L’allieva –  Alessia Gazzola

SINTESI DEL LIBRO:

Il sopralluogo
L’annuale party di beneficenza organizzato da quegli iperattivi di Pediatria
mi ricorda puntualmente che, in qualità di specializzanda in Medicina legale,
mi trovo - senza alcuna chance di progressione verticale - all’ultimo gradino
della catena alimentare della Medicina. Gli altri, ossia tutti gli altri medici,
sono convinti di essere al vertice.
Imbevuti di maratone di E.R., hanno una percezione distorta della loro realtà
professionale e nessuno si prende la briga di spiegare, per esempio, a uno
sfigato qualunque di Pediatria che lui non ha niente a che vedere con George
Clooney. Non che io abbia a che vedere con CSI, perché nel mio terrificante
Istituto, il grande santuario dell’umiliazione intesa come sport, il ruolo dello
specializzando, e il mio nella fattispecie, è considerato alla stregua della carta
igienica. Anzi, peggio, perché almeno la carta igienica ha una qualche utilità.
Non c’è possibilità che a una specializzanda del mio rango venga affidato un
grosso caso di quelli che finiscono sui giornali.
Pertanto, irrisa dai colleghi che giocano al Dr House ed esclusa da quelli che
si sentono protagonisti di un romanzo della Cornwell, non posso che
considerarmi un’appendice vermiforme della Medicina legale.
Forse è per questo che, da sempre, il party di raccolta fondi per la ricerca
contro le malattie neurologiche pediatriche è in assoluto la circostanza più
rovinosa del mio anno solare.
La tentazione di darmi malata è veramente forte. Un’emicrania improvvisa,
un attacco d’asma, una salmonellosi resistente all’Imodium. Tutti sanno,
però, che alle feste si sparla sempre degli assenti e sinceramente non ci tengo
a subire questo destino. Perciò, inutile tormentarsi: ci vuole una grossa dose
di buona volontà - e di superalcolici - per sopportare la serata.
Forza, Alice. Saranno al più tre ore. Che cosa sono tre ore? Sempre meglio di
una lezione della Wally sulle asfissie.
Di fronte all’ingresso la fuga mi tenta ancora, ma le resisto.
Nell’ampia sala, la voce suadente di Dusty Springfield canta The look oflove.
Nella confusione - siamo tutti stretti come sardine - scorgo i miei colleghi
d’Istituto che schiamazzano, fermi più che mai allo stadio di maturità psicoemotiva dei liceali.
Ogni microcosmo lavorativo, come un alveare, ha la sua Ape Regina. Noi
siamo fieri di avere Ambra Mirti Della Valle, e tutti i miei colleghi, in questo
preciso momento, le orbitano attorno come i pianeti del sistema solare. Tutti
tranne Lara Nardelli, che è l’unica, forse, a partecipare a questo party con un
entusiasmo inferiore al mio. Lara e
io abbiamo superato il concorso insieme e siamo colleghe di anno; anziché
vivere una competizione che di fatto è nettamente a mio sfavore, abbiamo da
sempre impostato
il nostro rapporto sulla solidarietà e lei è probabilmente l’unica di cui mi fidi
in Istituto. Lara mi sorride dolcemente e si avvicina porgendomi un piattino
stracolmo di tartine. Porta i capelli rossicci, tinti maldestramente, raccolti in
uno chignon malriuscito e ha un’aria annoiata che mi conforta. Entrambe
osserviamo Ambra esibirsi in uno dei suoi migliori monologhi, incapace di
cogliere la differenza tra l’essere frizzante e l’essere molesta.
Eppure, l’ecce homo del nostro Istituto sembra apprezzarla.
Claudio Conforti. Classe 1975, segno zodiacale leone, stato civile celibe.
Bello, come James Franco nella pubblicità del profumo Gucci by Gucci.
Stronzo -sicuramente l’uomo più stronzo che io conosca e, probabilmente, il
più stronzo di tutto l’universo. Brillante - è l’acclamato genio dell’Istituto, il
miglior allievo del Boss. Ha un curriculum leggendario ed è il paradigma del
giovane universitario emergente che, dopo aver tanto unto, recentemente è
passato dalla palude informe dei dottori di ricerca al rango di ricercatore.
I suoi occhi, di un intenso verde muschio con qualche pagliuzza dorata,
esprimono uno stato di stabile inquietudine. Quando è stanco o affaticato, il
sinistro diventa lievemente strabico, ma senza sciupare il quadro complessivo
della sua notevole bellezza. È un volto già segnato dagli eccessi ma che, forse
proprio per questo, emana un’indefinita aria di dissolutezza che è tutta sua e
che secondo me costituisce la chiave del suo fascino. All’occorrenza uomo
d’azione, ma per lo più carattere di tipo speculativo-contemplativo, Claudio
in Istituto è adorato da tutti perché efficiente e di rappresentanza, ed è adorato
da me in maniera particolare perché, sin da quando ho avuto la fortuna di
iniziare questo lungo e tormentato percorso professionale, costituisce il mio
punto di riferimento assoluto nel mare d’indifferenza e di anarchia che è il
tessuto socio-didattico dell’Istituto.
L’Istituto di medicina legale - quello in cui io lavoro - è un luogo deputato
principalmente all’attività necroscopica e marginalmente a quella di ricerca
universitaria. A tale struttura, resa agghiacciante non tanto da ciò che avviene
al suo interno quanto dai membri che la popolano, il neolaureato in Medicina
e chirurgia accede mediante accurata selezione per titoli e a seguito di un
doppio esame scritto, superato il quale, infine, fa il suo ingresso in questo
territorio ostico e nefasto, la cui gerarchia è semplice da riassumere.
Al vertice c’è quello che tutti, me compresa, chiamano semplicemente «il
Boss». Anche se, dentro di me, a volte lo ribattezzo in un altro modo,
nell’unico modo che mi sembra adatto alla sua statura professionale: «il
Supremo». Il Boss è una creatura divenuta ormai leggendaria nell’ambiente
medico legale. Anzi, lui è la Medicina legale e se c’è un caso intricato, si può
star certi che l’ultima parola è la sua.
Immediatamente al di sotto, una serie di elementi variegati e per lo più mal
assortiti, uno peggiore dell’altro quanto a capacità di vessazione; su tutti si
erge la Wally, un personaggio il cui credo è riassumibile in un unico teorema:
«il tuo pensiero è libero, ovviamente fino a quando non decido io».
Tra gli altri, a suo modo e per particolari talenti, spicca il dottor Giorgio
Anceschi, un uomo dalle mille virtù ma troppo debole di carattere per farsi
spazio in questa giungla di guerriglieri andini col coltello tra i denti. E così,
pur essendo docile e accomodante, come spesso accade ai migliori è
purtroppo malvisto dagli alti vertici. Penalizzato nell’aspetto da un’obesità di
retaggio infantile, il buon dottore sembra Babbo Natale: tollerante e benigno,
è un uomo di rara generosità intellettuale. Forse perché demotivato, il dottor
Anceschi considera il lavoro in Istituto una specie di hobby marginale,
qualcosa che si fa quando si può, nei ritagli di tempo; tuttavia, quando è
presente, è il miglior docente con cui interfacciarsi: non gliene importa nulla
di un errore, di una svista, di un problema. È sostanzialmente un epicureo
della Medicina legale; per questo sbagliare non è mai troppo grave se capita
in sua presenza.
Da poco, in quest’organico che davvero ne sentiva il bisogno, è appunto
entrato Claudio, pronto a rendere le nostre giornate certamente più frizzanti,
perché nel fondo della sua anima è un gran gigione e gli piace fare l’uomo di
punta, ruolo che peraltro gli riesce benissimo. In realtà, malgrado le frequenti
allusioni e ambiguità con cui condisce i suoi approcci nei riguardi del ristretto
numero di specializzande a sua disposizione, tutte in un perenne stato di
idolatria nei suoi confronti, Claudio ha sempre obbedito al comandamento «si
guarda ma non si tocca», probabilmente perché reputa inopportuno mischiarsi
con la plebe. Lui, il ricercatore che ha trascorso un anno alla Johns Hopkins,
lo scapolo d’oro dell’Istituto di medicina legale e forse dell’intera facoltà di
Medicina, non sedurrebbe mai una specializzanda -anche perché non gli
piacerebbe se il Boss o la Wally lo venissero a sapere, no, no - e quindi gioca,
a volte anche pesante, senza mai concretizzare. Nelle sue attenzioni è però
magnanimo: le concede a tutte.
In questo preciso momento, decide di concederle a me. Tenendo tra le dita un
Martini Bombay Sapphire mi si avvicina con tutta la sicurezza di un
predatore della savana centrafricana.
«Ciao, Allevi» esordisce, stampandomi un bacio sulla guancia e inondandomi
del suo profumo che, da quando lo conosco, è sempre lo stesso: un misto
penetrante di Declaration , mentine, pelle pulita e gel per capelli. «Ti va?» mi
chiede porgendomi il suo drink.
«Troppo forte» rispondo scuotendo il capo. Evidentemente, però, per lui non
è troppo forte, perché lo manda giù senza difficoltà, come fosse acqua.

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