e un
simulacro di pera. L’atmosfera, però, non ne guadagna in allegria.
Tanto valeva attenersi alle sole banane.
«E le dispiacerebbe dettarmeli?» Oscilla avanti e indietro sulla
poltroncina, leggermente irritata.
Inizio a sgranare un rosario di cifre, costringendola a distogliere lo
sguardo dal mio volto sfigurato per fissare lo schermo del computer.
«Cioè in sostanza lei ha deciso di lasciar perdere il sussidio di
inserimento professionale per chiedere direttamente l’invalidità?»
«Esatto.» Le porgo la busta che ho portato con me. «Dopo aver
consultato il mio gruppo di sostegno sono giunto a questa
conclusione. Non c’è altra via.»
Si sfila gli occhiali dal naso. «In pratica dopo quello che è
successo in carcere…»
«Ho fatto visita a mia sorella nel Nord della Norvegia, sì…
L’autunno scorso.»
«E lì ha tentato…» Iljana mi fissa, esitante. «Ha di nuovo tentato
di togliersi la vita?»
Annuisco. «Due volte. Le ho messo anche i ritagli di giornale.»
Iljana fruga nella busta e scartabella tra i fogli. «Vedo. L’ultima per
mezzo di un…» Rialza gli occhi dall’articolo. «Di un fucile per la
pesca subacquea!?»
«La pressione si era fatta intollerabile.»
«Si riferisce a noi? La pressione della NAV?»
Annuisco di nuovo.
Ulf, il mio amico e psichiatra, ha stabilito che è giunta l’ora di
puntare al jackpot. Assegno di invalidità pieno. Ulf e il mio medico
curante hanno firmato una lettera nella quale spiegano come le
continue vessazioni della NAV, decisa a farmi lavorare in un call
center a Forus, si sono tradotte in ben due nuovi tentativi di suicidio:
la prima volta mi sono gettato in mare, la seconda mi sono sparato
nella mano e al petto con una fiocina. Naturalmente non si accenna
neppure al caso nel quale mi ero messo a ficcanasare lassù a
Tromsø, nel Nord della Norvegia. Ulf ha perfino minacciato di parlare
con la stampa se la NAV non smetterà di assillare il suo paziente,
che ha riportato dei danni cerebrali, soffre di una grave tendenza
all’autolesionismo e ha bisogno di cure.
«Bene bene.» Iljana fa passare le carte. «Per quanto ci riguarda,
mi sembra che la documentazione sia completa.» Riordina i fogli e li
rimette nella busta, poi si posa in grembo le mani giunte.
«E adesso come si procede?» Strofino con i polpastrelli la
cicatrice che mi è rimasta sul palmo della mano, dove la freccia del
fucile subacqueo ha trapassato la carne. Mi fa ancora male,
specialmente nei giorni di pioggia. E a Stavanger piove quasi
sempre.
«Be’…» sospira lei premendo i pollici l’uno contro l’altro. «Il
prossimo passo è la valutazione neuropsicologica.»
«Di che cosa si tratta?»
Si gira verso di me, ma senza incrociare il mio sguardo. «È un
esame, una batteria di test cognitivi. La convocheranno in
primavera.»
Ringrazio e mi alzo.
Iljana mi sorride, ma è un sorriso di circostanza, privo di
qualunque empatia. Poi china il busto nella mia direzione,
incombendo sul cesto con la frutta di plastica. «Si dia una calmata,
Aske. Rispetti i suoi limiti. Niente viaggetti mentre è sotto
osservazione medica.»
«Io non vado proprio da nessuna parte» prometto. «Soltanto
seratine tranquille nel mio appartamento a meditare sui colpi bassi
della vita e della NAV.»
Iljana accenna un’espressione sconsolata e torna a studiare lo
schermo del suo computer mentre io giro sui tacchi e tolgo il
disturbo.
Appena esco in strada squilla il telefono.
«Fatto?» Il tono di Ulf è teso. Sullo sfondo si sente la voce di Arja
Saijonmaa che canta Jag vill tacka livet, la versione svedese di
Gracias a la vida di Violeta Parra.
«Fatto.»
«E quindi…?»
«Mi convocheranno per la valutazione neuropsicologica nel corso
della primavera.»
«Bene bene…» cantilena Ulf. «Vuol dire che la pratica è partita.
Ottimo, eccellente.» Una pausa. Sento Ulf che mette la freccia
mentre mastica con tutte le sue forze una gomma alla nicotina. Mi ha
dato il pianto / per insegnarmi a distinguere la gioia dal dolore.
Quando sono rientrato da Tromsø, Ulf mi ha tolto i medicinali. Per
darmi il buon esempio ha rinunciato anche lui alle sue Marlboro.
Quella decisione si è tradotta in un abuso compulsivo di cerotti e
gomme alla nicotina. Promettendo di smettere Ulf si è infilato in un
bel ginepraio, perché ormai non può più cedere al bisogno di fumare
senza rivedere anche il mio trattamento farmacologico. La situazione
si è impantanata in una logorante guerra di trincea: io aspetto, Ulf
rumina.
«E hai preparato la valigia per domani?» fa in tempo a
domandarmi prima che io chiuda.
«Sì. Pronto a partire.»
«Niente macchinette del caffè o altre scemenze inutili? Questa
volta non è proprio il caso di scazzare, Thorkild.»
«Solo abiti e buone intenzioni. Niente cianfrusaglie.»
«Mi raccomando! Questa opportunità insperata con Milla Lind è
forse l’ultima occasione che hai per…»
«Niente scemenze, giuro.»
«Doris è tanto impaziente di vederti, sai? Sei il primo islandese
che incontra.»
«Mezzo» lo correggo io. «Sono islandese solo per metà, come sai
bene. E in Islanda ormai non ci metto piede da più di vent’anni.»
«E chi se ne frega. L’importante è che Doris ti aspetta.»
«Senti, Ulf…» riprendo, strizzando gli occhi per proteggerli dal
forte sole primaverile, che ha iniziato a farsi strada tra i nuvoloni
sospesi sul palazzo della NAV, nel centro di Stavanger. «Riguardo
quella cena…»
«Scordatelo. Ti ho invitato e ci vieni. Niente scuse questa volta…
E il canto degli altri che è lo stesso canto… Ah, a proposito»
continua Ulf mentre duetta con Arja Saijonmaa, «già che ci sei,
fermati a comprare del cerfoglio.»
«Del che?»
«Cerfoglio. Porta un po’ di cerfoglio.»
«E che roba è?»
«Tu entra e chiedi del cerfoglio» sbuffa lui. I muscoli della
mandibola stanno lavorando a pieno regime. «È una specie di
prezzemolo. Per strada ti fermi al supermercato, uno qualunque.
Vedrai che lo tengono.»
«Devo proprio?»
«E il canto di tutti che è il mio stesso canto… Sì che devi» taglia
corto Ulf, e riattacca.
2
«Ulf mi ha detto che sei impotente» esordisce Doris mentre sediamo
al tavolo della cucina. Ulf ha una villetta nel quartiere di Eiganes, la
zona ricca di Stavanger, e la sua amante di turno è una sessuologa
tedesca di cinquantasette anni. Tiene rubriche sui giornali e gestisce
un blog. Ulf l’ha conosciuta a un convegno a Bergen.
«No! Boh! Non lo so!»
Ulf, impegnato a tritare il cerfoglio sul bancone, ci dà dentro
senza risparmio. Indossa un ampio camicione senza maniche. Su
una delle braccia nude spiccano tre cerotti alla nicotina.
Doris spezzetta una pagnotta con le dita e dispone i bocconi su
un piattino accanto alla zuppiera. Subito arriva anche Ulf, che
cosparge la minestra con una manciata di cerfoglio sminuzzato. Lei
mescola il liquido torbido aiutandosi con un pezzetto di pane, poi lo
mette in bocca e mastica. «E dimmi, ti masturbi spesso?»
Io fisso con ostinazione il fondo del mio piatto, facendo finta di
non aver sentito.
«Thorkild non si masturba» interviene Ulf, provvidenziale, mentre
versa il vino e prende posto tra noi.
Doris intinge un altro boccone nella zuppa e mi scruta con due
occhietti indagatori. «E tu come fai a saperlo?»
«Ma è proprio questo il problema, vedi…» Ulf si lecca il cerfoglio
dalla punta delle dita. «Lui è sempre l’ultimo a sapere le cose. Si
crea delle barriere, degli ostacoli insormontabili che gli risparmiano
di mettersi in gioco nel mondo oltre la porta del suo appartamento.
Aske è in fuga da quelle che potremmo chiamare dinamiche
interpersonali, in ogni loro forma.
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