Il manoscritto dell’imperatore – Valeria Montaldi

SINTESI DEL LIBRO:

Parma, febbraio 1248. Dense colonne di fumo oscurano il cielo della
città sotto assedio. L'incendio divampa nell'accampamento
imperiale: i soldati di Federico II di Svevia giacciono a terra
massacrati senza pietà dai cittadini in rivolta. Mentre il fuoco
distrugge ogni cosa e le tende vengono saccheggiate, il manoscritto
sull'arte della falconeria scritto di pugno da Federico II scompare.
Nove mesi più tardi, l'imperatore delega al proprio vicario, Ezzelino
da Romano, il compito di ritrovarlo. Non può permettere che vada
perso per sempre. Non solo perché si tratta di un'opera dal valore
inestimabile, arricchita da miniature preziose. Soprattutto perché
quei fogli contengono dissertazioni che, diffuse nel momento
sbagliato, potrebbero scatenare un'accusa di eresia e rompere
l'equilibrio già precario con la Chiesa. Della missione è incaricato
Gualdo da Margnano, fedele luogotenente di Ezzelino che, insieme
con il miniaturista francese Simone da Aix, raggiunge il castello di
San Martino, dove forse è nascosto il trattato. Nessuno degli abitanti
sembra conoscere l'esistenza di questo documento misterioso: né il
castellano, né la giovane nipote, né il suo precettore, Matthew da
Willingtham. Ma bisogna fare in fretta, esplorare ogni stanza, ogni
andito. Perché una nuova guerra è cominciata. Le notizie sul
manoscritto sono arrivate all'orecchio del papa. Innocenzo IV decide
di affidare le ricerche a un inquisitore senza scrupoli. E mentre una
vecchia pazza si aggira sui camminamenti delle mura e una strega
esplora passaggi segreti, Matthew sarà coinvolto in crudeli giochi di
potere, scanditi da enigmi sempre più insolubili. Fino a quando sarà
il fato a decidere le sorti del manoscritto...
Il nuovo romanzo di Valeria Montaldi, che unisce una profonda
conoscenza storica a un impeccabile stile narrativo, non è soltanto
una serrata avventura medievale, ma anche un'acuta
rappresentazione dei rapporti fra Stato e Chiesa, fra etica religiosa e
pensiero laico che, letta oltre le righe, si presta a inevitabili
discussioni e confronti con il nostro tempo.
Valeria Montaldi, giornalista e scrittrice, vive a lavora a Milano. Ha
esordito nel 2001 con II mercante di lana, cui sono seguiti II signore
del falco (2003) e II monaco inglese (2006), entrambi finalisti al
Premio Bancarella. Tutti i suoi romanzi, che hanno ottenuto grande
successo in Italia, sono stati pubblicati all'estero. Il suo sito internet è
www. valeriamontaldi. it.
In copertina:
illustrazione di Iacopo Bruno
fotografia dell'autrice © Mauro Balletti
Iucca Design
www. rizzoli. eu
ISBN 978-88-17-01991-0
€21,50
IL manoscritto dell'imperatore
a Giulio
... di queste città resterà il vento che le attraversa (Bertolt Brecht)
Prologo
Parma, febbraio 1248. Accampamento imperiale.
La donna era supina. La veste, arrotolata fino al seno, lasciava
scoperto il ventre: i lembi della camiciola, lacerata nel mezzo,
ricadevano ai lati delle cosce divaricate.
L'armaiolo si riannodò le brache in vita e la guardò in volto. Gli occhi
terrorizzati che lo fissarono gli provocarono un nuovo guizzo
all'inguine, ma fu solo per un attimo. Estratto il pugnale dal farsetto,
afferrò la donna per i capelli e le tagliò la gola. Per un lunghissimo
momento, un gorgoglio orribile riempì lo studiolo, poi fu silenzio. La
testa della giovane saracena ricadde all'indietro e dallo squarcio sul
collo il sangue cominciò a colare a fiotti sul pavimento.
L'uomo ripulì la lama sulla veste della donna e sogghignò: proprio
lui, un umile armaiolo di Parma, aveva ucciso la puttana
dell'imperatore!
Non appena tutta quella faccenda fosse finita, avrebbe cominciato a
gloriarsene alla locanda spiegando come se la fosse goduta prima di
sgozzarla. Avrebbe anche arricchito il racconto con quanti più
particolari truculenti gli fosse riuscito di inventare e i suoi compari di
bevute sarebbero rimasti sbalorditi.
Si riscosse da quella fantasia. Doveva svolgere il compito che gli era
stato assegnato e doveva farlo subito, aveva già perso fin troppo
tempo. Sprangò la porta dietro di sé e osservò attentamente il locale:
un tavolo a cavalletti e un sedile da viaggio erano affiancati alla
parete. Poco più in là, seminascosto da una tenda di cuoio istoriato
che pendeva dalla trave del soffitto, c'era un forziere d'argento
massiccio. Ne saggiò il coperchio: era chiuso. Si lasciò sfuggire una
bestemmia. Dove diavolo era la chiave? Era lì da qualche parte,
oppure Federico l'aveva portata con sé quando aveva lasciato
l'accampamento? Il tavolo era privo di tiretto e sul ripiano c'erano
solo un calamaio, una penna d'oca e una pergamena raschiata più
volte.
Di una chiave nemmeno l'ombra. Doveva cercarla.
Si guardò intorno. Appena dietro un basso divisorio di legno
intagliato a motivi spiraliformi, si intravedeva un giaciglio. Aggirato il
paravento, afferrò il saccone di piume e lo tenne sollevato con il
braccio sinistro mentre con la mano destra frugava nel cassone di
legno sottostante.
Aveva già tastato quasi tutte le assi, quando, lungo una fessura, le
sue dita percepirono un piccolo fagotto di tessuto ripiegato su se
stesso. Lo afferrò e lo svolse: al centro della pezzuola comparve la
chiave. Esultante, si voltò e la inserì nella serratura. Lo scrigno si
aprì. Sul fondo era deposta una sacca di pelle. Nient'altro. La
estrasse, ne sciolse rapidamente i lacci e fece scivolar fuori quello
che conteneva. Quando la sua mente comprese il significato di
quello che stavano fissando i suoi occhi, dalla gola gli uscì un grido
di giubilo.Eccole le pergamene! Eccitato, si inginocchiò e le
appoggiò sul pavimento, cominciando a scorrere in fretta i fogli. Sul
primo, la lettera iniziale del testo era istoriata con una figura umana
ammantata di rosso. Un fregio, azzurro come IL tondo in cui era
dipinta l'immagine e punteggiato da arabeschi dorati, correva a
fianco delle due colonne di scrittura e incorniciava tutta la pagina: la
decina di fogli che seguiva era fitta di righe vergate con inchiostro
nero.
L'armaiolo non sapeva leggere, ma era pronto a scommettere che
quello fosse proprio il trattato scritto da Federico. Le pergamene
tenute sotto chiave e l'immagine miniata lo convinsero di aver
finalmente trovato il tesoro che gli era stato detto di rubare. Rimise il
libro nella sacca, la richiuse e ne allacciò i legacci alla cintura. Dal
pavimento dove lo aveva gettato, raccolse il mantello e se lo avvolse
intorno al corpo. Poi, dopo aver gettato un'ultima occhiata distratta al
cadavere della saracena, si avvicinò alla soglia dello studiolo e
accostò l'orecchio alla porta: dall'andito non proveniva alcun rumore.
Aprì e, a passi felpati, imboccò la scala di legno. Nel vestibolo non
c'era nessuno. Scivolando silenzioso nella penombra, raggiunse il
portale e uscì, guardingo. Il fumo dell'incendio gli mozzò il respiro.
Dalle rovine degli alloggi militari che fino al giorno prima avevano
dato riparo all'esercito dell'imperatore si levavano ancora esili lingue
di fuoco che, a poco a poco, andavano spegnendosi. Smorzati dalla
lontananza ma chiaramente distinguibili, dal fondo del campo
arrivavano fin lì i barriti e i ruggiti delle belve imprigionate nel
serraglio. Sordi a quei suoni terrificanti, gruppi di uomini e donne si
aggiravano per l'accampamento. Concitati, scavalcavano i cadaveri
delle guardie imperiali e con gesti febbrili frugavano fra le macerie.
Di tanto in tanto, qua e là si alzava un grido di esultanza e qualcuno
correva via, stringendo al petto un vaso, una guarnacca di vaio, una
bisaccia gonfia. Strofinandosi gli occhi che lacrimavano per il fumo,
l'armaiolo esaminò il campo. Era ricoperto di cadaveri. Si mosse in
fretta, serpeggiando in quel groviglio di corpi. Il suo piede urtò un
ginocchio ancora coperto dalla gambiera. Con uno scricchiolio, l'arto
si staccò di netto, rivelando l'enorme pozza di sangue che si
allargava sul terreno.

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