Il Caffè dell’Undicesima Musa. Un’antologia viennese –  Joseph Roth 

SINTESI DEL LIBRO:

Le uniche avvisaglie, finora, sono
che i proprietari dei caffè hanno
fatto sbocciare i prezzi, la spesa
giornaliera per la colazione e uno
spuntino è cresciuta a vista
d’occhio, nel moca sono andate
fermentando segrete linfe
primaverili, lo sfruttamento del
pubblico ha messo fiori inattesi e gli
affari, in generale, sono in pieno
rigoglio. Così si presenta a Vienna la
primavera dei caffè. Nell’ultima
settimana si è aggiunta una novità:
Schani
10 ha portato fuori il giardino.
Il «giardino» è fatto di qualche asse
di legno che, ben custodita, ha
svernato in soffitta e di un graticcio
di ferro o di maglie metalliche. Un
segno di cortesia particolare nei
confronti del maggio e degli habitué
è costituito poi da alcuni vasi di fiori
e da quelle frasche alle quali solo i
caffettieri, in questa primavera
eccezionalmente fredda, potevano
pensare. Ecco l’intera attrezzatura
per il sole – che purtroppo, «in
assenza di dati meteorologici
rilevanti», non può essere
annunciato dall’osservatorio
astronomico, e che senza una
prognosi attendibile non si azzarda a
sbucare dalle nuvole...
Guardando queste verande vuote
e desolate viene spontaneo
paragonarle a sogni di pace mai
realizzati, a vedute guastate dalla
pioggia e a situazioni mondiali
infreddolite. Questi tavolini
rovesciati e queste seggiole di
vimini che a gambe all’aria
lacrimano umidità assomigliano
maledettamente a un mondo
insensato nel quale tutto sia
capovolto, ammesso che qualcosa un
capo ce l’abbia. L’aria che in realtà
uno dovrebbe godersi di diritto qui
all’aperto è satura di bollettini di
guerra provenienti dalle conferenze
per la pace, e il ghiaccio, di cui in
tempi normali si farebbe qui ben
altro uso, purtroppo tiene ancora in
una morsa spasmodica i cuori degli
uomini. Così quella che una volta
era la prosecuzione in strada di una
tranquilla vita domestica e di
piacevoli partite ai tarocchi diventa
oggi un miscuglio sgradevolissimo
di sgradevole vita pubblica e private
preoccupazioni di famiglia. Il dehors
oggi non è che un accessorio
superfluo di tempi migliori e per di
più un ostacolo al traffico, come il
tranvai, la posta, il telefono e altri
mezzi «di collegamento». Ma per il
proprietario del caffè ha un bel
vantaggio: gli consente di buttar
fuori, senza difficoltà e nel senso più
autentico della parola, i clienti
fastidiosi che protestano contro
l’aumento dei prezzi...
Josephus
UN DEHORS, E UN ALTRO
ANCORA
In una bella sera d’estate un caffè
del Ring, dalle parti dell’Opera,
esibisce due dehors: nel primo
siedono profittatori di guerra adulti
che lappano il gelato e giocano a
buki o ai tarocchi. Questo è il caffè
all’aperto legale, riconosciuto,
brevettato. Per frequentatori con uso
di mondo e impeccabile piega dei
calzoni.
Lì davanti ce n’è un altro
piuttosto elementare, improvvisato: i
suoi clienti senza piega dei calzoni,
profittatori di guerra non ancora
adulti, siedono – anziché su seggiole
di vimini – chi sul selciato, chi sul
tappeto erboso alquanto tisico
all’ombra di un albero del Ring.
E giocano ai tarocchi.
Sono strilloni, propalatori
dell’opinione pubblica, e mi sembra
opportuno e doveroso richiamare
l’attenzione di quest’ultima sul
divertimento di chi la vende in giro.
Perché la gente se ne va a zonzo
passando indifferente davanti ai
ragazzi che fumano sigarette e
giocano ai tarocchi, e solo quando è
al volante fa sentire un colpo di
clacson o scansa il gruppetto degli
strilloni adolescenti intento al gioco.
Non bisogna disturbare i piccoli
nel loro divertimento. Perché questo
è, in un certo senso, il secolo
dell’infanzia.
Un gendarme è lì a due passi e
aspetta per ragioni d’ufficio
l’occasione di intervenire. Poiché
oggi, eccezionalmente, non c’è una
sola vedova di guerra che organizzi
una dimostrazione lungo il Ring, la
guardia lascia in pace gli orfanelli.
Forse pensa che questo sia l’inizio
delle annunciate riforme della
scuola: per spianare la strada ai
ragazzi capaci, li si lascia intanto
occupare, durante le vacanze, la
carreggiata del Ring. La promozione
dei giovani dotati incomincia dal
fatto che se ne rimangano per ora a
scaldare il selciato. Chi vince la
partita dimostra le proprie capacità e
può essere promosso.
Come definire la faccenda?
Ragazzi che nel centro di una città
culturale giocano ai tarocchi sulla
strada: una «vergogna per la
cultura»?
Ebbene, di vergogna, direi che ne
abbiamo avuta da sempre in
abbondanza!
Ma – di cultura?...
Josephus
L’AGENZIA DI CAMBIO DEL
DENARO BIANCO
Già sulla soglia ti accolgono con
diffidenza: potresti essere un
informatore, un confidente, un
delatore – insomma una spia. In ogni
caso sei un estraneo: hai il colletto
pulito e il tuo comportamento puzza
in maniera sospetta di Mitteleuropa.
Le tue mani non si agitano nell’aria,
i tuoi occhi non ammiccano
furbeschi, non lasciano intendere
chissà quale affaruccio, la tasca
interna della tua giacca aderisce
normalmente al petto e non dista un
quarto di miglio dall’involucro del
tuo Io. In te non c’è nulla di
sedizioso, nulla di contrario ai
regolamenti di polizia, nulla di
selvaggio, nulla di scaltro. Davanti
all’occhio della legge tu non batti
ciglio, né un tuo dito armeggia alla
ricerca di un’uscita di sicurezza. E
allora che cosa ci fai tu, uomo
rispettabile, legalmente garantito e
paladino delle leggi, tra i legalmente
indifesi e gli scampati alle garanzie
delle leggi? Che cosa cerchi tu,
persona stimata, fra i proscritti? Tu,
superiore, fra gli inferiori? Tu,
lavato, fra gli sporchi? Uomo civile
fra gli incivili? Tu, coscienzioso, nel
regno della mancanza di coscienza?
Tu, affetto da scrupoli, nel rione
della moral insanity postbellica? Lo
vedi: sei un estraneo, e perciò sei
accolto con diffidenza già sulla
soglia del piccolo caffè nella
Bankgasse...
Ricordo un tempo in cui questo
caffè era ancora un innocuo «trani»
che campava stentatamente
vendendo bibite ai commessi della
legazione ungherese. Aveva l’aria di
essere stato aperto apposta per la
sede diplomatica e di non saper far
altro che soddisfare con i suoi
giornali il bisogno di notizie degli
impiegati subalterni, e la sete
momentanea dei clienti abituali e
delle amanti del liquorino.
D’accordo! Allora non circolava
denaro bianco,
11 ma soltanto buona
valuta austroungarica, e la missione
diplomatica della Bankgasse non
aveva ancora ricevuto dal comune e
sommo vertice della monarchia
l’autorizzazione a introdurre,
attraverso i canali viennesi, il
comunismo nelle banche. La
legazione voleva rappresentare, più
che far presenti di dubbia natura,
doveva vidimare non tanto i
passaporti quanto il dualismo
austroungarico, e il suo raggio
d’azione era ancora più limitato
dell’orizzonte dei suoi attuali
custodi. Allora il caffè lì vicino era
il rifugio preferito di faccendieri e
manutengoli, e certi innocui,
davvero innocui affarucci si
sbrigavano con generale
soddisfazione dei quattro occhi
interessati e dei due occhi
indifferenti del proprietario.
Ma oggi!...
Come dicevo: sei accolto con
diffidenza già sulla soglia: «Cerca
qualcuno?». No, non cerco nessuno,
ma mi guardo bene dal confessarlo.
Ovvio che cerco qualcuno. «Ha del
“bianco”?», «Compra del
“bianco”?». L’istinto di speculazione
non disdegna neppure le invenzioni
di Béla Kun e traffica persino con i
prodotti dell’inferno. Qui,
nell’agenzia di cambio della
Bankgasse, c’è davvero ancora gente
disposta a comprare denaro bianco.
Senza minacce, senza uso della
forza, senza ukase della Repubblica
dei Consigli. Tutti voi che arrivate
carichi di denaro bianco
dall’Ungheria, non disperate! Un
bigliettone azzurro per dieci chili di
carta bianca. Quella l’avrete sempre!
Qui potete liberarvi del vostro
denaro bianco, liberarvene del tutto
e più facilmente di coloro che ve
l’hanno elargito! Oh, ci fosse nella
Bankgasse anche un’agenzia dove
poter barattare idee per la felicità del
popolo con generi alimentari, e dieci
chili di Kun con un milligrammo di
raziocinio!..

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